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F1 / IndyCar | Intervista esclusiva a Takuma Sato: “I primi punti a Suzuka nel 2002 un ricordo felice, vincere la Indy 500 un’esperienza strabiliante”

Autore: Francesco Gritti
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Pubblicato il 6 Agosto 2025 - 10:00
Tempo di lettura: 12 minuti
F1 / IndyCar | Intervista esclusiva a Takuma Sato: “I primi punti a Suzuka nel 2002 un ricordo felice, vincere la Indy 500 un’esperienza strabiliante”
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Takuma Sato, due volte vincitore della Indy 500 ed ora uomo Honda, si è concesso a P300.it durante il round al Paul Ricard dell’International GT Open

Da Le Castellet – Takuma Sato è una leggenda vivente del motorsport. Un pilota dalla carriera lunghissima, conosciuto sia in Europa per i suoi trascorsi in Formula 1 che oltreoceano, dove ha conquistato due volte (2017, 2020) la gara più veloce del mondo, la 500 Miglia di Indianapolis; un onore che pochi piloti al mondo possono vantare. Nonostante ciò, il quarantottenne nato a Shinjuku, Tokyo, ha raccontato con grande umiltà molti aneddoti riguardanti una carriera infinita e piena di successi durante questa intervista a P300.it.

Ciao Takuma, grazie per aver trovato del tempo per noi. Con questa domanda vorrei portarti indietro di qualche anno. Qual è stato il tuo primo approccio al motorsport?

“Il mio primo approccio? Beh, ci sarebbe davvero molto da raccontare! Tutto è cominciato nel 1987, quando sono andato per la prima volta a vedere un evento in circuito. Era il Gran Premio del Giappone che, anche all’epoca, si teneva a Suzuka. Sono stato un grande appassionato di auto fin da bambino ma, dato che i miei genitori non sapevano come fare, non ho mai avuto l’opportunità di andare in pista o ad eventi simili.

Il 1987 è stato il primo anno in cui si è svolto il Gran Premio del Giappone a Suzuka. Oltretutto, in quella stagione Honda ha vinto il titolo in Formula 1 in quanto motorista della Williams, c’era in pista Satoru Nakajima e quello era il primo GP del paese del Sol Levante dopo molti anni. Insomma, Honda ha venduto molti biglietti! Quindi quella è stata la mia prima volta in qualcosa che avesse a che fare con il motorsport.

All’epoca non sapevo nulla sulle corse, ma, dopo aver vissuto una giornata fantastica, mi sono innamorato di questo mondo. A differenza della maggior parte dei piloti, non ho avuto la possibilità di correre sui kart da bambino, quindi ho dovuto aspettare altri 10 anni per poter avere il mio primo vero ‘assaggio’ di motorsport. Fino ad allora ho praticato il ciclismo in Giappone. Ero davvero pazzo per le corse anche all’epoca, ma, nonostante ciò, non avevo la possibilità di mettere in pratica questa mia passione.”

Passiamo quindi al tuo debutto, che è avvenuto a circa 20 anni. Hai dei ricordi particolari di quel periodo?

“Ho davvero molti ricordi! Ho sempre sognato di poter correre, ma il mio ambiente non lo ha permesso per varie ragioni, tra cui quella economica. Da adolescente, come detto, ho praticato molto ciclismo, sport in cui ho vinto il campionato giapponese al liceo. Anche all’università continuavo a leggere Auto Sport e i vari magazine relativi a questo settore.

Lì ho trovato un inserto riguardante una Racing School a Suzuka gestita da Honda. L’annuncio indicava che il limite di età era di 20 anni. All’epoca ne avevo 19 e potevo fare domanda per essere ammesso l’anno successivo, in cui ne avrei compiuti 20, che era il limite massimo. Quindi ho chiesto ai miei genitori di darmi una singola chance di seguire questa vocazione.

Sono stato davvero fortunato a ricevere il loro supporto e ad iscrivermi alla Racing School. A 20 anni ho praticato il karting per mezza stagione e poi sono andato a Suzuka, dove ho vinto lo Scolarship. Ecco come è cominciata la mia carriera! A 21 anni mi sono trasferito nel Regno Unito e ho iniziato a correre nella Formula Opel Euro Series, che mi ha anche permesso di venire a Monza.

