Seconda parte della lunga chiacchierata con cui abbiamo ripercorso la carriera dell’ingegnere francese
Riprendiamo il percorso intrapreso con Jean-Claude Migeot nella prima parte della lunga intervista che abbiamo pubblicato nei giorni scorsi. Il racconto si era interrotto nelle ultime settimane della stagione 1987 ed è naturalmente da qui che riprendiamo.
“A fine 1987, in un’intervista ad Autosprint, Barnard disse che era rientrato in Inghilterra a metà stagione per lavorare sulla macchina nuova una volta sistemato i problemi della F1/87. Ben sapendo che certe cose non potevano passare senza l’approvazione di Enzo Ferrari, chiesi conto di questo al Vecchio e mi chiese: ‘Ingegnere, quanti anni ha?’. Ne avevo 34. Mi rispose: ‘Io la mia azienda l’ho aperta a 47 anni. Lei avrà il suo tempo’. Voleva dirmi: ‘Giovanotto, qui è casa mia e decido io’. Per lui era più importante che la gente non pensasse che aveva fatto un errore ad assumere Barnard. Però alla festa di Natale davanti ai circa mille dipendenti Ferrari Enzo fece grandi complimenti a quelli che aveva chiamato 6 mesi prima a Fiorano e mi nominò per primo… Enzo, grande politico!”.
Arriva il 1988…
“Sull’88 c’è da dire una cosa che forse non è conosciuta. Avevamo praticamente la stessa macchina dell’87, che si regolava e si guidava molto bene. Nell‘87, con la pressione turbo limitata a 4 bar, avevamo un motore tra i più potenti e durante l’inverno, con la limitazione a 2,5 bar, sembrava altrettanto competitivo. Ma le nuove valvole pop-off non erano ancora disponibili e si girava con la pressione limitata elettronicamente. Quando alla prima gara a Rio le pop off vennero finalmente distribuite abbiamo dovuto abbassare la pressione molto al di sotto dei 2,5 bar per non farla aprire, perdendo così molta potenza. Soprattutto, ci trovammo con una McLaren che andava come una scheggia. Honda aveva montato la valvola in una posizione molto avanti sul collettore ma sul momento il motivo ci sfuggì. Era facile pensare che fosse una macchina straordinaria pilotata da i due più grandi piloti dell’epoca ma c’era un altro motivo che scoprimmo mesi dopo.
Era un giorno di brainstorming dove, per l’ennesima volta, si cercava di capire come mai Honda poteva avere tanta potenza in più di noi. L’idea che mi venne fu che se ci fosse stato all’interno del collettore un venturi e se la pop-off fosse stata disposta al collo di questo venturi la pressione che avrebbe sentito sarebbe stata inferiore al limite di 2,5 bar. Se l’idea avesse funzionato si sarebbe potuta ottenere una pressione più alta nel motore e la valvola sarebbe rimasta chiusa. Sembrava una cosa irrealistica, ma si fece immediatamente una prova al banco motore e subito guadagnammo 50 cavalli! Il dominio della McLaren fu dovuto anche a questo. Migliorammo a livello di prestazioni ma il consumo di benzina era diventato disastroso, perché tutto era lo sviluppo del motore era stato parametrizzato per una potenza minore”.
Tra l’altro la MP4/4 era derivata dalla “sogliola”…
“Una soluzione a cui non do molto merito. La sogliola non creava alcuna efficienza aerodinamica, permetteva soltanto di usare un’ala posteriore più carica. I miei tentativi in questa direzione in galleria non furono promettenti. Uno sviluppo efficiente si ottiene più facilmente lavorando sul flusso sotto la vettura non su quello sopra le pance.
Per finire con l’88 noi eravamo con un telaio vecchio perché per questione regolamentare non potevamo averne uno nuovo e perché le risorse erano tutte destinate alla macchina di John. In quel momento m’interessavo del lavoro svolto da Rory Byrne in Benetton, quindi ho passato molto tempo in galleria del vento a provare un telaio stretto davanti ed ali anteriori strane che abbiamo anche provato a Fiorano. Questo modello di galleria era chiamato F1-R, R per ‘Ricerca’, e i suoi risultati sono circolati perché in Ferrari non ci sono segreti. Quindi è nato il mito che Migeot e Postlethwaite stavano preparando una macchina alternativa a quella di Barnard e penso che John stesso lo abbia creduto. Questo non era assolutamente vero: nell’attesa dell’arrivo dei disegni di John e di costruire il modello della sua macchina si voleva semplicemente sfruttare il tempo di galleria per testare idee e produrre conoscenze per il futuro.
Enzo Ferrari morì a Ferragosto. La Ferrari passò nelle mani della Fiat con Barnard al timone tecnico. Molti ingegneri lasciarono Maranello perché sapevano cosa sarebbe successo con John. Alla fine, Harvey mi disse che sarebbe andato alla Tyrrell e mi chiese se volessi andare con lui. Accettai. Tyrrell era famosa per il suo passato, aveva gente molto valida ma il suo budget ’89 era ridicolo. Arrivammo ad Ockham con il bagaglio d’esperienza della F1-R che praticamente fu la base della Tyrrell 018 raffinata poi nella galleria di Southampton”.
