Terza e ultima parte della lunga chiacchierata con cui abbiamo ripercorso la carriera dell’ingegnere francese
Siamo arrivati alla terza e conclusiva parte della lunga intervista a Jean-Claude Migeot, nella quale abbiamo ripercorso con vari aneddoti la sua carriera in F1. Nella seconda parte ci eravamo lasciati con il 1991, anno dell’ultima Tyrrell progettata dall’ingegnere transalpino.
Passiamo al corteggiamento di Cesare Fiorio…
“A fine ’89 avevamo convinto Joan Villadelprat ad entrare a far parte della squadra: lui come Team Manager ribaltò l’organizzazione in fabbrica e in pista. Nel ‘90, la Tyrrell aveva cambiato volto, era un team di grande professionalità. Il management però non era più all’altezza delle nostre ambizioni e quindi Harvey, Joan ed io ci facemmo avanti per prendere in mano la gestione della squadra. Ci incontrammo con Ken Tyrrell, il quale portò però Harvey dalla sua parte e alla fine fummo Joan ed io ad andare via. Postlethwaite era un ottimo ingegnere, è stato quello che ho ammirato di più. Abbiamo lavorato insieme dieci anni. Era un grande leader ma non aveva carattere, non reggeva il conflitto. Lo odiava e non sapeva alzare la voce quando aveva ragione. Gli mancava qualcosa da quel punto di vista.
Alla fine ’90 avevo ricevuto messaggi da quasi tutti i Team Principal ma io volevo tornare in Italia, perché mi ero trovato bene e di fatto ci vivo ancora. Inizialmente avevo preso accordi per andare in Ligier ma poi mi convinsi di tornare in Ferrari per un capitolo nuovo. Se la Ferrari di Enzo era stata un capitolo fantastico della mia vita, quella della Fiat fu un periodo pieno di contrasti”.
Probabilmente è tornato nel periodo più politico della storia della Ferrari…
“È finito con il Barnard bis. Si dice che tu puoi fare errori, ma la cosa che non devi fare mai è ripetere due volte lo stesso errore. Io ho vissuto la stessa storia due volte. Non c’entrava Fiorio, che invece aveva messo fine al ‘Barnard 1’. Ma Montezemolo, consigliato da Niki Lauda, si convinse che richiamare Barnard sarebbe stata la soluzione a tutti i problemi.
Ma prima ho vissuto un ’89 esaltante, forse troppo. Arrivai in Ferrari a Natale ‘90 come responsabile dell’aerodinamica. La 642 era già pronta per la stagione nuova con Alain Prost e Jean Alesi. Misi in cantiere subito la 644 in galleria per il ‘92 ma immediatamente Fiorio, sotto grande pressione di ottenere risultati rapidamente, mi chiese di modificare in fretta la 642 per la metà stagione e nacque così la ibrida 643.
L’idea di queste macchine arrivava osservando l’evoluzione anche delle altre monoposto o era frutto della sua natura avere sempre qualcosa di nuovo?
“Non si inventa mai niente di totalmente nuovo. Il problema non è pensare per primo ad un concetto valido, è realizzarlo per primo. Il che vuole dire essere nelle condizioni giuste di mezzi e di tempo di sviluppo. Non abbiamo parlato del mio periodo pre-Renault, ma già nel ‘76 avevo cercato di convincere Renault ad entrare in F1 con una vettura ad effetto venturi e con le minigonne. Ma nessuno mi ha ascoltato perché Renault Sport era principalmente un gruppo di motoristi che con il motore turbo aveva già una montagna da scalare. Anche nel’77, quando la Lotus 78 dominava, mi veniva detto che l’aerodinamica non c’entrava!”.

E arriviamo alla 643.
“Dopo la prima gara del ’91 si capì che bisognava accelerare lo sviluppo della nuova macchina e cercare di portarla a Magny-Cours. Nel frattempo, dato che in Ferrari la pazienza non esiste, dopo Monaco venne licenziato Fiorio ed io, da Montréal, mi trovai a fare anche il responsabile della squadra corse fino alla fine stagione, mentre lavoravo sulla F92A. A Magny-Cours la 643 andò in prima fila con Prost. Alain fu in testa alla gara ma arrivò secondo. Mi fa ancora venire la rabbia ricordare come è stato superato da Mansell…”.
