F1 | GP Austria 2023, analisi: la figuraccia dei track limits, i motivi e un’ipotesi di risoluzione del problema

AnalisiF1GP AustriaGran Premi
Tempo di lettura: 8 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
3 Luglio 2023 - 16:00
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In questa analisi sul GP Austria 2023 i motivi che hanno portato ad una situazione grottesca nella gestione dei track limits e i modi in cui si può porre rimedio

La Formula 1 lascia l’Austria con un appunto sul calendario. Tra un anno, nel 2024, non potrà ripetersi una situazione come quella vista durante lo scorso weekend del GP Austria 2023 per colpa dei track limits. Centinaia di tempi cancellati, piloti esclusi dalle sessioni di qualifica, pioggia di penalità in gara che hanno richiesto cinque ore per avere una classifica finale definitiva non sono situazioni degne della massima categoria del Motorsport.

La specificità del Red Bull Ring fa sì che da anni le ultime due curve, la 9 e la 10, siano oggetto di attenzione da parte della Federazione e della F1 per imporre ai piloti dei limiti da rispettare.

Dal 1997 al 2003, quando l’allora A1 Ring tornò in calendario, le due curve vedevano erba/ghiaia all’esterno. L’immagine sopra è di Michael Schumacher durante il GP del 1998 quando, durante il tentativo di inseguire Mika Hakkinen, andò fuori pista proprio a curva 9 danneggiando la F300.

Con l’acquisizione dell’impianto da parte di Red Bull nel 2003 si è proceduto con la sua completa ristrutturazione. Nel 2014, quando il GP d’Austria è tornato a far parte del calendario, le ultime due curve sono state allineate in quanto a vie di fuga a tantissime altre presenti sulle piste del mondiale; con un’ampia zona in asfalto in curva 9 mentre, all’esterno della 10, l’asfalto stesso è stato inizialmente preceduto da una striscia di erba sintetica, ritenuta poi pericolosa – e rimossa – in caso di umido.

I track limits però, già ai tempi, erano stati segnalati come potenziale problema e le soluzioni provate sono state diverse, anche in negativo. Poco sopra vediamo il caso dei panetti, installati trasversalmente ed in sequenza all’uscita di curva 9 nel 2016, e gli effetti sulle sospensioni di Daniil Kvyat, mandate in risonanza ed implose con il russo finito poi a muro.

Negli anni il problema si è riproposto diventando sempre più pressante fino al disastro dell’ultimo weekend, che ha rappresentato evidentemente la goccia che ha fatto traboccare il vaso. La Formula 1, e di questo ne sono consci tutti, anche all’interno del Circus, non può permettersi figure del genere con una sequenza indefinita di segnalazioni che piovono in grafica e di penalità che vengono, poi, comminate ore dopo il termine della corsa.

È quindi necessario, anzi imperativo, trovare una soluzione. Ma quale?

Il nodo della ghiaia, la questione MotoGP

Nel comunicato di ieri sera, fatto circolare internamente ai media da parte della FIA durante la review dei track limits, si legge che “Al fine di risolvere il problema per gli eventi futuri, rinnoveremo la nostra raccomandazione al circuito di aggiungere una porzione di ghiaia all’uscita delle curve 9 e 10. Sappiamo che sebbene questa non sia la soluzione ideale in relazione ad altre serie che corrono sul tracciato, si è dimostrata efficace in altre curve e su circuiti con simili problemi”.

In prima analisi l’imposizione di un limite fisico sul tracciato sarebbe effettivamente la soluzione più logica e definitiva. Una soluzione, tra l’altro, già chiesta dalla Federazione al circuito in passato e non soddisfatta da parte dell’impianto, che dovrebbe sostenere costi ingenti per adeguare il tracciato a F1 prima e MotoGP poi, togliendo e rimettendo la ghiaia per decine di metri.

Se per la F1, infatti, sarebbe sufficiente una lingua di ghiaia fuori dal cordolo della larghezza di 3, 4 metri per invitare i piloti a non esagerare e risolvere subito il problema, al tempo stesso questa soluzione non sarebbe ideale per le moto. Le quali, in caso di uscita di pista, troverebbero prima la ghiaia e poi l’asfalto con un grosso pericolo di ribaltamento invece che la possibilità di strisciare per metri in modo lineare come succede ora. L’altra eventualità, quella di ripristinare completamente un’intera via di fuga in ghiaia, non sembra invece praticabile, in considerazione anche dei costi sostenuti in passato per asfaltare tutto.

Sempre riguardo alla MotoGP, va ricordato che il Red Bull Ring tiene particolarmente alla sicurezza nel Motomondiale. Da anni curva 10 viene “anticipata” disegnando il cordolo di uscita sull’asfalto per renderla più lenta da affrontare. Mentre (foto più in alto), dall’anno scorso ha debuttato la chicane che spezza il rettilineo tra le curve 1 e 3 dopo il terribile incidente del 2020, che poteva avere conseguenze catastrofiche, tra gli altri, per Valentino Rossi e Maverick Vinales.

