Il record di astinenza da titoli in generale è già battuto, ma quanto tempo servirà ancora?
È usanza comune pensare che il record di astinenza da titoli mondiali della Ferrari sia quello intercorso tra il 1979 ed il 2000, aperto dalla vittoria di Jody Scheckter e chiuso da quella di Michael Schumacher per quanto riguarda il mondiale piloti, quello che viene ritenuto sempre più importante per il pubblico. In realtà non è così e la stagione 2024, anche se per soli 14 punti di differenza dalla McLaren, ha segnato un nuovo limite negativo per la squadra del Cavallino.
Infatti, il periodo più lungo senza un titolo mondiale era stato quello tra i due mondiali costruttori del 1983 e 1999, tra i quali erano trascorsi 16 anni. Se la Rossa fosse riuscita nell’impresa a fine 2024, avrebbe pareggiato i conti dal 2008: invece, siamo al 17° anno e la sensazione è che si dovrà almeno aspettare il 18° a fine 2026, se tutto dovesse andare a gonfie vele, per chiudere il vero ciclo più lungo a bocca asciutta. Anche se i dubbi iniziano ad alimentarsi già ora.
Nel 2008, quando la Ferrari dovette accontentarsi del campionato costruttori lasciando quello riservato ai piloti, il primo dei suoi sette, a Lewis Hamilton per un solo punto nella pioggia di Interlagos, gli smartphone erano ancora al loro stato primordiale e i social network molto lontani dal diventare il metro di giudizio della credibilità delle persone. Sono passati “solo” 17 anni, ma la cavalcata della tecnologia fa pensare a quel periodo come a qualcosa di estremamente lontano per chi ne ha un distinto ricordo.
Era una F1 in procinto di abbandonare un lungo ciclo aerodinamico e pronta ad abbracciare i primi tentativi di tecnologia ibrida con l’introduzione del Kers, unita ad una rivoluzione aero, quella del 2009, che sarebbe stata seguita dal ban dei rifornimenti a partire dal 2010.
Proprio dal 2009 sarebbe partito un digiuno impensabile, dopo un lungo periodo caratterizzato da macchine da mondiale. Ad esclusione della F2005, vittoriosa solo nella farsa di Indianapolis (oggi è il suo 20° anniversario), sin dal 1997 la Ferrari era stata in lizza per il titolo consecutivamente fino al 2008, con una striscia invidiabile seppur faticosa e caratterizzata da delusioni agli inizi.
Eppure, dopo l’esperienza tremenda con la F60, La F10 del 2010 aveva permesso al nuovo arrivato Fernando Alonso (al posto di Kimi Raikkonen, l’ultimo titolato piloti nel 2007) di lottare per il titolo fino alla fine, anche grazie ai guai tecnici che avevano colpito la Red Bull e Sebastian Vettel. Inutile ricordare il pasticcio di Abu Dhabi in una stagione, comunque, caratterizzata anche da errori dello spagnolo.
Quello che però è importante ricordare è come, proprio dal 2010, sia partita la lunga stagione delle epurazioni, con teste consegnate come capri espiatori in occasione di figuracce magre. Chris Dyer, capo degli ingegneri di pista, titolato con Schumi prima e Raikkonen poi, fu il primo a subire le conseguenze delle cocenti delusioni rosse. L’anno dopo toccò ad Aldo Costa, allontanato a stagione iniziata da un paio di mesi dopo il disastroso GP di Spagna a Barcellona, iniziato con Alonso in testa alla prima curva e doppiato a fine gara.
Nel 2012 la ripresa e un altro mondiale sfiorato, questa volta in una Interlagos bagnata, con Alonso ancora beffato da Sebastian Vettel. Il 2013, ultimo anno dei motori aspirati, non avrebbe visto storia con la Red Bull ed il tedesco iridati per la quarta volta consecutiva.