Dopodiché, nel 2000 e nel 2001 sono passato alla Formula 3 britannica. I miei primi ricordi nella Racing School gestita da Honda a Suzuka sono ancora intrisi di emozione. Insomma, lì ho provato per la prima volta una monoposto!”

Rappresenti Honda anche ora. Il tuo rapporto con il costruttore è iniziato come hai detto prima?

“Sì, è andata esattamente così. Avevo davvero bisogno di qualcuno che mi supportasse perché il motorsport è davvero costoso e la mia famiglia non poteva sostenere queste spese. Ho fatto lo Scolarship, che non era proprio come il programma di sviluppo che c’è oggi, ma comunque era parzialmente di Honda, la quale mi ha accompagnato per praticamente tutta la carriera.”

Vorrei passare al tuo debutto in Formula 1. Come è nata la possibilità di gareggiare nella classe regina dell’automobilismo?

“Il tempismo era quello giusto. Quando ho ricevuto la possibilità di fare lo Scolarship e, poi, di trasferirmi nel Regno Unito, ho capito che il mio sogno era quello di correre in Formula 1. Certo, non è semplice, perché per arrivarci devi dimostrare tanta velocità e impressionare con le tue prestazioni. Inoltre, volevo debuttare in F1 a 25 anni.

Ecco perché ho fatto un programma di due stagioni in Formula 3, che sono state anticipate da un anno e mezzo o due di preparazione. Ho scelto di andare in Formula Opel perché avevo bisogno di imparare l’inglese, cosa che facevo andando a scuola tutti i giorni e venendo ospitato da una famiglia locale, e per provare ad apprendere più aspetti riguardanti questo sport tramite la partecipazione al campionato.

Nel 2000 ho firmato un contratto con Carlin, che era ancora agli albori. Ho vissuto un bel periodo con loro! Tornando a noi, nel 2001, abbiamo dominato la F3 britannica e ho vinto il Masters of Formula 3 a Zandvoort e il Gran Premio di Macau. Questi risultati mi hanno aperto le porte della Formula 1. Già nel 2000 ho ottenuto il maggior numero di pole position nella serie, anche più del campione Antonio Pizzonia, ma sono arrivato terzo perché o vincevo o non finivo la gara.

Alla fine di quell’anno Eddie Jordan mi ha fornito l’opportunità di guidare una sua vettura di Formula 1. Insomma, mi ha fatto un piccolo ‘regalo di Natale’. Questo test era segreto, dato che anche pochi giorni prima che si svolgesse nessuno ne era a conoscenza. Penso sia stato un momento importante per me, visto che sono andato a Jerez, in Spagna, e ho fatto la mia prima esperienza in Formula 1 su una EJ10.

L’anno seguente ho affiancato al mio impegno in F3 il ruolo di test driver in BAR. L’idea di mantenere i contatti con me è sempre stata chiara e a fine 2001, dopo che ho vinto il campionato, Eddie voleva che firmassi con la sua scuderia. Certo, pensava anche al suo motorista, quindi questo accordo era legato anche alla ‘politica’. Honda, in realtà, non voleva che andassi in Jordan perché all’epoca era BAR la sua scuderia di riferimento. All’epoca, però, ci correvano Panis e Jacques Villeneuve, quindi non c’era un sedile per me.

Penso che tu debba cogliere al volo ogni opportunità di andare in Formula 1, quindi io e Eddie abbiamo siglato un accordo. Sfondare in Formula 3 e nel Gran Premio di Macau, che, per essere più precisi, è avvenuto dopo la firma del contratto con Jordan, e, in generale, il mio percorso nelle junior formula europee mi ha permesso di arrivare in Formula 1.”

Ti pongo un quesito che riguarda tre Gran Premi importanti per la tua carriera in Formula 1: Giappone 2002, USA 2004 e Canada 2007. Quale tra questi ti ha lasciato i ricordi migliori?