Come nasce la F92A?
“L’idea del muso alto l’avevo avuta già in Renault. La chiave dell’efficienza è il fondo, che crea deportanza senza aggiungere tanta resistenza. Quello che impedisce al fondo di lavorare è tutto quello che l’aria investe prima di raggiungere il fondo: le ruote anteriori, la scocca, l’alettone anteriore. È fondamentale sviluppare queste parti per generare carico con un’efficienza alta.
Una volta rialzato il muso, il volume che incontra l’aria sono le pance. Il flusso d’aria, quando si trova davanti un ostacolo, lo deve per forza contornare. Durante questo percorso il flusso prima rallenta poi riaccelera, ma nel rallentamento ha perso energia. Per avere la massima energia sotto il fondo bisogna limitare il più possibile questa fase di rallentamento: l’idea del doppio fondo è quella di dare al flusso un passaggio di sezione molto significativa, il canale tra i due fondi, per ridurre il suo rallentamento davanti alle pance. Le prese d’aria di raffreddamento sono staccate dal telaio. Ricevono aria che ha quasi la stessa velocità della macchina, per cui hanno una sezione frontale ridotta rispetto alle prese d’aria convenzionali che catturano aria già rallentata e quindi necessitano di essere più ampie.
Il canale, alto otto centimetri, ha funzionato anche troppo. In pista avevamo più carico che in galleria. Purtroppo questo è stato un handicap, perché non si può preparare un set-up corretto se manca la correlazione galleria-pista. La scala 1/3 dei nostri modelli era insufficiente. Oggi tutti usano come scala 1/2 o, meglio ancora, 2/5. Detto questo, il più grosso problema della F92A era il motore. E Jean Alesi potrà confermarlo…“.
Ce l’ha confermato Ivan Capelli in un’intervista di qualche anno fa…
“Era un nuovo V12. Stavamo facendo delle prove aerodinamiche a Nardò per il motivo spiegato prima: avevamo bisogno di misurare il carico con la macchina reale. Per queste prove in macchina c’era il motore vecchio, quello che usava anche la Scuderia Italia. Jean fece un solo giro e si fermò per dirci che quel motore andava molto meglio rispetto al nuovo. Quello nuovo perdeva potenza, era un calvario, addirittura aveva un serbatoio dell’olio supplementare che bisognava riempire al pit stop. Ma la versione ufficiale era che la macchina era sbagliata. Lo sviluppo naturale che avremmo dovuto fare è stato bocciato a favore di numerose e inutili prove per dimostrare che il concetto era sbagliato, ad esempio chiudendo il canale. Anche la parte sospensioni necessitava di sviluppo: un errore di progettazione della sospensione anteriore fu scoperto e corretto soltanto a meta stagione. Invece Niki Lauda, già dopo la prima gara, aveva deciso che il futuro della Ferrari era di fare tornare Barnard”.
Pensò anche di applicare le sospensioni attive?
“Era chiaro che le sospensioni attive fossero strategiche per ottimizzare l’assetto aerodinamico. Per tutto il mio tempo in Ferrari le abbiamo sviluppate in prove private ma il nostro sistema era ancora inaffidabile oltre che pesante. A fine stagione sono state usate in gara a Suzuka da Larini ma senza particolare vantaggio.
Nel ’91 avevo pressato Claudio Lombardi per fare tornare Postlethwaite a Maranello e così avvenne a fine anno. Sulla F92A Harvey ha deciso di usare un nuovo cambio longitudinale, purtroppo più largo, con il solo risultato di diminuire l’efficienza del diffusore. A fine stagione non andavo neanche più in pista e poco dopo a gennaio ‘93 sono stato licenziato”.

Come ha vissuto quel periodo?
“Fu allucinante vivere una seconda volta la stessa situazione. Barnard non mi salutava neanche, ero responsabile di un reparto dove non sapevo niente di cosa succedeva. Quando Montezemolo si è stancato di vedermi a lamentarmi nel suo ufficio mi ha fatto licenziare. Il mio contratto era di tre anni e con quello che successe pretesi comunque tutto il mio compenso. Nel 1993 ho dovuto lottare sei mesi per avere il mio terzo anno pagato per intero ma alla fine successe. È finita così”.
