F1 | Intervista esclusiva a Jean-Claude Migeot, l’uomo delle rivoluzioni [Parte 1]

Autore: Andrea Ettori
AndreaEttori
Pubblicato il 31 Ottobre 2024 - 14:00
Tempo di lettura: 9 minuti
F1 | Intervista esclusiva a Jean-Claude Migeot, l’uomo delle rivoluzioni [Parte 1]
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Prima parte della lunga chiacchierata con cui abbiamo ripercorso la carriera dell’ingegnere francese

Spesso nel mondo dei motori la parola “rivoluzione” viene utilizzata anche se di rivoluzione non c’è praticamente nulla. In passato l’abbiamo associata ad una capitolo di storia della Ferrari, quello della F92A, e l’intervista in tre capitoli che leggerete da qui parte appunto da questa parola associata a quella monoposto così iconica.

Infatti se c’è una persona a cui la parola rivoluzione può essere assolutamente associata, soprattutto per descriverne le gesta e la carriera, questa è Jean-Claude Migeot. Il tecnico transalpino, a cui la storia con la F92A ha dato ragione con qualche anno di ritardo, ha scritto pagine di tecnica ancora presenti nella F1 inventandole prima di tutti gli altri. Dagli scarichi soffianti al muso alto passando per tanti altri dettagli che potete trovare in questa intervista in esclusiva rilasciata a P300.it. Una storia, anzi una vita, piena di motorsport.

Buongiorno Jean-Claude e grazie per l’intervista. Inizierei con il parlare del suo periodo in Renault, all’inizio degli anni ’80…

Come preambolo, all’epoca negli anni ’80-’90 l’affidabilità delle macchine era molto scarsa se la confrontiamo a quella di oggi, quindi ha giocato un fattore notevole nei risultati. Per la Renault sia l’82 che l’83 potevano essere stagioni da mondiale ma l’inaffidabilità è stata micidiale.

A fine ’82 vennero bandite le minigonne, una cosa giusta vista la pericolosità in caso della rottura o del bloccaggio delle stesse. Ma, come spesso, si è andati oltre il necessario, eliminando quello che poteva essere un fondo Venturi “ragionevole” come si è fatto in IndyCar. Si è andati direttamente a un fondo piatto, con una perdita di carico aerodinamico del 60-70%. Ci siamo trovati tutti nelle prime prove dell’83 con pochissimo carico. I piloti erano sconvolti!

Qualsiasi idea che potesse dare un guadagno immediato era da valutare. Una è stata la soffiatura degli scarichi sotto il diffusore posteriore. Nella storia dell’aviazione quando si cercano delle alte portanze, al decollo o all’atterraggio, si usa la soffiatura delle eliche o dei reattori sulle ali.

Questo sistema della soffiatura degli scarichi l’abbiamo provata prima al banco, poi in galleria, anche se non disponevamo di una galleria a tappeto mobile. I risultati sono stati significativi, si generava intorno ai 50 kg di carico supplementare e la Renault fu la prima ad applicarlo in pista.

In verità questo sistema non era del tutto soddisfacente. Con la soffiatura l’incremento di carico era interamente sull’asse posteriore e dipendeva ovviamente dell’apertura dell’acceleratore: a livello di bilanciamento questo creava un disturbo, seppur non esagerato, che rendeva la macchina delicata specialmente nel veloce. Il tutto poi è soggetto al modo in cui il pilota usa l’acceleratore. Mi ricordo che ad Alain Prost il sistema non era gradito sulle piste veloci.

Nell’usare questo sistema c’erano contemporaneamente entusiasmo e dubbi e così si è andati avanti anche nell’84. C’è da dire che era particolarmente interessante con un motore turbo che generava una gran portata di gas caldo e ad alta pressione attraverso la wastegate, cosa che su un aspirato non c’era. Era un sistema fantastico sulla carta ma delicato da usare in base al circuito. Pochi piloti sono riusciti ad adeguarsi in termini di guidabilità. Con la fine dei motori turbo non l’ho più applicato, ma mi ha insegnato a diventare un fanatico del bilanciamento della macchina!“.

