F1 e MotoGP sacrificate sull’altare di spettacolo, pubblico a tutti i costi e introito. Esiste ancora lo Sport?

di Alessandro Secchi
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Pubblicato il 27 Marzo 2023 - 18:27
Tempo di lettura: 14 minuti
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F1 e MotoGP sacrificate sull’altare di spettacolo, pubblico a tutti i costi e introito. Esiste ancora lo Sport?

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F1 e MotoGP cambiano volto: in favore dello spettacolo, per migliorare come Sport o per aiutare semplicemente gli incassi?

Ieri Stefano Domenicali, dai box della MotoGP, ha pronunciato una frase che abbiamo riportato e che sta suscitando discrete reazioni.

“Io sono un fautore della riduzione al minimo delle prove libere, che interessano gli ingegneri ma non il pubblico”.

Domenicali era presente a Portimao nel primo weekend del Motomondiale, quello dell’introduzione delle Sprint nelle due ruote, tra l’altro ad ogni avvenimento, con conseguente rivisitazione del format e riduzione di tempi di prove per i piloti.

Alla frase pronunciata ieri va ricordato che in passato lo stesso CEO della F1 aveva aggiunto un elemento importante, ovvero l’imprevedibilità che meno chilometri in pista creano in termini di risultato. Della serie “Meno si gira, meno si può adattare la macchina, più spettacolo c’è”.

L’argomento è molto ampio e riguarda un modello che anche il Motomondiale, da quest’anno, ha sposato con giustificazioni, implicazioni e rischi però differenti.

Prima di tutto è necessario capire qual è oggi il significato dei termini spettacolo e pubblico per chi comanda gli sport e per chi, gli sport, li guarda da semplice spettatore o tifoso.

“Penso che ognuno di noi sia d’accordo nel dire che il momento più eccitante della gara sia la partenza. Le stiamo raddoppiando e questo è incredibile”. Queste sono dichiarazioni del presidente della FIM Jorge Viegas, rilasciate nel corso della conferenza stampa di presentazione della Sprint nella MotoGP.

Se dovessimo ipotizzare un significato del termine spettacolo sulla base di questa dichiarazione, l’occupazione dell’infermeria dopo il primo weekend della MotoGP dovrebbe fornirci qualche indicazione. Di per sé l’aver raddoppiato il numero di gare ha raddoppiato anche i pericoli che vengono affrontati da piloti che, su due ruote, rischiano la vita ben più dei loro colleghi in abitacolo. Indicare il momento di maggior rischio, la partenza, come quello più eccitante non è di certo quello che ci si aspetta dal Presidente della relativa Federazione.

Per quanto riguarda la Formula 1, la concezione di spettacolo dall’avvento di Liberty Media è decisamente cambiata ed è altrettanto decisamente diversa da quella che dovrebbe scaturire dal semplice disputarsi di una gara o di un mondiale.

C’è da aprire una parentesi. La MotoGP, nel giustificare l’adozione delle Sprint, è stata molto più onesta dal punto di vista concettuale e giusta da quello sportivo. Sempre Viegas ha spiegato che “Dopo due anni di Covid, durante i quali tutti noi abbiamo dovuto fare grandi sacrifici per il bene di questo campionato, sia tempo di dare più esposizione al campionato attraverso le televisioni. Abbiamo bisogno di più spettatori, di uno show migliore e dobbiamo rimpolpare il palinsesto dei sabati“.

La Sprint in tutti i GP è quindi un modo per aumentare gli introiti, una necessità economica più che sportiva e di spettacolo. Proprio dal punto di vista sportivo, la scelta di non stabilire la griglia della domenica sulla base dell’ordine d’arrivo della Sprint è sicuramente più digeribile e attenta alla tradizione rispetto a quanto fatto in F1. In questo si è vista la gestione europea della Dorna.

La controparte americana, quella che comanda la Formula 1, sembra quasi confondere volutamente i termini spettacolo e introiti, mascherando nello specifico il secondo mediante l’utilizzo del primo.

L’opera di Liberty dal suo ingresso come proprietaria del Circus, in tutte le idee messe in pratica dal 2018 ad oggi, ha come unico fine quello dell’aumento del valore del prodotto acquistato. Dal punto di vista strettamente aziendale l’obiettivo, dopo l’acquisto di un asset, non può che essere quello di aumentarne il valore per poi rivendere e guadagnarci. In questo nessuno può dire che LM non stia raggiungendo il suo obiettivo.

