F1 | Ferrari 412 T1, la rossa della riscossa: intervista all’ingegnere Nicolò Petrucci

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Tempo di lettura: 8 minuti
di Andrea Ettori @AndreaEttori
4 Aprile 2024 - 10:05
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L’ingegnere Nicolò Petrucci ci racconta della 412 T1, la Ferrari da cui ripartì la risalita di Maranello

Era il 1994 e, dalla matita del “mago” John Barnard, usciva la Ferrari 412 T1, la rossa che di fatto avrebbe iniziato il percorso di “ricostruzione sportiva” in casa Ferrari. I primi anni ’90, tolto appunto il mondiale di inizio decennio (quello delle 6 vittorie in una stagione di Prost e Mansell) sono stati anni complicati per il team di Maranello. Questioni politiche spinose miste ad errate scelte tecniche avevano fatto crollare le prestazioni della Ferrari in anni dominati dalla macchina “elettronica” per eccellenza, ovvero la Williams.

Con il ban degli aiuti elettronici e, soprattutto, delle sospensioni attive a fine 1993, la Ferrari aveva la possibilità di tornare a lottare almeno per le posizioni di vertice con una macchina totalmente nuova, la 412 T1. Bellissima e sinuosa, con le pance che presentavano un ingresso “simil naca” mai visto in Formula 1 fino a quel momento, la rossa venne presentata a Fiorano insieme ai tre piloti che avrebbero di lì a poco iniziato il drammatico mondiale 1994; Jean Alesi, Gerhard Berger e Nicola Larini nel ruolo di tester.

La sensazione, già dalle prime gare, fu che la Ferrari avesse finalmente intrapreso il cammino giusto. Nonostante le modifiche in corsa arrivate dopo le tragedie del week-end di Imola, la 412 T1 riuscì a restare piuttosto competitiva, tornando a vincere un GP dopo 58 gare di assenza dal primo gradino del podio. Berger, a Hockenheim, aiutato dal super V12 marchiato 043 (trovate qui il racconto di quella vittorie) colse un successo storico, spezzando la maledizione del team di Maranello. La Ferrari concluse la stagione 1994 al terzo posto dietro a Williams e Benetton, con 71 punti totali (una vittoria, 11 podi e 3 pole position).

P300.it ha avuto il piacere di intervistare Nicolò Petrucci, attuale assistente capo progettista del team Haas, in quegli anni in Ferrari come specialista aerodinamico. Attraverso le sue parole possiamo rivivere la storia della Ferrari 412 T1.

Ing. mi racconta com’era il clima in Ferrari, tra l’altro in piena ricostruzione con l’arrivo di Todt e dopo 3 stagioni molto complicate?

“Venivamo da tre stagioni, ’89-’90-’91, con vetture ottime come lo erano i piloti, ma purtroppo riuscimmo a conquistare solo nove vittorie e nessun campionato. Nel ’92 si decise di puntare su di un progetto completamente innovativo che, pur se come idea si dimostrò azzeccata, in quell’anno il connubio vettura e motore si dimostrarono molto poco competitivi.

Questa situazione, molto deludente e frustrante dal punto di vista dei risultati, convinse la direzione generale della Ferrari ad affidare la gestione del reparto telaio a John Barnard e a trasferire la progettazione, la ricerca e lo sviluppo in una nuova struttura in Inghilterra, dove oramai da anni i migliori ingegneri e squadre avevano fatto razzie di vittorie e campionati.

Personalmente non ero e ancor oggi non lo sono, convinto di questa inferiorità degli ingegneri e tecnici italiani; tuttavia, bisogna ammettere che i risultati avevano dimostrato che in Inghilterra vi fosse una metodologia di lavoro più efficiente e soprattutto efficace dal punto di vista dei risultati in pista. Detto questo, un particolare importante è che Jean Todt si unì alla scuderia Ferrari alla fine del 1992, cioè quando la decisione di trasferire l’intero settore telaio a Shalford, era già stata presa.

È sempre stata una mia convinzione che il manager francese non sarebbe stato protagonista di una scelta così drastica, di fatto disperdendo tutte le migliori risorse che vi erano nel reparto telaio – aerodinamica di Maranello.”

Che rapporto aveva con Barnard e come nacque la 412T1, soprattutto nelle forme delle pance con la
forma a Naca?

“Insieme ad altri tre giovani colleghi, ad inizio ’93 ho avuto la fortuna di essere tra gli unici che, pur avendo lavorato i quattro anni prima nel reparto telaio di Maranello, hanno avuto la possibilità di continuare sul progetto Formula 1.

Una volta trasferiti in Ferrari Design and Development (FDD) con base a Shalford, era chiaro che il nostro sarebbe stato solo un ruolo di supporto. Venendo da stagioni non molto fortunate, ed essendo abituati ad una metodologia di lavoro molto più latina, trovammo almeno nei primi mesi, un ambiente anglosassone piuttosto freddo e un poco diffidente nei nostri confronti.