Cosa andò storto nel 1983? Fu solo una questione di affidabilità o ci furono problemi anche interni al team?

“A fine stagione c’è stata l’enorme crescita della potenza del motore BMW della Brabham grazie all’uso di benzina diciamo “speciale” (in seguito dichiarata illegale, ndr). Alain era ancora in testa al mondiale piloti prima dell’ultima gara a Kyalami. Prima di questa non c’erano particolari dissensi all’interno della squadra, semmai un po’ troppo ottimismo. Alain aveva fiutato per primo il pericolo e cercato di scuotere la squadra. Invece dopo il patatrac di Kyalami i problemi interni sono esplosi e Alain fu licenziato! Renault non ha contestato il risultato per non entrare in conflitto con Bernie Ecclestone, che era in totale controllo della Formula 1 oltre che padrone della Brabham”.

Com’è stato il primo passaggio in Ferrari a metà anni ’80?

“Dopo una stagione ’85 disastrosa, Renault ha chiuso la sua squadra corse per conservare solo la fornitura dei motori turbo. Io avevo appena iniziato una carriera sognata per tanti anni. Ho provato a bussare a tutte le porte. A Brands Hatch ’85 ho incontrato Ken Tyrrell, Marco Piccinini di Ferrari, anche Frank Dernie in Williams. Poco tempo dopo ho ricevuto un telegramma con un invito per un colloquio a Maranello. Ho preso la mia R5 GT Turbo e sono andato per la seconda volta in Italia. La prima era stata al momento del GP di Imola ’85, quando avevo portato un modello scala 1/4 nella galleria dell’Ingegner Dallara perché avevamo dei dubbi sulle gallerie che usavamo, specialmente nell’assenza del tappeto mobile.

A Maranello ho incontrato Piero Ferrari, all’epoca Piero Lardi, che mi ha girato all’ufficio di Harvey Postlethwaite, con cui sono rimasto fino a notte fonda a discutere di tutto: ci siamo trovati perfettamente d’accordo sulle difficoltà che sia Renault che Ferrari avevano attraversato nell’85. La conclusione era il dover costruire una galleria a tappeto mobile senza perdere tempo. La Ferrari usava un paio di gallerie italiane che avevano lo stesso difetto di quelle che usavo a Parigi: il suolo fisso.

Abbiamo chiuso il mio contratto velocemente e sono arrivato a Maranello a novembre ’85. Per una galleria decente c’è bisogno di 1000 metri quadri di terreno e a me ne diedero circa 300, pertanto ho dovuto svilupparla verticalmente per ridurre lo spazio a terra. Abbiamo dovuto disporre il condotto di ritorno con il ventilatore nella parte alta, usando una scala ridotta a 1/3, una scala un po’ bastarda specialmente per l’ufficio tecnico. La missione era quella di essere operativi in nove mesi, cosa che successe. La galleria ha iniziato a “soffiare” nell’estate dell’86.

Il primo anno in Ferrari è stato un calvario con la F1/86 disegnata da Harvey, una F1 diciamo molto “ciccia” alla quale avevamo applicato anche la soffiatura degli scarichi. Abbiamo provato di tutto per renderla competitiva ma non è stato facile. Una volta attiva la galleria del vento qualche piccolo miglioramento è emerso. Soprattutto, la galleria ci ha insegnato l’influenza delle altezze da terra sull’effetto suolo e come adeguare l’assetto meccanico per rendere il bilanciamento consistente. Credo che siamo stati, insieme alla Williams, i primi a farlo sfruttando i dati della galleria.

Per rendere performante la macchina al limite d’aderenza in tutte le condizioni di curve e di velocità non è importante soltanto massimizzare carico ed efficienza aerodinamica, ma definire anche altri parametri a livello di guidabilità e di stabilità. Si sono fatti una serie di esperimenti a Fiorano e abbiamo dimostrato, lavorando per eccessi, come inquadrare questa guidabilità. In particolare, la sensibilità al beccheggio non deve essere eccessiva ma non può essere neanche troppo bassa.

