F1 | 1996, quando Schumi arrivò in Ferrari. Dallo scetticismo alla scoperta di un pilota di un altro livello, “un perfetto leader”

F1Storia
Tempo di lettura: 11 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
5 Febbraio 2024 - 13:05
Home  »  F1Storia

L’arrivo di Lewis Hamilton in Ferrari nel 2025 richiama alla memoria quello di Schumi nel 1996. Ma le differenze sono importanti

Siamo nei giorni di ferragosto del 1995 quando, dopo voci incontrollate, smentite e controsmentite in pieno mondiale, la Ferrari annuncia di aver ingaggiato Michael Schumacher per le stagioni 1996 e 1997.

Schumacher è in scadenza di contratto con la Benetton, con la quale sta per vincere il suo secondo mondiale consecutivo dopo quello del 1994. L’affare è apparentemente improbabile, sia per il costo del tedesco che per le garanzie tecniche che la Ferrari (non) può offrire al migliore sulla piazza del periodo. La Rossa non vince un titolo piloti da 16 anni (dal 1979 con Jody Scheckter) e le ultime stagioni sono state traumatiche. Dopo il licenziamento in tronco di Alain Prost alla fine del 1991, la F92A e la F93A del 1992 e 1993 sono state un autentico disastro.

L’arrivo a luglio del 1993 di Jean Todt nel ruolo di Team Principal ha posto le basi per una ripartenza che necessita parecchia pazienza. Dopo oltre tre stagioni di digiuno, nel 1994 il Cavallino torna alla vittoria con Gerhard Berger in quel di Hockenheim, con la versione B della 412 T1. Il trend sembra leggermente in crescita e la media di una vittoria a stagione viene mantenuta con il successo, l’unico della carriera, di Jean Alesi nel GP del Canada 1995.

A questo punto, però, si vuole fare il salto di qualità e quel salto prevede l’aggancio al miglior pilota sulla piazza dopo la scomparsa di Ayrton Senna. Michael Schumacher è il nome con cui la Ferrari decide di dare forza alla ricostruzione per tornare, finalmente, al titolo mondiale. E, appunto, dopo voci e smentite, la notizia arriva mentre l’Italia è in vacanza. L’avvocato Gianni Agnelli pronuncerà una frase ricordata ancora oggi, ricordando che Schumi “non è arrivato per un tozzo di pane”.

Il pubblico italiano, però, non è molto per la quale. C’è anche chi di Schumacher – uno che di suo non attira molte simpatie, almeno al tempo – non ne vuole proprio sapere e non manca di farlo sapere quando la F1 arriva a Monza per il GP d’Italia.

“Meglio un Alesi oggi che 100 Schumacher domani” è lo striscione che campeggia sulle tribune dell’Autodromo, fiero del messaggio d’amore nei confronti dell’adorato pilota francese. Di suo, lo striscione in parte colpisce nel segno, con Damon Hill che in gara centra Schumacher alla Roggia mandando a casa in anticipo entrambi. La doppietta rossa Alesi – Berger sta facendo impazzire Monza quando succede l’imponderabile nell’arco di 15 giri. Prima l’austriaco viene colpito da una telecamerina persa da… Alesi, sempre alla Roggia.

Il dispositivo si stacca dall’ala posteriore e colpisce in pieno la sospensione anteriore sinistra della Ferrari #28, costringendola al ritiro. A sette giri dal termine, Alesi si deve ritirare con un cuscinetto in fiamme sulla posteriore destra. L’ultima Monza della coppia Alesi-Berger finisce in un disastro. Come a chiudere un capitolo.

Un nuovo capitolo

Dopo aver conquistato il suo secondo titolo con la Benetton, Schumi abbandona il team campione in carica (e la possibilità di vincere altri titoli) per cercare di risollevare la nobile decaduta. Il 16 novembre 1995, a Fiorano, debutta sulla 412 T2 per alcuni giri, nei quali si dice impressionato dalla monoposto, per poi spostarsi in Portogallo per i test ufficiali dell’Estoril, il primo confronto a vetture invertite proprio con la coppia Alesi-Berger, spostatasi in blocco in Benetton.

