F1 | 30 anni di Forti in F1, l’intervista a Gianfabio Forti

Autore: Andrea Ettori
AndreaEttori
Pubblicato il 26 Febbraio 2025 - 11:30
Tempo di lettura: 5 minuti
F1 | 30 anni di Forti in F1, l’intervista a Gianfabio Forti
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Storia di un team dalla lunga storia dalle parole di chi l’ha vissuto in prima persona

In un periodo in cui la memoria storica del motorsport spesso viene messa da parte, per dare risalto al poco che succede in questi anni, è più che giusto ricordare i 23 GP che hanno costituito la storia della Forti in F1. Trent’anni fa il compianto Guido Forti decise di fare il grande salto, lasciando le categorie propedeutiche che avevano fatto (anche in questo caso) la storia del team piemontese, per tentare la difficilissima avventura in F1 in un’epoca dove ci voleva un coraggio enorme per sfidare i grandi costruttori di quel periodo.

Per farci raccontare questa storia attraverso le parole di chi l’ha vissuta e raccontata insieme a Claudio Maglieri anche nel libro “L’ultimo gargista, la storia della Forti Corse“, abbiamo interpellato Gianfabio Forti, figlio del grande Guido.

Dopo anni da protagonisti nelle categorie propedeutiche del Motorsport, ti ricordi il giorno in cui avete deciso di fare il grande passo in F1?

“Sinceramente non c’è stato un “big bang” da quanto mi ricordi. La Forti Corse è sempre stato un ambiente assolutamente informale, quindi è stata una eventuale evoluzione della traiettoria di crescita. Era comunque almeno dal 1991 che se ne parlava”.

Quali erano i timori e le aspettative nell’entrare in F1?

“Le aspettative erano ovviamente di imparare per fare bene. Il team era un’eccellenza riconosciuta. Ovviamente la grande complessità è stata la costruzione di una vettura. Il piano infatti era di tre anni”. 

La FG01 che tipo di macchina era ed è vero che eravate riusciti ad ottenere la stessa fornitura del Ford V8 Ed della Minardi?
“La FG01 era una macchina oggettivamente terribile, pesante e di vecchia concezione. Mio padre avrebbe voluto una “replica” di una Reynard e lavorare con Dallara. Ma non era più l’unico a decidere… La cosa più buffa è che abbiamo fatto le prove con la Reynard F.3000 a Interlagos con le gomme di F1 e con il tempo fatto saremmo partiti da metà schieramento”.

Ecclestone come accolse il vostro arrivo nel circus?
“Il disegno era piuttosto chiaro; Basta team piccoli e numero sempre più limitato di squadre. Di sicuro non ci ha aiutato”.

Ricordi il primo test collettivo con le altre scuderie all’Estoril e la prima gara ad Interlagos?
“Ricordo l’emozione della prima gara a Interlagos con la seconda macchina completata in pista e il “rischio” di arrivare alla fine con entrambe le vetture. Diniz arrivò ottavo. Attenzione: era la F1 dove le macchine avevano enormi problemi di affidabilità e la Forti fu più affidabile il primo anno di molte scuderie blasonate”.

I risultati del 1995 avevano rispecchiato le vostre ambizioni realistiche (con il 7° posto di Adelaide)
“Sì dal punto di vista della capacità di essere in pista, non sulle performance. Ma essendo partiti con un debito tecnico clamoroso era difficoltoso fare di più. Abbiamo dovuto anche spendere molto di più per rifare la vettura e, comunque, il personale era sicuramente preparato, appassionato ma limitato nel numero”. 

È stato complicato sviluppare la nuova macchina del 96 perdendo i fondi di Diniz passato in Ligier?
“Certo, ma avevamo imparato velocemente e la macchina è costata enormemente di meno in termini di sviluppo e costruzione”.

Che cosa portò nel team l’arrivo di un personaggio come Cesare Fiorio?
“Speranza. Cesare è sempre stato un professionista esemplare ed esisteva grande stima reciproca. Ma purtroppo non avevamo le risorse economiche per garantire che il suo apporto fosse differenziante”.

La sensazione nelle prime gare del 96 era quella che la stagione si potesse concludere oppure no?
“Guido era un ottimista, ma è stato lasciato solo, quindi ci abbiamo provato come era giusto che fosse e, da vero imprenditore quale era, ha deciso di mettere tutto per far andare avanti l’azienda”.

Esiste ancora, a quasi 30 anni di distanza, il rammarico per non avere visto la bandiera a scacchi nella pazza gara di Monaco?
“Forse di più essere arrivati settimi ad Adelaide nel ’95. Moreno (se ben mi ricordo) era davanti alla Minardi che arrivò sesta prima di avere un incidente. Monaco è stata una gara stregata. Montermini che sbatte nel warm-up (aveva il settimo tempo…). Un dado della ruota di Badoer che si blocca durante il cambio gomme (mai successo). Evidentemente non era destino”.

Cosa resta della Forti F1 e del sogno del signor Guido?
“Molto poco rispetto a quanto è stata influente nella vita di moltissime persone la genialità di mio padre. Molto rispetto e affetto fra le persone che hanno lavorato con lui, impossibile non citare Paolo Guerci. La certezza di essere stati un’eccellenza nel motorsport e, probabilmente, avremmo potuto dire la nostra anche in F1 con il supporto promesso e concordato. Rimane il rammarico per essere considerati come Forti Corse da parte della “vulgata internet” una sorta di macchietta, mentre la Formula 1 è stata creata da personaggi come Guido che avevano il rispetto di tutti nell’ambiente. Con Claudio Maglieri abbiamo scritto un libro proprio per correggere questa visione distorta e, soprattutto, abbiamo fatto parlare chi ha lavorato oppure è stato favorito da Guido”.

Immagine: WikiCommons

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