Diciotto anni fa, in un mondo completamente diverso da quello di oggi, il finlandese conquistava al primo colpo il titolo con la Rossa. Tempi ormai lontani
Il dettaglio più curioso, in negativo, dell’attuale era della Ferrari è che per celebrarne un successo importante bisogna chiamare in causa la storia. Giusto due settimane fa eravamo alle prese con il ricordo di Suzuka 2000 e i 25 anni dal ritorno al titolo piloti con Michael Schumacher, dopo 21 anni di attesa. Oggi, 21 ottobre, diventa maggiorenne l’ultimo iride, sempre per i piloti: quello di Kimi Raikkonen in quel fine pomeriggio (per noi in Italia) di 18 anni fa, ad Interlagos.
Si tratta del secondo digiuno più lungo per un mondiale dedicato ai piloti. Mentre, per quanto riguarda il Costruttori, il vecchio record di attesa di 16 anni, dal 1983 al 1999, è stato superato proprio questa stagione. Sono, infatti, trascorsi 17 anni dall’ultimo iride dedicato ai team, conquistato nel 2008.
Essere costretti a ricordare il passato per sottolineare l’importanza della Rossa in F1 è indicativo di quanto, in questo lungo lasso di tempo, siano state sprecate occasioni e gettate al vento intere stagioni. Non senza, in diversi momenti, un velo di supponenza mai ammesso nell’autodichiararsi pronti al titolo quando ancora le ruote non erano state poggiate sull’asfalto. Come successo anche quest’anno.
Dal 2007 la Ferrari è andata vicinissima al titolo nel 2008 con Felipe Massa, nel 2010 e nel 2012 con Fernando Alonso. In queste tre occasioni l’ha perso all’ultima gara, in modo anche rocambolesco. Ha poi lottato nel 2017 e 2018 con Sebastian Vettel, ma senza arrivare a contenderlo fino alla fine. Charles Leclerc è a Maranello dal 2019, porta sulle spalle la causa della Rossa ma non ha mai avuto l’occasione buona, tranne per la prima metà del 2022. E poi ci sono le stagioni completamente da dimenticare: l’anonimo 2011, il tremendo 2014, l’innominabile 2020 post accordo segreto con la FIA. Per non parlare di ribaltoni, girandole di uomini, metodi di lavoro, meccanismi per una squadra che ha faticato e fatica a trovare un’identità precisa, ancora oggi.
Dal 2008 sono cambiati cinque Team Principal: Stefano Domenicali, Marco Mattiacci, Maurizio Arrivabene, Mattia Binotto, Fred Vasseur. Il manager francese è già finito due volte sotto accusa in questa stagione: il rinnovo e le rassicurazioni che provengono dalla dirigenza lasciano il tempo che trovano, proprio per la loro provenienza. John Elkann e Benedetto Vigna, al netto delle ultime dichiarazioni prive di uno spunto, sembrano assenti e distaccati dalla realtà della squadra corse. Manca, come diceva in Bahrain l’ex Presidente Montezemolo (14 titoli vinti oltre al divieto di filmare a Maranello per il documentario sulla sua vita…), una vera leadership, un flusso di passione e dedizione vero che sappia avvolgere il mondo di Maranello ed infondere la vera voglia di tornare a lottare e vincere.
Perché ciò che davvero fa male, in questo ultimo periodo ferrarista, è la totale assuefazione alla mediocrità di risultati, a quinti e sesti posti che un tempo sarebbero stati inaccettabili. Per non parlare di doppie squalifiche, doppiaggi, esclusioni anticipate dalle qualifiche. Si pensava – delegittimando in parte Leclerc – che l’arrivo di Lewis Hamilton avrebbe dato la spallata decisiva all’ambiente. È arrivato, invece, solo il record di gare senza podi dal debutto in Ferrari superando Didier Pironi. Anche se, in fondo, il problema non è tanto rappresentato dai piloti – non lo è con Hamilton e Leclerc, non lo era con Sainz – ma da tutto quello che sta sopra di loro, a qualsiasi livello. E se, dalla cima della piramide, non arriva l’influsso necessario, giusto, sicuro, diventa tutto più difficile.
Tornando a quel giorno di 18 anni fa, era davvero un mondo diverso. Meno mediatico, per nulla social e, a più di qualcuno, probabilmente andava meglio così. Il mondiale del 2007, Spy Story a parte, sembra incredibilmente ricalcare quello a cui stiamo assistendo in questo 2025. Anche al tempo c’era una McLaren che sembrava pronta a vincere il titolo piloti con uno dei suoi due alfieri. Fernando Alonso e Lewis Hamilton, allora debuttante, erano decisamente più aggressivi e lottatori di quanto non siano Lando Norris ed Oscar Piastri, imbavagliati dalle incredibili Papaya Rules che stanno mostrando, ora, tutti i loro lati negativi con Verstappen in modalità avvoltoio. Oltre ad Alonso e Hamilton c’era un terzo incomodo che, incredibilmente, alla fine avrebbe prevalso per un solo punto.
Approdato a Maranello al posto dell’appena ritirato Michael Schumacher, Kimi Raikkonen prese per mano la Scuderia e, con un recupero a dir poco impensabile nelle ultime due gare, conquistò il mondiale della rivincita personale, dopo la tragicomica stagione 2005: un campionato che, con un motore leggermente più affidabile, non gli sarebbe scappato di mano al volante di una McLaren MP4/20 ingiocabile quando non si rompeva, ovvero poche volte.
Nessuno avrebbe immaginato che, in quella sera di ottobre, si sarebbe assistito all’ultimo titolo piloti della Rossa. Un anno dopo, sempre in Brasile, Felipe Massa avrebbe tagliato il traguardo da Campione per una manciata di secondi, prima del sorpasso di Hamilton su Glock che avrebbe spostato la geografia di quell’iride. Da quel momento in poi solo delusioni, sconfitte cocenti, annate storte sin dal via e quella promessa, anno dopo anno, di essere pronti a tornare al successo. Ci sono, anche stavolta come 25 anni fa, intere generazioni di tifosi della Rossa che non hanno festeggiato un titolo piloti. E, per le condizioni in cui versa la Ferrari oggi, è difficile pensare che possa cambiare qualcosa a breve, a meno di un miracolo nel 2026.
Quello che è certo è che spiace aver dovuto assistere, in tutto questo tempo, ad almeno tre cicli distinti senza un tocco di rosso. Non lo merita la storia della Ferrari e non lo meritano i tantissimi tifosi che, nonostante tutto, in questi anni non hanno mai fatto mancare il loro supporto e sono costretti a vivere di ricordi, seppur bellissimi come quello di 18 anni fa.
Prima di un titolo mondiale piloti la Ferrari dovrà aspettare almeno 19 anni, ovvero la fine del 2026. Ma, se al primo anno del nuovo ciclo regolamentare le cose non dovessero essere positive, il record dei 21 anni potrebbe essere seriamente in pericolo. Se dovesse essere superato rappresenterebbe una macchia indelebile nella storia del team più vincente della F1. E, forse allora, qualcosa dovrebbe cambiare davvero là dove, fino ad ora, i posti sono restati intoccabili. Perché Suzuka e Interlagos restano momenti magici ed indimenticabili, ma non possono essere più sufficienti per essere felici: specialmente, se si è tifosi della Ferrari.
Immagine di copertina: Media Ansa
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