La testimonianza di Luigi Mazzola

L’ingegnere Luigi Mazzola è stato diretto testimone dello straordinario decennio Ferrari firmato Michael Schumacher. Da responsabile della squadra test della Ferrari, Mazzola ha vissuto in prima persona momenti importanti, se non decisivi, nell’avventura che ha portato il tedesco ed il team alla sequenza di successi irripetibili di inizio millennio. Anni fa ci rilasciò un’intervista esclusiva, pubblicata in un nostro Magazine, nella quale raccontò i primi giorni dello Schumacher ferrarista. Ecco le sue parole.

“Pronti, via, siamo a Fiorano e Michael gira cinque secondi più lento di Nicola Larini. Mi dico no, qui c’è qualcosa che non quadra: non può essere che un due volte campione del mondo come Schumacher, che ha fatto quel che ha fatto, viene qui a prende cinque secondi’.

Questo è stato l’inizio, non proprio banale. Se nelle gare servono regolarità, procedure, rigore, precisione, nei test servono sensibilità, cambiamento, intuizione. È un ambiente diverso. In quell’occasione la macchina era a posto, quindi ho dovuto stravolgere completamente la filosofia e l’assetto per cercare di andare incontro a Michael.

Lui era ancora giovane sotto questo aspetto, quindi non è venuto da me a dire ‘mi serve una macchina settata così perché io guido in questo modo’, ma è stato molto chiaro dicendo ‘la macchina la conosci meglio tu, per me è inguidabile per questi motivi. Dovrebbe fare così, così e così’.

Il tutto stava nell’utilizzo della farfalla. Lui odiava il sottosterzo perché metteva gas prestissimo: frenava, entrava in curva ed ancora prima di arrivare alla corda aveva già aperto con l’acceleratore. Aveva quindi bisogno di molta stabilità in frenata, al resto ci pensava lui. Per fortuna proprio quel primissimo test l’abbiamo fatto a Fiorano, una settimana dopo la fine della stagione 1995. La pista è piccola e si sente tutto ad orecchio, ai tempi non c’era una gran telemetria.

Alla frenata del ponte noi eravamo abituati a sentire i piloti scalare due marce, aspettare, entrare e poi dare gas. Invece lui no: scalava due marce ed era già con la farfalla aperta, tanto che pensavamo che si fosse rotto l’acceleratore! Per come era settata la macchina in precedenza, con gli assetti di Gerhard (Berger, ndr), lui non riusciva a guidare. Gli dissi ‘ma tu guidi in maniera diversa rispetto agli altri’ e lui mi rispose ‘non lo so… guido a modo mio’. Non andai oltre ad investigare perché la situazione era già difficile di suo.

Michael infatti sapeva che Larini girava in 1:00 mentre lui era ad 1:05, quindi non potevo dare a lui la colpa ma dovevo fare intendere che il problema era nell’assetto. Se non fai così vai a mettere il pilota in condizioni di non dare il massimo. Alla fine l’ingegnere di pista è uno psicologo da questo punto di vista. Presi del tempo dicendogli che avrei controllato la macchina.

Al primo test dell’Estoril la situazione era identica e decisi quindi di ribaltare completamente l’assetto, prendendomi anche quattro “vaffa” ben piazzati da John Barnard (il papà della F310, ndr). Michael abbassò i tempi di tre o quattro secondi, scese dalla macchina con un gran sorriso e da lì iniziò a diventare… Michael. Per me fu un momento molto emozionante.