Dal 2018 si dice che il valore della F1 si sia quasi triplicato rispetto gli 8 miliardi di acquisto. L’apertura dilagante al mondo Social e Drive To Survive hanno rappresentato le basi della nuova era della F1, con circuiti sold out e prezzi alle stelle fino a quello che sarà l’evento principe della politica made in LM, ovvero il GP di Las Vegas di questo finale di stagione. Mezzo miliardo di investimento, prezzi da VIP per un evento da VIP.

Va quindi tutto bene e bisogna essere felici dei risultati di Liberty Media perché lo è lei?

Ma anche no. Primo perché nessuno di noi lavora in Liberty e non ha interessi diretti, secondo perché ci sono modi diversi per aumentare il valore di un prodotto.

Per fare un esempio di una pratica molto in voga al giorno d’oggi, numerosi siti web aumentano le loro visite ed il loro valore tramite contenuti che calpestano quotidianamente l’etica giornalistica e mediante l’utilizzo di trucchetti come il clickbait; titoli sensazionalistici riversati sui social che abusano della buona fede del lettore nel cliccare per poi scoprire che il contenuto non c’è, è diverso dal titolo, è tutto tranne che sensazionalistico. I siti web aumentano il loro valore? Effettivamente sì. Ottengono il loro obiettivo di crescita? Certo. In che modo? Eticamente disdicevole.

Domenicali afferma che le prove libere interessano gli ingegneri e non il pubblico. Pertanto, seguendo il suo ragionamento, meglio limitarle al massimo (o toglierle del tutto). Qui è necessario definire qual è il pubblico al quale Domenicali fa riferimento. Perché se si riferisce al pubblico che segue la Formula 1 da almeno 10/15 anni, la sua affermazione è fortemente discutibile. Se punta invece al pubblico che la stessa Liberty ha contribuito a formare da quando si è insediata, è possibile che abbia ragione.

Che le prove libere non interessino al pubblico è discutibile perché il pubblico competente, che segue la F1 da prima che Liberty ne venisse a conoscenza, ha capito bene che la riduzione delle libere è un altro modo artificioso per creare caos, termine molto assimilabile a spettacolo. Lo disse lo stesso Domenicali: meno libere = più imprevedibilità. E il pubblico che ha a cuore questo sport, con questa frase, è per lo più in totale disaccordo.

Vent’anni fa il miraggio dello spettacolo fu sbandierato con l’introduzione del Parco Chiuso, una delle colonne portanti del declino della F1. L’impossibilità di adeguare gli assetti tra qualifiche e gara è una delle più grosse idiozie mai partorite dal regolamento sportivo, contraria allo stesso concetto voluto da chi l’ha promosso: se blocchi tutto tra sabato e domenica, non puoi di certo aspettarti stravolgimenti come succedeva, ad esempio, anche grazie al warm up.

Parlando invece delle prove libere dal punto di vista tecnico – quindi degli ingegneri – bisogna valutare quanto ad oggi siano effettivamente utili ai fini del weekend. Fino al 2020 le prove libere duravano in totale quattro ore. Dal 2021 sono state ridotte a tre. Ora, nei weekend con le Sprint le ore sono due di cui una già in regime di Parco Chiuso, quindi praticamente inutile. È abbastanza semplice capire che la direzione di Liberty è quella di avere una sola ora di libere (o forse addirittura mezz’ora?) al venerdì per poi andare in qualifica.

[Parentesi: non fa sorridere che le monoposto da corsa più costose del mondo siano destinate a girare sempre meno? Allora tanto vale dimezzare il budget cap o trasformare tutto in un monomarca. Anche se, a dir la verità, con il regolamento 2022 si è tentato di compattare il gruppo ma con risultati non proprio esaltanti.]

Se chiedeste ad un ingegnere o un meccanico che lavora in F1 quanto sia contento di avere tre ore in meno a disposizione per lavorare sulla macchina, probabilmente solo un fannullone vi direbbe di essere soddisfatto. Perché, per quanto i simulatori siano efficienti ed utilizzati oggi al posto dei test (vietati) in pista per preparare una base di assetto da cui partire, non esisterà mai niente di più accurato dell’appoggiare le gomme sull’asfalto e girare davvero, con tutte le variabili del caso quali temperature e condizioni ambientali che, poi, si ripercuotono su pneumatici, aerodinamica, meccanica e via dicendo. A parità di tempo impiegato la pista sarà sempre e comunque più utile e veritiera del simulatore più avanzato che si possa progettare.