“Bella domanda! Insomma, è difficile scegliere quale gara di Formula 1 mi ha lasciato i ricordi migliori! Nel Gran Premio del Giappone del 2002 ho siglato i miei primi punti in F1 a Suzuka, il che è incredibile. Michael Schumacher, che aveva conquistato il titolo con la Ferrari quell’anno, ha detto che c’erano due vincitori quel giorno. Penso sia un grande onore venire chiamato in questo modo.

Nel GP degli USA del 2004, che si è tenuto a Indianapolis, ho ottenuto il mio primo podio, che è stato così speciale da aver reso solo la vittoria della Indy 500 un’esperienza altrettanto strabiliante. Non posso sceglierne uno solo, ma se dovessi dirti quello che è il mio ricordo più felice in assoluto potrebbe essere quello a Suzuka.

È stata una stagione complessa quella che ho fatto nel 2002 con la Jordan. La EJ12 è stata una macchina veramente difficile da cui partire, ma sono migliorato nel tempo fino a riuscire a competere ad altissimo livello davanti al mio pubblico. In quel GP ho ottenuto il settimo tempo in Qualifica e ho terminato la gara in quinta posizione. Quel weekend ci sono state complessivamente 200.000 persone a Suzuka che tifavano vestite di giallo e facevano delle coreografie. Quello è un momento speciale, ma sai, anche l’arrivo sul podio al Gran Premio degli Stati Uniti è un ricordo fantastico.”

Dopo la fine della tua avventura in Formula 1 hai deciso di andare in IndyCar. Perché hai scelto proprio questa categoria?

“Non era un bel periodo. Certo, ho vissuto molti momenti meravigliosi anche in Super Aguri, scuderia in cui ho corso nel 2006, nel 2007 e per qualche gara nel 2008. Nel 2007 abbiamo ottenuto per la prima volta l’accesso al Q3 a Melbourne, abbiamo conquistato il primo punto a Barcellona e poi c’è stato il Gran Premio del Canada, il sesto della stagione, in cui ho superato Alonso, che all’epoca era in McLaren.

Super Aguri, però, ha chiuso per via della crisi finanziaria, quindi non avevo più un team. Nonostante ciò volevo trovare un modo per tornare in Formula 1. Il test in Toro Rosso è andato molto bene, ma non sono riuscito per una serie di motivi a tornare in F1. Sono anche stato seguito da Renault, ma alla fine non si è concretizzato nulla. All’epoca ero in un periodo in cui dovevo correre. Insomma, non potevo perdere tempo.

Ho cominciato a guardare verso l’IndyCar perché sono sempre stato interessato a partecipare alla Indy 500. Così ho fatto una visita al Qualifying Day e sono rimasto di stucco quando ho visto quanto era fantastico quell’evento. Nel 2010, fortunatamente, Jimmy Vasser mi ha fornito l’opportunità di correre in IndyCar e da allora non ho mai smesso! Non mi sarei mai aspettato di gareggiare in quel campionato, in cui ho davvero vissuto dei bei momenti.”

Quest’anno hai corso solamente la Indy 500. Cosa rappresenta per te questa gara? Potresti raccontarci come hai vissuto l’edizione 2025?

“Penso che ogni pilota voglia partecipare ad un campionato completo, ma, ad oggi, ho ottenuto così tanta esperienza, ho corso per così tanti anni e ho vissuto così tanti bei momenti da potermi tranquillamente ritirare. Come obiettivo personale e data la mia posizione, che mi permette di seguire i giovani piloti, ho pensato che, in caso ci dovesse essere l’opportunità di continuare a correre la Indy 500, potrei coronare la mia passione e scrivere una nuova pagina della mia carriera. Ecco perché partecipo alla Indy 500.

Correre anche una sola gara all’anno è una parte davvero importante della mia vita. Ora ricopro il ruolo di Executive Advisor di HRC e di direttore della Honda Racing School. Sono felice di supportare i giovani piloti in questo modo. Oltretutto ci sono degli aspetti in cui posso usare la mia esperienza per supportare le attività nel motorsport di Honda. Al contempo posso dimostrare ai ragazzi che continuo a correre per la passione che ho e perché ci sono molte persone a supportarmi.