Lì conobbi Michael Schumacher nel vero senso della parola e sgranai gli occhi. Dopo un primo giorno di impasse nel quale capii quale fosse il suo modo di guidare, molto diverso dai precedenti piloti che avevamo avuto, cominciò a volare. Non giravamo mai con poca benzina, ma se l’avessimo fatto avrebbe tolto due secondi alla pole di quell’anno senza battere ciglio.

L’ultima lunga curva a destra prima del rettilineo si percorreva in progressione fino ai 240 km all’ora. Aveva un bump proprio a metà percorrenza. A lui non interessava, controllava a quella velocità il servosterzo come se nulla fosse e, quella curva, la faceva “a palla”. In quel test Gerhard ruppe tre telai della Benetton perché era preparata ancora con l’assetto di Michael.

Fu in quell’occasione che conobbi Ross Brawn e (Mazzola lo dice sorridendo), gli feci gli auguri… Poi venne Eddie e capì subito con chi aveva a che fare. Era spettacolare. Alain Prost (con cui ha lavorato nel 1990 e 1991, ndr) rimane nel mio cuore per tutto quello che ha fatto per me e gli sarò sempre riconoscente, ma quel test rimane il momento più incredibile di tutta la mia carriera, perché riuscimmo a ribaltare una situazione drammatica”.

Proprio Ross Brawn e Rory Byrne avrebbero seguito Schumacher nell’avventura Ferrarista, riunendosi con il loro pilota alla fine del 1996. Una mossa decisiva per dare quella spinta in più alle ambizioni mondiali della Rossa.

Un vero leader

Non solo in pista, ma anche sceso dalla monoposto. Il ruolo dello Schumacher motivatore è stato importante tanto quanto quello al volante e, nelle parole di Mazzola, l’attitudine di Schumi si capisce chiaramente:

“Michael era un perfetto leader. Una persona che ha una visione. Ci diceva cosa doveva fare la macchina per andare forte e stava a noi il compito di sistemarla e modificarla in modo da soddisfare le sue indicazioni. veniva e ci diceva ‘se riuscissi a fare questa curva in questa maniera riuscirei ad aprire la farfalla prima e, probabilmente, riuscirei anche a guadagnare qualche decimo’; si e ci chiedeva cosa si potesse fare per permettere alla macchina di comportarsi in quel modo.

A questo punto si fermava e spettava a noi capire e lavorare, ma la sua bontà era quella di coinvolgere gli ingegneri, di dire ‘provate a vedere come si può fare, voi avete tutte le leve per riuscirci’. Si creava un connubio micidiale perché se lui ci suggeriva una modifica, noi la mettevamo in opera e se lui aveva avuto l’intuizione giusta si faceva gol. La sua forza era quella di riuscire a vedere oltre e chi gli stava a fianco doveva andare oltre a sua volta, altrimenti faceva fatica. La bontà di Ross (Brawn, ndr) durante i Gran Premi o la bontà mia durante i test era quella di andare oltre insieme a lui, parlare la stessa lingua, essere sulla stessa lunghezza d’onda.

La sua attitudine è stata sempre costante. Noi abbiamo iniziato da zero: si è sentito sempre dire ‘bisogna dare il tempo a Domenicali’, ‘bisogna dare il tempo ad Arrivabene’ ma Todt ci ha messo sette anni per vincere il mondiale. Lo stesso Michael ne ha impiegati cinque ma con una sostanziale differenza. Quando è arrivato lui nel 1996 la macchina, il team, l’organizzazione erano a zero rispetto a quello che è stato lasciato a chi è venuto dopo. Il grande merito di tutto questo è di Michael, perché è riuscito a mettere insieme le persone a capire ed essere consapevole di avere di fronte uomini con cui lavorare che dovevano essere solo guidati. Persone competenti che avevano bisogno regole, metodologie, rigore. A quel punto anche Todt ci ha messo del suo con il budget.