Questo viene dimostrato ad ogni sessione di test invernali, quando si sente la tal squadra parlare di correlazione tra dati e pista. Esempio concreto la Ferrari 2023: si diceva fosse mezzo secondo, addirittura un secondo più veloce dell’anno scorso e ci si ritrova con la SF-23 più lenta della F1-75. Sarebbe successo con i test liberi?

A proposito di test, in termini di costi qualche anno fa il rapporto tra una giornata di test in pista e di lavoro al simulatore era 1 a 4. Ovvero i costi di quattro giorni di lavoro al chiuso erano equiparabili ad un giorno in pista. Considerati poi i costi di realizzazione di simulatori sempre più sofisticati, alla ricerca della correlazione più vicina tra simulatore e pista, è evidente come la differenza non sia poi così enorme.

Perché allora, in alcune gare che non prevedano un back to back, non permettere ai team di fermarsi al lunedì per una giornata di test aggiuntiva che non graverebbe eccessivamente sui costi di trasferta come per una sessione ad hoc? Il motivo è semplice: non si vuole farlo.

La riduzione dei test e delle libere, per detta di chi la vuole, fa parte di un processo di spettacolarizzazione (= di introiti maggiori) oggi in test ma che, in fase avanzata, vedrà probabilmente in un weekend standard la Sprint in tutti i GP (magari con griglia invertita, per creare ancora più “spettacolo”) e la gara principale alla domenica. Sempre Domenicali, inoltre, ha chiarito che servono più sessioni remunerative in termini di punti. Un evento lungo tre giorni in cui ogni sessione conti qualcosa per la classifica del campionato, una specie di bulimia da competizione per compiacere prima di tutto sponsor e televisioni.

Pertanto, da qui a un paio d’anni, potremo aspettarci anche i punti per le libere (!) e per le qualifiche, in un tunnel che va sempre più a sminuire la gara principale togliendole importanza, sebbene si continui a sostenere che questa resterà sempre l’evento più importante.

Ora proviamo a sostituire una parola nella dichiarazione originaria di Domenicali: “Io sono un fautore della riduzione al minimo delle prove libere, che interessano gli ingegneri ma non Liberty”. Il risultato non cambia.

Paradossalmente l’introduzione delle Sprint in MotoGP ha smascherato – se mai ce ne fosse bisogno – gli intenti di Liberty.

Se il Motomondiale ha sottolineato ragioni necessariamente economiche (anche per via di un business più ristretto) alla base dell’adozione delle gare corte al sabato, peraltro mantenendo una decenza nella gestione della griglia alla domenica, da anni Liberty maschera il tutto utilizzando impropriamente il termine spettacolo e sbandierando benefici per il pubblico che, nel frattempo, deve essere sempre più ricco per permettersi l’autodromo.

La realtà, come spesso accade, è ben diversa da quella che viene venduta: la Formula 1 made in Liberty, negli ultimi cinque anni, a fronte di risultati commerciali invidiabili, ha visto un progressivo allontanamento degli appassionati di medio e lungo termine dalla F1. Per sessantacinque anni la tradizione di questo sport è stata tramandata di padre in figlio in nipote. Liberty, invece che mantenere il rapporto di fiducia con quella parte del pubblico, ha preferito costruirsene uno da zero, tanto da portare ad oltre un terzo del totale le persone che seguono da massimo cinque anni una categoria nata nel 1950. Un numero che va oltre la preoccupazione.

Di fatto Liberty ha interrotto una catena partita con la nascita della F1, costituita da un pubblico per lo più contrario alle sue idee, in favore di uno più semplice da plasmare in quanto nuovo e, giustamente, poco consapevole del passato della categoria e più aperto a qualsiasi soluzione per aumentare lo spettacolo. In questo hanno giocato un ruolo fondamentale lo sbarco sui social e la serie Drive To Survive. Se Bernie Ecclestone era esageratamente refrattario ad aprirsi al mondo di Internet, con LM si è passati all’esatto opposto.