Se foste rimasti in Ferrari, quindi, la macchina dell’89 sarebbe stata simile alla 018.
“Quando la 018 debuttò ad Imola alcuni giornalisti italiani la chiamarono la Ferrari blu”.
Ascoltando Jean Alesi, parlando della 019 l’ha definita un missile.
“Con un motore più potente non so come l’avrebbe definita! La 018 ha avuto il suo percorso per arrivare a maturazione a fine stagione ‘89. La 019 era identica alla 018 ma con il muso alto aveva un’efficienza aerodinamica migliore. Avevamo anche progettato un nuovo fondo ma l’abbiamo scartato durante le prove preliminari di Imola, usando poi quello della 018 per l’intera stagione. La macchina era sincera, in due run si capiva come assettarla. Nel ‘90 abbiamo avuto gioie e delusioni con le gomme Pirelli. Gioie in qualifica perché con un grip incredibile eravamo nelle prime file. Sui circuiti lenti le gomme di gara reggevano, ma nel resto delle piste sul passo gara avevano un degrado incredibile. Mi ricordo che a Monza Cesare Fiorio mi chiese un parere e cercai di convincerlo a non mollare le Goodyear.
La 018, aerodinamicamente, l’avevamo ‘pensata’ a Maranello. Invece meccanicamente era una rivoluzione nata in Tyrrell alla fine del’88. La Ferrari F1-88 aveva un asse anteriore troppo flessibile in rollio e la barra antirollio anteriore aveva assunto proporzioni assurde. Ci eravamo prefissati per la 018 di fare qualcosa che fosse strutturalmente molto rigido e ci siamo convinti che il monoammortizzatore fosse una buona soluzione. In certi circuiti lenti era un grande vantaggio, soprattutto con un pilota che non temeva il sovrasterzo come Jean. In altre piste, con curve veloci e addirittura con la pioggia, era una follia girare così rigidi davanti. Michele Alboreto non gradiva una prontezza così grande dell’asse anteriore. La 018 entrava in curva in un modo che lui non aveva mai sperimentato. Mi ricordo nelle prime prove al Paul Ricard, nella velocissima curva di Signes, che Michele era convinto che qualcosa si fosse rotto sul posteriore. Invece a Jean Alesi è andata come un guanto dal primo giro in Francia.
Imola ‘89 è la gara di cui sono più orgoglioso in assoluto. Alboreto non riuscì a qualificarsi con l’unica 018 costruita per tempo. Palmer, qualificato ultimo con la vecchia 017, ha potuto usare in gara la 018 di Michele che non aveva mai guidato durante le prove. Abbiamo cambiato l’assetto sia durante il warm-up che sulla griglia della seconda partenza (dopo l’incidente di Berger, ndr). Jonathan, partito ultimo, finì sesto e a punti!
Il monoammortizzatore ha avuto un brusco sviluppo a fine stagione. Semplicemente l’anteriore era troppo direzionale. A Spa, dove ovviamente pioveva, Herbert guidava al posto di Jean che correva in F3000. Johnny fece un solo giro e rientrò al box dicendo che era inguidabile e che non intendeva ammazzarsi! Harvey si inventò una cosa assurda ma identificò il nostro problema in modo eclatante. Smontammo il monoammortizzatore e inserimmo un semplice ‘o-ring’ per introdurre un po’ di movimento laterale al rocker. Johnny provò e ci chiese cosa avessimo fatto perché, di colpo, la macchina era diventata sottosterzante. Avevamo trovato la chiave del problema e da lì in avanti il livello di rigidezza in rollio idoneo si ottenne con tutta una gamma di molle a tazza intercambiabili. Il monoammortizzatore fu una favola per mettere a punto la macchina sia a fine stagione che in quella successiva con la 019.
Dal punto di vista aerodinamico i concorrenti hanno impiegato tantissimo tempo a copiare il vantaggio del muso alto perché era indispensabile costruire un nuovo telaio, il che ci ha aiutato. Per contro il V8 dell’89-’90 era un dinosauro. Se avessimo avuto un handicap di 20-30 cv sarebbe stato un conto, invece era di ben oltre 50 cv.
La Tyrrell 020 del ‘91 l’avevo disegnata io prima di lasciare la squadra. Volevamo creare una 019 un po’ più “ciccia” per un motore Honda più potente e con un serbatoio benzina più capiente. Ma abbiamo sbagliato la distribuzione dei pesi perché abbiamo saputo tardi il vero peso del V8 Honda, che era ben 25 kg più del V8 Cosworth…“.
Per conoscere i dettagli del ritorno di Migeot in Ferrari e gli anni successivi, l’appuntamento è con la terza e ultima parte dell’intervista.
Immagini: José Antonio Fernández, Wikimedia Commons
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