F1, le regine del cronometro

di Stefano Costantino
Pubblicato il 6 Maggio 2020 - 10:00
Tempo di lettura: 6 minuti
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F1, le regine del cronometro

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«Non limitarti a segnare il tuo tempo: usa il tempo per lasciare il tuo segno!». Gioco di parole, consiglio o slogan motivazionale che sia, questa citazione di Harvey MacKey, giornalista, imprenditore ed autore di bestseller, si adatta perfettamente allo spirito della Formula 1.

Oggi la legge del tempo scorre su freddi monitor, misurato scientificamente da sensori e sofisticati sistemi elettronici, ma c’è stata un’epoca più umana in cui il tempo aveva le sue sacerdotesse: specialmente negli anni ’60 e ’70, il cronometraggio nei team è un lavoro spesso affidato alle mogli e alle fidanzate dei piloti.

Dai box o dal muretto, signore e signorine della Formula 1 misurano il tempo dei loro uomini e lo scarto sui principali avversari, costruendo giro dopo giro la lap chart della corsa: a loro disposizione carta, penna e un cronometro meccanico. Un compito non facile ma importante, che si svolge in parallelo a quello dei cronometristi ufficiali e che può anche scatenare reclami e contestazioni quando i conti non tornano.

Negli anni ’60 le donne dei piloti sono piuttosto al margine della scena: la prima moglie di John Surtees, Pat, è considerata una dotata cronometrista, come Bette, la moglie di Graham Hill. Donne semplici per una Formula 1 ancora in bianco e nero. Molto più affascinante Sally Stokes, la fidanzata di Jim Clark: modella di professione, dotata di uno stile semplice e sobrio, è una presenza discreta ed elegante nel piccolo mondo della pit lane.

Il panorama cambia radicalmente alla fine degli anni ’60: la Formula 1 sta diventando un business alla moda, girano più soldi e i suoi protagonisti diventano molto più mediatici rispetto ad un tempo. Il 1968 e la rivoluzione dei costumi cambia anche l’immagine delle donne che vivono nel mondo delle corse.

Il nuovo punto di riferimento nei box si chiama Nina Rindt, modella finlandese, moglie del grande Jochen: bella ed eccentrica, con i suoi curiosi cappelli e i vestititi di taglio moderno, segna indelebilmente il suo tempo. Quando suo marito approda alla Lotus, anche lei trova il suo ruolo di cronometrista: Omega in mano e sguardo concentrato sul traguardo, la sua figura va oltre l’essere la moglie di un pilota.

Il cambiamento si riflette su altre donne che frequentano il circus e si applicano come cronometriste per i team: Sally Courage, Helen Stewart, Barbro Peterson, Pamela Scheckter… Ecco i nuovi volti femminili di una Formula 1 patinata che non vuole essere solo un affare di motori e piloti.

Dietro la nuova immagine dorata, le corse rimangono uno sport estremamente pericoloso e stringere in mano un cronometro può essere un modo per esorcizzare la paura. Come ha ricordato qualche anno fa Maria Helena Fittipaldi, moglie di Emerson e una delle donne di maggior carattere che si siano affacciate nella Formula 1 di quegli anni:

«Non c’è routine quando ti prendi cura di un uomo costantemente in azione, perché ad ogni corsa non sai mai se tornerai a casa con lui o da sola».

A volte esorcizzare non basta e le paure possono diventare realtà: in quel maledetto 5 settembre del 1970 in cui Jochen Rindt perde la vita nello schianto in Parabolica, durante le prove del Gran Premio d’Italia, Nina è ai box con il suo cronometro, ma le lancette non si fermeranno mai per chiudere quel giro di qualifica. Per chi è abituato a misurare la vita in secondi, l’eternità può rivelarsi un pesante fardello.

Il cronometraggio non è solo un lavoro per mogli e fidanzate. Ci sono donne che ne hanno fatto una professione, come Michèle Dubosc: ex navigatrice di rally e cronometrista in Alpine, nella seconda metà degli anni ’60 passa alla Matra, dove si divide tra Endurance e Formula 1. Quando Matra abbandona la Formula 1 lavora con Tecno, Hesketh e infine Ligier.

Capace di cronometrare in totale autonomia una 24 Ore di Le Mans, dove il conteggio dei giri diventa delicatissimo per le economie del carburante, è considerata un’autorità nel campo, precisa come un computer, ma è anche una spina nel fianco dei cronometristi ufficiali, perché quando sbagliano la Dubosc è lì, con la sua tabella dei tempi, a rimarcargli l’errore.

Gran Premio d’Italia 1971: Jacky Ickx su Ferrari viene dichiarato in pole position con il tempo di 1’22”82, ma Michèle Dubosc ha cronometrato Chris Amon, che corre per Matra, in 1’22”40. Parte il reclamo dei francesi e in nottata la spuntano: ad Amon e a Matra viene restituito il maltolto.

L’altra grande professionista del cronometro in quegli anni è Anne Boisnard, che impara l’arte magica del tempo dalla Dubosc, per poi diventare cronometrista di Elf e Tyrrell. Nella seconda metà degli anni ’70 approda alla Renault, che ha appena iniziato la sua avventura in Formula 1, ma Anne è talmente affidabile che nel 1984 Alain Prost la porta con sé in McLaren.

Nell’edizione 1978 del Gran Premio di Long Beach i cronometristi ufficiali dell’organizzazione vanno nel pallone, non riuscendo a fornire i risultati delle qualifiche. Si rischia di cadere nel ridicolo, ma ci pensa Bernie Ecclestone, che va da Michèle e da Anne per farsi dare i loro tempi e trasformarli nella griglia ufficiale di partenza del Gran Premio.

Le due donne sono anche un prezioso riferimento per la stampa: durante qualifiche e gara, i giornalisti vanno spesso da loro per sbirciare sulle schede di rilevazione e capire cosa sta accadendo in tempo reale sul campo di gara.

Nel corso degli anni ’70 perfino i cronometri si adattano ai nuovi tempi, abbandonando l’austera cassa di metallo lucido per incontrare nuove linee, materiali e animarsi di colore. Durante quel decennio compaiono anche i primi cronometri digitali. E con il digitale arriva l’elettronica, che comincia a rendere obsoleto il ruolo del cronometrista.

Nel 1974 la svizzera Heuer, che ha trovato in Formula 1 un ambiente favorevole alla promozione dei suoi orologi ed è molto ben inserita nel mondo dei piloti, diventa cronometrista ufficiale del campionato e introduce l’ACIT, Automatic Car Identification Timing System. Questo promettente acronimo si traduce nella realtà con un transponder installato su ogni monoposto. Quando la vettura attraversa la linea del traguardo il transponder invia un segnale ad un elaboratore che registra il tempo. Il sistema viene poi ulteriormente perfezionato da Longines e Olivetti che, negli anni ’80, subentrano a Heuer nella fornitura dei sistemi di misurazione.

Per le cronometriste è finita ed è finita anche per le mogli e fidanzate dei piloti, a cui non resta che ciondolare nei box con più o meno pathos, pronte a rianimarsi quando la telecamera di turno proietta la loro immagine su milioni di teleschermi in giro per il mondo.

Immagine di copertina: Pinterest

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