Voglio essere un esempio. Insomma, non devi dipendere dal programma di un costruttore, puoi essere anche individualista. Mi piace il programma che affronto ora. Da sempre voglio essere competitivo. Ecco perché se non trovassi un ambiente simile probabilmente non affronterei la Indy 500. Posso dire che l’edizione di quest’anno è stata abbastanza agrodolce. Ho ottenuto la prima fila in qualifica, il che è positivo, ma la gara non è andata come previsto nonostante abbia tenuto la prima posizione per più giri di qualsiasi altro pilota. Ho comunque dimostrato il mio potenziale e quello della squadra. Sarebbe fantastico continuare questa storia, quindi spero di tornare l’anno prossimo per finire questo lavoro e vincere la mia terza Indy 500. Sono felice di supportare Taito (Kato n.d.r.) e un altro giovane pilota nella F4 francese. Sono contento di vivere ancora il motorsport dall’interno, ma mi piace anche supportare dall’esterno i giovani piloti. Sai, è proprio un bel periodo della mia vita!”

Ti pongo una domanda molto personale. Quali sono i 3 piloti più forti che hai mai affrontato?

“Sicuramente Michael Schumacher rientra in questa top 3. Penso sia stato un po’ l’eroe di tutti all’epoca. Mi verrebbe in mente anche Lewis (Hamilton n.d.r.), ma, dato che la differenza di performance tra McLaren e Super Aguri era grande, non abbiamo mai lottato davvero. Ho invece fatto delle grandi battaglie con Fernando Alonso. Anche tutti i compagni di squadra che ho avuto, tra cui Jenson (Button n.d.r.) sono dei grandi piloti.

Nella top 3 che mi hai chiesto rientrano sicuramente Michael Schumacher e Fernando Alonso. Per il terzo dovrei sceglierne uno dall’IndyCar, quindi ti dico Alex Palou, che è un pilota giovane e talentuoso. Ho lottato anche contro altri giganti di questo sport, come Dario Franchitti e Scott Dixon, ma sono felice di aver condiviso la pista con Alex. Penso di essere fortunato ad aver affrontato alcuni dei migliori piloti della storia.”

La prossima domanda riguarda il tuo ruolo attuale e la tua esperienza in questo mondo. Secondo te, è difficile per un pilota giapponese passare dalla scena nazionale a quella americana o europea? Che suggerimenti gli daresti?

“Beh, la difficoltà di questo trasferimento è cambiata nel tempo e non c’è mai stato un metodo unico e corretto per affrontarlo. Oggi, però, penso che per un pilota facente parte di un programma di sviluppo come quello di Honda sia importante correre in F4 o FRECA. Ai miei tempi la Formula 3 era la categoria per eccellenza destinata alla formazione dei piloti ed era pieno di campionati nazionali. C’erano la F3 tedesca, quella francese, quella italiana, quella britannica, quella giapponese e non solo. All’epoca c’erano più strade per arrivare in Formula 1.

Oggi invece devi affrontare la scalata delle serie FIA. Dopo la FRECA ci sono la F3 e la F2. In poche parole è stato delineato un percorso non obbligatorio, ma ideale, per arrivare in F1, cosa che, di conseguenza, è molto difficile oggi. Penso che sia importante migliorare non solo le proprie abilità di guida, ma anche quelle comunicative.

Insomma, l’inglese è essenziale per farsi capire, cosa che è di vitale importanza in questo sport. Puoi anche andare negli Stati Uniti, ma dipende cosa vuoi fare, dato che anche lì c’è una scalata da affrontare, la cosiddetta Road to IndyCar, oltre ad altre opportunità di carriera. Per quanto riguarda HRC, l’attenzione che Honda sta mettendo verso la Formula 1 in questo momento rende necessario che il suo programma di sviluppo segua le competizioni europee. Fortunatamente ci sono anche delle possibilità di andare negli Stati Uniti per i giovani piloti.”

Passiamo ad un argomento più legato alla guida. Qual è l’auto più bella che hai mai guidato? E la tua pista preferita?