Le fa piacere sapere che, nonostante tutto, i concetti della sua F92A siano stati ripresi successivamente? E come sarebbe stato lo sviluppo di quella macchina?
“Il concetto del doppio fondo fu vietato immediatamente nel ’93, non ricordo bene su quale base. Ma ci sono stati molti esempi di sviluppo che hanno cercato di sfruttare parte del suo concetto. Tante prove potevano essere fatte su canale e diffusore. Quello della F92A in pista era un diffusore soffiato dal canale ma esisteva in galleria una versione con un doppio diffusore. Uno altro sviluppo molto ambizioso nel ’92 era quello di una macchina specifica per la qualifica con il medesimo telaio ma serbatoio e pance ridotte”.
Se fosse andato in Ligier avrebbe portato là la macchina col doppio fondo?
“Probabilmente sì, però non ho idea cosa avrei trovato in Ligier come capacità di sviluppo. Non aveva una galleria del vento idonea quindi sarebbe stato necessario provvedere a quello come prima priorità. Avevano un eccellente motore (Renault, ndr) grazie a Guy e alle sue relazioni. Era lui che spingeva per avermi. Una squadra, comunque, deve essere unita dietro al suo progettista. Se non lo è, come è capitato a me nel ‘92, non si va avanti. Non mi sono mai pentito di essere tornato in Ferrari ma poi, quasi senza rendermi conto da progettista, sono diventato manager e i successivi 25 anni sono stati ancora migliori di quelli 12 passati in Formula 1″.
Anche se però ha continuato a lavorare per la Formula 1, come con la Tyrrell del ‘94-’95.
“La 022 del ’94 fu progettata con un muso relativamente basso ed era un’eccellente macchina anche meccanicamente. Aveva molle e ammortizzatori separati: una strada curiosa che valeva la pena percorrere. La macchina dell’anno successivo, la 023, non era male ma le sue sospensioni attive Hydrolink erano un disastro. La Tyrrell non aveva l’infrastruttura indispensabile per sviluppare una sospensione idraulica”.
Da imprenditore com’è stata la sua esperienza?
“Nel disegnare vetture per Le Mans, DTM o GT la mia società, Fondmetal Technologies o FondTech, ha affrontato sfide molto diverse rispetto alla Formula 1. Alla fine degli anni ‘90 erano categorie ancora molto indietro sul profilo aerodinamico e nelle quali il nostro valore aggiunto era molto rilevante, con la nostra ottima galleria del vento di Casumaro. Così abbiamo potuto lavorare per dei clienti molto prestigiosi che cercavano questo know-how proveniente dalla F1 senza dovere investire in gallerie o mezzi di sviluppo interni. Clienti eccellenti furono Mercedes in DTM e Audi a Le Mans. Audi è stata nostra cliente per dodici anni, Mercedes per venti.
Per Mercedes, quella del 1997 è stata una partnership fondamentale. Chiuso con il DTM decisero all’ultimo momento di entrare nel campionato FIA GT con la CLK. FondTech aveva sviluppato nel ’96 un fondo vettura per un’ipotetica Chrysler Viper GT. La CLK-GTR fu completata in pochissimo tempo e vinse il campionato! Abbiamo lavorato anche per Nascar, per i rally con Hyundai. Le alette Ducati nel motomondiale sono nate nella nostra galleria.
Col senno di poi, creare un gruppo di lavoro con competenze multiple e di alto livello e fare crescere un’organizzazione efficiente può spesso essere più soddisfacente che disegnare una macchina di F1. Abbiamo chiuso Fondmetal Technologies alla fine del 2017 perché il nostro mercato stava scomparendo. Però un quarto dei nostri ingegneri, disegnatori e tecnici è stato assunto in squadre corse e uno su dieci si trova oggi in Ferrari!”.
Non segue più la F1?
“Pochissimo, seguo un po’ la Nascar, la sera ho un po’ più di tempo…”.
Ringraziamo Jean-Claude Migeot per la lunga intervista concessaci.
Immagini: Archivio Migeot, Wikimedia Commons
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