Michael e Ross hanno fatto la differenza nel momento in cui hanno preso in mano la situazione. Non c’era team, non c’era gioco di squadra. Alesi e Berger, ad esempio, erano piloti tutto sommato antagonisti, non c’era il culto del lavoro insieme. Quando è arrivato Michael tutto si è appianato anche perché Eddie (Irvine, ndr), da ragazzo super intelligente quale è sempre stato, ha capito subito che batterlo era impossibile e quindi si è messo a disposizione della squadra, di Michael, di tutti noi per cercare di fare il massimo che poteva. A quel punto si è creata la squadra, il clima, l’unica direzione sulla quale spingere. Si è creato tutto partendo da zero.

Michael non girava al simulatore perché stava male, ma con i test era tutta un’altra cosa. Era sempre in pista con noi. I giorni di gara erano nettamente inferiori ai giorni di prove. Nei test molte volte non aveva la “sua” squadra, aveva dei giovani che dovevamo crescere e che sarebbero poi stati il replacement della squadra gara. Spesso non c’erano Dyer, Stella, Lunetta o Baldisserri ma dei neolaureati.

Lui si adattava in base a chi era a disposizione, cercava di far crescere tutti, veniva da me individuando le abilità di alcuni di loro. Si stava tutto il giorno insieme dalle otto della mattina alle dieci o anche alle undici di sera. Finivamo i test, si andava in riunione e poi si metteva a giocare a pallone, a fare questo e quest’altro, a volte restava ancora lì con noi. Così si creavano le giuste condizioni per un gioco di squadra.

Aveva un massimo rispetto del suo lavoro, era la sua vita. Anche se erano test arrivava da solo, qualche volta portava con sé il suo cane, un pastore belga. Non aveva uno sciame di persone attorno che lo distraevano. Finiti i test c’era il truck della Technogym, lui si buttava a fare due o tre ore di palestra come se non fosse abbastanza quello che aveva fatto durante il giorno. Se avevi bisogno di lui potevi disturbarlo, gli dicevi quello che dovevi e poi lui continuava. Era così”.

I giorni nostri

Quasi trent’anni dopo la Ferrari si appresta ad un altro arrivo epocale, quello del sette volte iridato Lewis Hamilton. Diversa è la F1, non più dipendente dai test ma dai simulatori e dalle ristrettezze dei regolamenti. Diverse sono le premesse dell’arrivo: Lewis Hamilton lascia una Mercedes in difficoltà per cercare nuovi stimoli con una Rossa non in difficoltà quanto lo era quella del 1996, “a zero” come raccontato da Mazzola.

Diversa è l’età e la fase dalla carriera. L’inglese arriverà a 40 anni contro i 27 di Schumacher, a fine percorso invece che al top. Simile, invece, è la portata del suo arrivo, con la possibilità di portare non solo la sua esperienza ma persone vicine per replicare (o provarci, quanto meno) un modello di successo. Una scommessa importante, che vedremo se sarà vinta o meno.

Immagine: ANSA

Leggi anche

Il calendario completo del mondiale 2024

Tutte le ultime News di P300.it

È vietata la riproduzione, anche se parziale, dei contenuti pubblicati su P300.it senza autorizzazione scritta da richiedere a info@p300.it.

#6 | GP MIAMI
DATI E PREVIEWINFO SESSIONI E RISULTATI

3/5 maggio - Miami
Miami International Autodrome

57 Giri

#miamigp

LIBERE
FP1: Ven 18:30-19:30
SPRINT QUALI
SKY: Ven 22:30
SPRINT
SKY: Sab 18:00
(TV8: )
QUALIFICHE
SKY: Sab 22:00
(TV8: )
GARA
SKY: Dom 22:00
(TV8: )

Lascia un commento

Devi essere collegato per pubblicare un commento.

COLLABORIAMO CON

P300.it SOSTIENE

MENU UTENTE

REGISTRATI

RICEVI LA NEWSLETTER
Iscriviti per rimanere sempre aggiornato
(puoi sempre iscriverti in seguito)