Con un archivio infinito a disposizione dal quale si potrebbe attingere ogni singolo giorno per raccontare storia e protagonisti, la linea decisa e condivisa con tutti gli attori principali ha puntato sul catturare i giovani rendendo alternativamente i piloti personaggi da fiction, modelli, componenti di boy band stile anni ’90 prima che drivers; cosa che accadeva magari anche quarant’anni fa, ma in un contesto più genuino e senza obblighi contrattuali. Un pilota alla James Hunt era personaggio per il suo modo di essere, non per una richiesta dall’alto.

Drive To Survive, soprattutto nelle prime stagioni, ha portato agli occhi del nuovo pubblico un adattamento in stile soap opera del Circus, con rivalità inesistenti create ad hoc. Uno stile non poco criticato anche dagli stessi addetti ai lavori oltre che dai vecchi appassionati che, come detto, non hanno mai rappresentato il target della F1 di Liberty.

Siamo ancora di fronte ad uno Sport?

Evidentemente no. Se F1 e MotoGP lo sono ancora nella concezione di chi le segue da diversi anni e ne conosce le storie, è chiaro che gli input dati da Liberty Media e dalla Dorna siano quelli di massimizzare i profitti come si farebbe con una qualsiasi azienda, anche passando sopra alle colonne portanti delle stesse categorie.

Se da un lato, però, la MotoGP ha riconosciuto pubblicamente le sue problematiche nel giustificare il nuovo corso, la F1 sin da prima del Covid (che ha sicuramente contribuito ad avere difficoltà, nessuno lo nega) ha impostato una linea con l’obiettivo chiaro di aumentare a tutti i costi il suo valore.

Le dichiarazioni di Stefano Domenicali non sono diverse da quelle di Chase Carey che l’ha preceduto. Entrambi sono stati e sono portavoce di un’entità che fa business come una qualsiasi azienda e, dal suo punto di vista, opera in modo da raggiungere i suoi scopi. Peccato che a farne le spese sia il prodotto stesso.

Tornando all’esempio dei siti web: sta aumentando il valore? Sì. Vengono raggiunti i risultati? Sì. In che modo? Rasando al suolo tutto quello che c’è stato prima.

L’utente ha poi sempre una possibilità di scelta che nessuno può negare: se uno sport non piace più non si è obbligati a continuare a seguirlo. Ma questo è sempre un discorso pericoloso, usato come giustificazione al fare quello che si vuole indipendentemente dalle conseguenze.

Nello specifico: oggi la F1 è una bolla sempre più grande. Arriverà il giorno in cui Liberty Media raggiungerà il suo obiettivo di guadagno e deciderà di vendere. A quel punto la F1 sarà seguita prevalentemente da un pubblico che lei stessa ha creato e non da quello ereditato e volutamente allontanato tramite la trasfigurazione dell’aspetto sportivo.

Il pubblico rimasto, volatile e catturato più per i contenuti extra pista che quelli in e per le soap opera alla DTS, magari al sorgere di un’altra Liberty con le stesse idee di rivoluzione per un altro sport, si sposterà abbandonando le quattro ruote, affezionandosi a nuovi “personaggi”.

Cosa resterà? Un business da raccogliere da un’altra Liberty a caso ed uno sport inesistente. Questo secondo aspetto, però, interesserà ancora ai pochi, pochissimi, che avranno avuto la pazienza di assistere ad uno spettacolo molto più vero di quello raccontato: il sacrificio di settant’anni o più di sport sull’altare degli interessi.

Seguendo la linea Ecclestone la F1 sarebbe fallita? Forse sì. Ma, sotto un certo punto di vista, e lo dico in modo assolutamente personale, sarebbe stato meglio vederla fallire per com’era stata gestita fino al 2017 (e non sempre bene, anzi) che conciata così com’è adesso in 4K, weekend dopo weekend… dopo weekend, perché non ce n’è quasi più uno libero; sempre per quel discorso degli introiti e del contemporaneo contenimento dei costi, mentre si vola in sequenza su Jeddah, Melbourne, Baku e Miami rimbalzando come palline dal ping pong da una parte all’altra del globo.

Sì, ammetto che forse potrei risultare esagerato nel pensare che sarebbe stato meglio vedere chiudere la F1 (o magari ripartire con un altro nome ed altri presupposti) piuttosto che vederla così. Perché di spunti e di emozioni, in sempre più rari momenti, ancora ne sa regalare. Anche se, alla fine, aver perso la maggioranza del pubblico che l’ha resa importante nei decenni non mi sembra molto diverso. È pur sempre un fallimento, anche se più silenzioso.

Immagine: Media Aston Martin

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