“Penso che tutti quanti amino Suzuka. Insomma, è una delle piste preferite dalla maggior parte dei piloti di Formula 1. Posso dirti che è spettacolare! Anche Spa-Francorchamps, come dicono tutti, è fantastica, così come Monte Carlo, un tracciato davvero speciale. Ci sono anche molti altri autodromi meravigliosi. Per esempio, io amo Indianapolis, che, seppur sia molto diverso dagli altri che ho nominato, è un gran tracciato.

Per quanto riguarda le auto, mi manca il rombo dei V10. Le vetture che ho guidato in Formula 1 tra il 2002 e il 2004 erano semplicemente stupefacenti. Aggiungo che la BAR del 2004 è una delle migliori auto che ho mai portato in pista. Devo ammettere, però, che i test del 2008 con la Toro Rosso sono stati un’esperienza piacevole. Per la prima volta ho provato una vettura di Adrian Newey con motore Ferrari. Siamo stati estremamente competitivi, dato che ho conquistato il miglior tempo nella seconda giornata. Ho vissuto dei bei momenti alla guida della Toro Rosso, che era una vettura davvero meravigliosa.”

Anche tuo figlio Rintaro sta seguendo i tuoi passi. Come vivi il fatto di avere un figlio pilota? Cosa cambia nel rapporto che hai con lui in quanto padre e in quanto Executive Advisor di HRC?

“Siamo parte della stessa famiglia, quindi è diversa la visione che ho di lui in base al contesto. Sono felice che stia seguendo i miei passi, in quanto condividiamo la gioia delle corse e molta passione, ma, d’altro canto, lo tratto come uno dei piloti di sviluppo di Honda. Da quel punto di vista non c’è nessun ‘figlio di’. Abbiamo tracciato una ‘linea professionale’ e lo trattiamo esattamente nello stesso modo di Kato.

Adesso Rintaro corre in Francia, dato che ha vinto l’Honda Racing Scolarship. Lui ha bisogno di essere forte e di svilupparsi nel corso dell’anno. Ha già dimostrato di avere un potenziale elevato, anche se non ha ancora conquistato dei grandi risultati, che spero possa ottenere nella seconda metà di stagione in modo da continuare a correre in Europa anche il prossimo anno.

Dal punto di vista del padre, avere un figlio che corre è elettrizzante ma, al contempo, ti rende molto nervoso, che sono due emozioni molto diverse tra loro. Auguro a Rintaro il massimo della fortuna, esattamente come a Taito, che sta facendo un ottimo lavoro, dato che ha terminato Gara 1 al Paul Ricard in terza posizione, quindi sul podio. C’è anche un altro pilota, attualmente nella ‘scuola’ di Suzuka, che, potenzialmente, potrebbe venire in Europa l’anno prossimo. Vedremo come crescerà la nuova generazione di piloti.”

Siamo giunti all’ultima domanda. Sei un pilota di esperienza, impegnato sia in pista, sia nello sviluppo e nella preparazione di giovani piloti. Hai già dei piani per il 2026? Ci sono dei sogni che vorresti si realizzassero in futuro?

“Mi piacerebbe vedere più giovani piloti giapponesi nelle competizioni di tutto il mondo. Inoltre, dal nostro punto di vista, Yuki (Tsunoda n.d.r.) avrebbe bisogno di trovare costanza di rendimento. Speriamo che cominci a brillare nella seconda parte del campionato di Formula 1. Sappiamo che questo è un periodo molto difficile, ma so che può essere davvero competitivo.

D’altro canto mi piacerebbe che Ayumu (Iwasa n.d.r.) abbia successo in Super Formula in modo da poter ricevere qualche opportunità in Formula 1. Vorrei personalmente vincere la terza Indy 500. Vorrei inviare i nostri migliori auguri sia a Rintaro, sia a Taito. Per quanto riguarda Kato, non abbiamo ancora deciso se fare un secondo anno in FRECA o compiere un salto in F3. Insomma, è presto per dirlo, ma, fortunatamente, ci sono delle opportunità. Penso che il 2026 sarà un altro anno interessante. Speriamo di cominciare a prepararci.”

Ringraziamo Takuma per averci dedicato il suo tempo.

Immagine: Media IndyCar

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