La review è semi-manuale

Com’è possibile che ci vogliano ore per poter verificare tutti i casi di track limits? La risposta è semplice. Il flusso di gestione di una singola infrazione prevede che questa, dopo essere stata segnalata tramite gli strumenti a disposizione, passi prima al Direttore di Gara e poi ai commissari per la validazione finale. C’è quindi una serie di passaggi intermedi tra la rilevazione iniziale e l’eventuale accertamento della stessa.

La lentezza dell’accertamento è condizionata dal fatto che, come discriminante, viene utilizzata la riga bianca esterna e che quindi, con le immagini a disposizione, bisogna rivedere frame by frame se le ruote sono andate oltre o meno la riga. Per convenzione, non potendoci essere una certezza matematica, le infrazioni vengono accertate quando il passaggio oltre la riga è chiaro. I casi incerti, in buona sostanza, non vengono considerati.

Diventa quindi comprensibile che, nel corso di una gara che vede anche una Safety Car ed una Virtual Safety Car, il Direttore di Gara non possa far fronte ad una mole di oltre 1200 track limits segnalati oltre a quello che è il suo ruolo principale.

I sensori non ci sono ma, forse, si potrebbero usare. La nostra proposta

Questione sensori. O meglio, non questione. Perché i sensori, nelle curve 9 e 10 del Red Bull Ring, non ci sono. L’identificazione delle infrazioni viene accertata tramite sistemi video ma non esiste un sensore annegato, per capirci, sotto la linea bianca. Questo per un motivo semplice, ovvero la tolleranza che gli stessi possono avere, come succede per altro sulle piazzole di partenza. Spesso vediamo in griglia monoposto non allineate perfettamente ma la tolleranza di diversi centimetri fa sì che i sensori non scattino. Oltretutto, se piazzati sotto la linea bianca, dovrebbero scattare solo se calpestati dalle ruote interne per segnalare l’infrazione, il che richiederebbe comunque una review.

Quale potrebbe essere, quindi, una soluzione che accontenti tutti? Perché, tra gli attori in gioco, dobbiamo considerare anche i piloti. Per tutto il weekend si sono lamentati del fatto di non avere visibilità dall’abitacolo, cosa innegabile vedendo gli onboard dalle helmet cam. Giudicare se si è oltre o meno una riga da 20 centimetri quando si gira in curva a 250 all’ora è quasi impossibile, specialmente se da metà ruota in giù non si vede più nulla.

Una soluzione, o almeno un’ipotesi, potrebbe essere quella di avvalersi sì di una serie di sensori ma non annegati sotto la riga bianca. Utilizzando l’immagine qui sopra e considerato che:

A) le monoposto sono larghe due metri e dispongono di un trasponder centrale (oltre ad altri di backup)
B) i piloti lamentano scarsa visibilità

l’ipotesi potrebbe essere quella di annegare un numero (variabile in base alla curva) di sensori (linee verdi) a distanza di 2,5/3 metri massimo l’uno dall’altro (la lunghezza di metà monoposto circa), disposti orizzontalmente (linea gialla verticale) a un metro e 25 centimetri (linea blu) dalla fine della riga bianca, che delimita la pista. Ricordiamo infatti che le monoposto sono considerate fuori quando completamente oltre alla riga. 25 centimetri che sono identificati come esempio, ovviamente.

Questo significherebbe lasciare, in curve ritenute impegnative come la 9 e la 10 del Red Bull Ring, un margine di 25 (od oltre) centimetri oltre la riga bianca, per evitare quindi le lamentele sul “non so dove metto la ruota” e facendo così in modo tale che un pilota si renda conto effettivamente di essere uscito ampiamente dai limiti del tracciato.

L’infrazione scatterebbe nel momento in cui la monoposto “calpesta” con il trasponder una percentuale di questi sensori, percentuale dipendente dal tipo di curva. Ad esempio, con 15 sensori installati, se il trasponder passa su 5 di questi (il 33%) scatta il segnale, questa volta automatico, che segnala l’infrazione in contemporanea al team al muretto e al pilota sul volante, utilizzando la stessa linea delle segnalazioni delle bandiere.

In questo modo non ci sarebbe più bisogno di una review umana e di una procedura su più livelli lunga e laboriosa, perché sarebbe tutto gestito in automatico. Questo significherebbe:

A) certezza dell’infrazione
B) consapevolezza per i piloti di essere usciti oltre un certo margine
C) immediatezza della segnalazione e dell’eventuale penalità

Si tratta di una soluzione che potrebbe essere applicata ovunque si presenti in F1 il problema track limits. Oltre all’Austria ci sono, ad esempio, i casi di Austin (penultima curva) e Sakhir (curva 4). L’applicazione potrebbe essere davvero infinita ma, soprattutto, identica ovunque e senza bisogno di “personalizzare” per ogni circuito la questione, garantendo quindi anche coerenza delle eventuali sanzioni con un sistema uguale dappertutto.

Infine, nota importante, questa soluzione non andrebbe ad impattare sulla convivenza tra due e quattro ruote all’interno dello stesso impianto, con polemiche sull’uso o meno della ghiaia in determinati punti.

Si tratta ovviamente di una semplice ipotesi. Vedremo, in futuro, come F1, Federazione e tracciati decideranno di intervenire per risolvere un problema diventato decisamente importante.

Immagini: Media Red Bull

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