F1 | La FIA censura messaggi politici, religiosi e personali “senza previa autorizzazione”. È la fine del “We Race As One”

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
21 Dicembre 2022 - 12:22
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Il nuovo articolo è presente nell’International Sporting Code della FIA. Polemiche sui Social

Con un nuovo articolo presente all’interno dell’International Sporting Code, il 12.2.1.n, la FIA ha fissato un paletto importante (e subito contestato) vietando a tutti i piloti, senza una previa approvazione, qualsiasi messaggio politico, religioso e personale in violazione dei “principi generali di neutralità promossi dalla FIA sotto i suoi statuti”.

La nuova norma arriva dopo tre anni nei quali messaggi di questo tipo da parte di alcuni piloti, in particolar modo Lewis Hamilton e Sebastian Vettel, sono diventati di rito per sensibilizzare su diversi temi sociali come il razzismo, l’inclusione, il rispetto di tutte le generalità e, per ultima, la guerra in Ucraina, creando dibattito non solo all’interno del mondo del Circus.

La stessa F1, dopo il caso dell’uccisione di George Floyd in pieno periodo Covid, aveva appoggiato la mobilitazione social dei piloti promuovendo anche una serie di iniziative e messaggi globali come “We Race As One” e gli adesivi arcobaleno su diverse monoposto.

La nuova gestione della FIA, guidata dal Presidente Ben Sulayem, ha deciso di mettere un freno a questo tipo di iniziative. Non è difficile immagine come dietro questa scelta ci siano i potenziali incidenti diplomatici che messaggi di questo tipo hanno ed avrebbero rischiato di creare in determinati luoghi frequentati dalla F1, nei quali i diritti umani sono costantemente al centro di polemiche feroci.

Esempio perfettamente calzante quello del Qatar dove, pochi giorni fa, sono terminati i campionati del mondo di calcio più contestati della storia, per le polemiche sulle morti di migliaia di operai impiegati per la costruzione degli stadi, costantemente vittime di abusi. La FIFA, dopo aver assegnato la competizione al paese degli emirati, ribaltando i calendari di tutto il mondo calcistico per permetterne lo svolgimento alla fine dell’anno, ha addirittura minacciato di sanzioni quelle nazioni che si sarebbero rese protagoniste di gesti polemici. Resterà nota la foto di gruppo della Germania, con i giocatori con la mano sulla bocca in segno di protesta.

Lo stesso Qatar, sede di un GP spot nel 2021 per far fronte all’emergenza Covid, tornerà in pianta stabile in calendario dal 2023 con un contratto fino al 2033.

La scelta della FIA ha sollevato montagne di critiche sui Social Network, dove i temi sociali vengono ampiamente discussi quotidianamente e dove i piloti che più hanno evidenziato certi messaggi hanno visto crescere la loro credibilità ed il loro seguito, diventando punto di riferimento per diverse comunità che reclamano un maggior rispetto dei diritti.

Quello imposto dalla FIA è, di fatto, un dietrofront che strizza l’occhio alla stessa FIFA e rischia di censurare la libertà di espressione dei piloti su temi non strettamente legati a quello sportivo. Ed è anche un provvedimento che, in un mondo che sempre più guarda a quei paesi dalle disponibilità economiche infinite, prima o poi sarebbe arrivato. Troppi, infatti, erano i rischi di dover rendere conto agli organizzatori di GP in paesi “delicati” di messaggi forti come quelli lanciati da Hamilton in Arabia Saudita o Vettel in Ungheria.

A questo punto, però, è necessaria una riflessione: la F1 più volte ha parlato della volontà di promuovere il cambiamento in termini di razzismo, inclusione e diritti umani in quei paesi nei quali questi temi sono contestatissimi. Con questo provvedimento della FIA tutte queste volontà arrivano ad uno stop definitivo, definendo una volta per tutte la “vittoria” di chi paga decine di milioni per avere un GP ed il conseguente diritto di continuare a violare diritti fondamentali.

Ora la palla torna indietro alla F1. Come avevamo sottolineato in passato, i messaggi sociali e le buone volontà cozzavano con un calendario sempre più legato a paesi contestabili su certi temi. Ora arriva l’alt direttamente dall’organo di governo delle competizioni internazionali. Ci vuole poco ad unire i puntini ed arrivare alla conclusione che, alla fine, certi messaggi ed adesivi fossero solo un’iniziativa di facciata.

Se il Circus tenesse davvero a certi temi, eviterebbe di andare a correre in certi luoghi. E, a giudicare dalla lunghezza dei contratti stipulati, non è questa la sua priorità. Quella della FIA è solo una certificazione che, prima o poi, sarebbe arrivata.

Insomma, possiamo dire che con questa nuova norma arriva la fine del “We Race As One”. D’altronde il cambiamento si fa con le azioni e non con le belle parole.

Immagine: Media Mercedes

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