Il 2014, così come sarà il 2026, sembrava poter essere l’occasione per ripartire da zero e tornare, finalmente, competitivi per la vittoria. Invece, sarebbe stata una stagione tremenda. Con la F1 appena entrata nell’era del dominio turbo e ibrido Mercedes, la Ferrari si ritrovò in mano una monoposto sotto la soglia della mediocrità, la F14T. Fu l’anno del reset generale, con le uscite di: Stefano Domenicali come Team Principal ad aprile, del suo sostituto Marco Mattiacci a fine anno, di Fernando Alonso al volante, Luca Marmorini all’area motori e del presidente Luca di Montezemolo dopo oltre 20 anni alla presidenza.
Il 2015 iniziò con un’organizzazione completamente nuova, con Sebastian Vettel arrivato a Maranello, Maurizio Arrivabene in qualità di Team Principal e Sergio Marchionne alla presidenza. Il primo anno della nuova struttura fu promettente, con le uniche tre vittorie non Mercedes segnate da Vettel oltre ad altri dieci arrivi a podio. Ad una stagione positiva ne seguì invece una totalmente negativa, la 2016, che portò all’uscita di James Allison dalla direzione tecnica, con Mattia Binotto in subentro.
Il 2017 ed il 2018, figli di un nuovo regolamento tecnico, restano gli ultimi anni di una Ferrari seria candidata al titolo almeno per tre quarti di stagione. Il mondiale 2017 sarebbe stato perso di 46 punti da Lewis Hamilton, quello 2018 di 88 (sempre dall’inglese) e condizionato da un mix di errori di Sebastian Vettel, decisioni strategiche poco comprensibili, misteri come quello di Hockenheim ed un altro ribaltone interno scatenato dalla prematura scomparsa, nel mese di luglio, del presidente Sergio Marchionne.
Per la Ferrari era in vista un’altra ripartenza da zero, con Maurizio Arrivabene in uscita e sostituito da Mattia Binotto a capo del team mente, alla presidenza, il posto lasciato da Marchionne finì nelle mani di John Elkann. Arriviamo rapidamente ai giorni nostri, con una Ferrari comprimaria nel 2019, totalmente assente nel 2020 e in leggera ripresa nel 2021 anche (si dice nei meandri del Paddock) per gli strascichi dell’accordo con la FIA sulle presunte violazioni riscontrate sulla PU del 2019.
Il 2022 vede l’arrivo del ciclo tecnico in chiusura quest’anno. Binotto promette una Ferrari al ritorno ad una certa competitività, parlando di quattro o cinque vittorie di stagione. Ne arriveranno quattro ma l’inizio scoppiettante di stagione fa schizzare le aspettative, poi annullate dall’ascesa della Red Bull e dalla Direttiva Tecnica di metà stagione su porpoising che sembra penalizzare più di tutti proprio la Rossa, uscita di scena progressivamente dalla lotta al titolo.
Ed eccoci a tempi ben più conosciuti. Binotto esce di scena a fine 2022 e viene sostituito da Fred Vasseur. Il primo anno è negativo, con Sainz che vince a Singapore nell’unica gara che vede in difficoltà la Red Bull e il 2024 diventa progressivamente una stagione importante, con la lotta al titolo costruttori che si protrae fino all’ultima gara di Abu Dhabi. Il titolo finisce nelle mani della McLaren, ma la Rossa di dicembre sembrava matura.
Mai parlare troppo presto. L’esaltazione generale per l’arrivo di Lewis Hamilton al posto del sacrificato Carlos Sainz, la girandola interna in salsa francese con gli arrivi di Loic Serra al reparto tecnico (al posto di Enrico Cardile) e Jerome d’Ambrosio in qualità di vice Vasseur (ma mai sentito al microfono), uniti alla decisione di cambiare sospensione anteriore per allinearsi a Red Bull e McLaren, parevano il mix essenziale per poter puntare ai titoli mondiali.