Prove del GP di Monza 1986. La squadra pista era diretta da Antonio Tomaini ed è stato assai epico convincerlo ad invertire, praticamente, le molle tra l’anteriore e il posteriore! Questa filosofia pian piano si è imposta e a Monza Alboreto è riuscito a rimanere alcuni giri in scia al gruppo di testa prima di uscire di pista. Quel giorno mi sono convinto di essere sulla strada giusta.

Il grosso problema è che Enzo non ne poteva più di prendere delle batoste la domenica e, assediato da tutti quanti da Torino (Fiat, ndr) alla stampa, aveva ingaggiato John Barnard che aveva vinto mondiali con la McLaren. Quindi tutti a Maranello aspettavamo John per compiere un salto di qualità, io compreso. L’anno prima ero andato in Dallara con un modellino della sua McLaren che avevo copiato per cercare di capirne i segreti. Ma Barnard sostanzialmente ci ha disse: Zitti tutti, fate quello che vi dirò e non discutete con me’. Quindi abbiamo atteso, atteso ed ecco com’è andata la stagione ’87.

Dopo l’insuccesso della F1/86 di Harvey la responsabilità del design della F1/87 era stata affidata a Gustav Brunner, ma la sua gestione in pista era ormai nelle mani di John Barnard. Nella prima metà di stagione John diceva che la macchina era sbagliata e che era inutile cercare a migliorarla. Fece fare delle modifiche alle sospensioni senza produrre alcun miglioramento. Inoltre John non si interessava della prestazione di Alboreto, con il quale non parlava neanche. Si occupava solo della vettura di Gerhard Berger e imponeva le stesse regolazioni alla vettura di Alboreto.

Michele è stato un gran pilota oltre che un vero gentiluomo. Aveva un legame molto stretto col Vecchio e quindi, quando arrivò il GP di Monaco, Michele ottenne da Enzo di poter gestire autonomamente le regolazioni della sua macchina. Ne approfittammo per testare assetti completamente diversi e per la prima volta Alboreto, che era leggermente meno veloce di Berger, si qualificò davanti a lui. Barnard se la prese, vietò qualsiasi tipo di modifica a Michele e così al GP successivo Michele tornò dietro a Gerhard. Questa commedia si è ripetuta un’altra volta nella prima metà stagione. Enzo prese nota.

Prima di Hockenheim il Vecchio ci ha riuniti nel suo ufficio di Fiorano e ci ha detto: ‘D’ora in poi Barnard tornerà in Inghilterra (alla GTO, la sua base inglese, ndr) per concentrarsi sulla macchina aspirata dell‘88 (questo era il piano allora, poi l’aspirato fu rinviato al‘89, ndr) e l’unica persona che comunicherà con lui sarò io. Harvey prenderà in mano la squadra pista per il resto della stagione, fate il meglio che potete per finirla a testa alta’. È stata una liberazione: la F1/87 ad Hockenheim è andata in prima fila e ha finito la stagione con due vittorie. Nella seconda parte di stagione è stata sempre a meno di mezzo secondo dalla pole, mentre nella prima metà nelle mani di Barnard viaggiava mediamente oltre 2,5 secondi. Non ho mai visto una macchina ‘sbagliata’ diventare così competitiva senza modifiche esterne significative.

Da Hockenheim Harvey nominò Giorgio Ascanelli come race engineer di Berger. Con Giorgio avevamo sviluppato i set-up di Alboreto, io in galleria e lui in ufficio calcolo. Giorgio sapeva esattamente cosa fare usando i dati prodotti dalla galleria e Gerhard andò forte fino alla fine della stagione. Avrebbe potuto vincere anche in Messico e in Portogallo. Però la mia storia dell’87 non finisce qui…“.

Per il finale della stagione 1987 e il prosieguo della storia tra Jean-Claude Migeot e Ferrari vi rimandiamo alla seconda parte dell’intervista.

Immagini: Ansafoto, Wikimedia Commons

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