In questo contesto personalmente ero ben felice di poter essere coinvolto nella 412 T1 a cui John, dal punto di vista aerodinamico voleva introdurre delle soluzioni che riducessero le perdite di carico attraverso le masse radianti e una sagoma dei fianchetti che migliorassero la penetrazione a tutto vantaggio dell’efficienza globale della vettura.

Insomma, capii subito, che, se anche c’era da stringere i denti in quanto per un italiano come me, era difficile abituarsi alla vita e alle abitudini inglesi, senz’altro vi era molto da imparare”.

Avevate già idea che la macchina fosse buona e che potesse finalmente essere un taglio con un
passato difficile?

“Per essere sinceri, la 412 T1 che gareggiò nel ’94, era una vettura innovativa e quindi, come dimostrava l’esperienza passata, molti sistemi richiedevano di essere migliorati se non altro dal punto di vista dell’affidabilità.

Vi era però un filo conduttore di questo progetto in quanto faceva parte della terza generazione delle vetture di John, a partire dalla Ferrari 640 del ‘89, per poi passare alla Benetton B191. Detto questo, dal punto di vista del lavoro in fabbrica, vi era una piacevole armonia, un nuovo “team spirit” concentrato a sviluppare la vettura sotto la supervisione di un ingegnere molto severo, ma estroso e di estrema esperienza.

L’impressione era che eravamo sulla strada giusta, ma gli sforzi che avremmo dovuto compiere prima di essere competitivi con compagini blasonate quali la McLaren e la Williams avrebbero dovuto essere ancora tanti”.

Cosa ricorda del mondiale 94 e quanto è stato difficile “ripartire” dopo le tragedie di Imola con anche un cambio di regolamento in corso d’opera?

“È stata una stagione difficile e purtroppo molto triste. Dal punto di vista tecnico diversi incidenti come quello di Ayrton, di Ratzenberger e di Barrichello ad Imola e di Alesi nei test al Mugello qualche settimana prima, ci indicarono che le vetture col fondo completamente piatto ed il diffusore di generose dimensioni, avevano raggiunto un livello di competitività che non era più proporzionato alla robustezza e quindi sicurezza delle vetture.

Noi avevamo investito molto tempo nello sviluppare un innovativo diffusore, sfruttando anche l’esperienza maturata con la vettura di due anni prima. Purtroppo, la Federazione decise di ridurre drasticamente la lunghezza del diffusore, che praticamente ci costrinse ad eliminare quanto di nuovo avevamo introdotto ad inizio stagione.

Fu un vero peccato, non saprei giudicare quanto le altre vetture siano state penalizzate dalle regole introdotte a stagione iniziata, ma senz’altro noi, in termini di prestazione pura della vettura, ne soffrimmo moltissimo”.

Quanto è stato liberatorio il successo di Hockenheim di Berger?

“Fino al GP di Germania avevamo ottenuto quattro terzi posti, tre secondi, ma la Ferrari doveva vincere e ad Hockenheim, con una vettura evoluta ed aggiornata con le drastiche le modifiche imposte dal regolamento, riuscire a vincere meritatamente fu soddisfazione vera.

Erano trascorsi quattro anni senza una vittoria e da solo un annetto la FDD aveva incominciato a funzionare. In Formula 1 è difficilissimo fare previsioni, ma in noi c’era proprio la sensazione che stesse iniziando una nuova era”.

Quanto lavoro di sviluppo avevate dedicato alla 412 T1 e nel team come giudicavate le voci sulle possibili irregolarità di qualche monoposto?

“Onestamente non ricordo di eclatanti irregolarità da parte dei nostri concorrenti, tuttavia quando alcune regole, come ad esempio quelle relative all’alimentazione del propulsore, sono state introdotte improvvisamente senza pensare alla loro robustezza, è facile che possano essere state aggirate o diciamo così interpretate in maniera non proprio conforme all’intenzione iniziale dei legislatori”.

A fine stagione eravate soddisfatti?

“Direi di sì, in quanto la 412 T1 era la prima vettura concepita interamente in FDD e da cui avevamo imparato molto, specialmente dal punto di vista aerodinamico. Infatti la 412 T2 del 1995, con la sigla interna di progetto 646, ne trasse un enorme beneficio.

Un argomento non trascurabile fu soprattutto lo sviluppo delle strutture di ricerca come la galleria del vento. La 412 T1 era stata definita e sviluppata con un programma troppo limitato specialmente dal punto di vista delle tempistiche di utilizzo della galleria del vento.

Infatti, a fine 1994, dall’impianto dell’università di Southampton passammo ad utilizzare quello della British Aerospace di Bristol. La galleria era adibita alle configurazioni a bassa velocità per i velivoli Airbus e quindi aveva una migliore qualità della vena, oltre a strumentazione ed impianti molto sofisticati come ad esempio quello per la simulazione dei gas di scarico.

In poco tempo la convertimmo per le nostre esigenze di vetture sfruttanti l’effetto suolo e finalmente anche noi potemmo beneficiare di uno strumento di ricerca tecnicamente evoluto come quelli utilizzati da Williams, McLaren e Benetton, le vetture più vincenti di quegli anni.”

Un ringraziamento all’Ingegnere Petrucci per la sua disponibilità.

Immagine di copertina: Media Ferrari

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