Il palco di Piazza Castello non poteva essere più nefasto per le ambizioni della Rossa. Che, dopo dieci gare di questo 2025, è già fuori dalla contesa su entrambi i fronti iridati e in preda ad una crisi interna dalle proporzioni probabilmente poco comprensibili. Oltre ad una monoposto non competitiva, Vasseur ha avviato una personale lotta con i media italiani, accusati a più riprese di essere fonte di aspettative troppo alte e distrazione per la squadra.
Una dinamica che mai si era registrata, almeno in questi termini, tra un Team Principal e la stampa nazionale negli ultimi decenni, la quale delinea una non sicurezza che si aggiunge ai problemi tecnici e ad un investimento di proporzioni mondiali, come quello di Hamilton, che non si sta minimamente avvicinando agli standard ipotizzati.
In tutto questo, dal 2019 risuona in modo piuttosto lampante l’assenza mediatica della dirigenza composta dall’attuale presidente Elkann e dall’AD Vigna, in prima linea per questioni di marketing ed immagine ma sempre poco (o, per meglio dire, praticamente mai) propensi ad esporsi e fare la voce grossa di fronte a situazioni negativissime come la doppia squalifica di Shanghai e la doppia esclusione dal Q2 di Imola davanti ai tifosi della Rossa.
Un’assenza che si ripercuote, ed era stato così anche per Mattia Binotto, sulla figura del Team Principal: che, oltre ad essere responsabile del team sotto qualsiasi punto di vista, si ritrova anche a fare da parafulmine mediatico e diventarne praticamente il capo ufficio stampa, con i risultati ad oggi sotto gli occhi di tutti.
Così come sembrava controproducente liberarsi di Binotto alla fine del 2022, dopo un solo anno di gestione del nuovo regolamento e nonostante risultati allineati alle aspettative di inizio stagione, parrebbe altrettanto pericoloso pensare ad un avvicendamento ora che si è in procinto di iniziare un nuovo, importantissimo ciclo tecnico. Eppure la situazione Vasseur, soprattutto a livello mediatico, sembra ancora più precaria di quella del suo predecessore, visto l’attacco frontale operato verso quella parte di stampa che, in nome dell’etica e della professione, si era permessa di parlare delle sue difficoltà in questa stagione.
Ai tifosi della Ferrari resta il ricordo sempre più lontano delle vittorie iridate ed una condizione che, ciclicamente, sembra quasi richiamare un rimpasto e vedere la Rossa ripartire da zero, con lo smacco di aver visto tecnici ed ingegneri allontanati da Maranello (e sicuramente ne dimentichiamo alcuni) vincenti in altre squadre, Mercedes su tutte.
Il momento, ora, è delicatissimo. Tecnicamente la prossima monoposto, quella scenderà in pista per il prossimo ciclo tecnico, è già in lavorazione con una squadra che non è detto sia la stessa che ne assumerà il controllo tra un anno. Solo questo dovrebbe fare preoccupare.
Le voci dell’uscita di Vasseur si intensificano così come il nome di chi potrebbe sostituirlo: chi se non altro che Antonello Coletta, fresco triplo vincitore consecutivo della 24 ore di Le Mans nel WEC? Il volto della Ferrari che vince, certo, ma in un ambiente molto meno delicato della F1: per la serie che, a volte, non basta fare 1+1 per trovare la soluzione. Le implicazioni di un cambio al vertice operato ora potrebbero essere disastrose per il futuro prossimo ma la situazione è, al tempo stesso, incredibilmente difficile.
Incredibile è anche pensare come il 2025 sembri così distante da un 2024 terminato in grande spolvero. Ed è qui che la domanda sorge spontanea. Era così necessario cambiare così tanto, in pista e in fabbrica? Sarà molto difficile avere una risposta, soprattutto da chi risposte non è abituato a darne.
Immagine di copertina: Media Ferrari
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