Scenari apocalittici, fiumi di magma e di risentimento che distruggono tutto quello che incontrano; madri che piangono avvolte da drappi rossi, inglesi che tirano le monetine, poltrone che scoppiano, ingiurie online, mercati che traballano, castelli di carta che bruciano e di sabbia che si sfaldano, piazze che scricchiolano, cavalli imbizzarriti, portafogli che si pongono domande. Il giorno dell’annuncio, il panico.
Poi la mattina dopo ci si risveglia, tutti come sempre di un pezzo solo, si guarda l’orologio e si va a fare quello che si deve: studiare, lavorare, buttare via il proprio tempo libero in qualche modo, prendere un aereo, scopare con o senza dignità. Da qualche ora la Ferrari ha annunciato l’addio alla Formula 1 e si comincia a realizzare che niente sarà più come prima. Un marchio storico, che era lì da sempre nel campionato che solo da qualche decennio viene considerato il gotha del gotha. Un campionato che tempo prima lo stesso Enzo Ferrari metteva in secondo piano quando c’era da tirare fuori l’anima contro le Ford, su un circuito francese dove si corre un giorno intero.
Passano le settimane, e i mesi, e un sentore di vuoto resta. Ma non si può fermare l’ineluttabile. I campionati ricominciano, alcuni in sordina e altri meno. E pure il nostro tran tran nostalgico fa i saliscendi nella memoria e, senza motivo apparente, va avanti. Andare al circuito sarà la stessa cosa? Guardare una gara davanti a uno schermo sarà uguale?
Beh, sì. Le macchine tenteranno i sorpassi più o meno nello stesso punto, i piloti saranno più o meno gli stessi dell’anno precedente. Ci saranno nuovi modelli, nuove regole da capire, nuove polemiche da alimentare ad arte per fare qualche like in più. Poi si andrà sulle piste come sempre: Gran Bretagna, Francia, Germania, Stati Uniti. Tribune sempre sufficientemente piene. L’Italia? Dipende dalla durata del lutto. Non si sa. Da quando la Ferrari non è più in Formula 1 e vuole approdare in un universo parallelo tutti stanno alla finestra a guardare il fiume, aspettando qualcosa, un cenno del destino.
Molti si chiedono: e se la Ferrari andasse in Indycar? Beh, dovrebbe correre con un telaio Dallara, farsi un motore *facile* rispetto a quello che faceva in Formula 1, appoggiarsi a una squadra corse da qualche parte in North Carolina o direttamente a Indianapolis, convincere alcuni dei piloti sotto contratto a gareggiare sugli ovali. Dovrebbe lanciare una campagna di marketing ad hoc per gli Stati Uniti, lasciar perdere i pianti di chi la rivuole indietro e aspettare. Aspettare che le acque si calmino, soprattutto. Alberto Ascari forse apprezzerebbe la decisione.
Altri si interrogano: e se la Ferrari andasse nel WEC? Si potrebbe riavvicinare a un’altra grande tradizione, quella di Le Mans. Potrebbe costruire un prototipo da sogno. Potrebbe attirare i migliori piloti per vincere una gara che da sola fa tutto un piano di comunicazione. Le borse sarebbero felici di trattare i titoli con il Cavallino. Sarebbe molto bello per il mondo dell’endurance: un nuovo interesse, una sfida che mancava.
Serpenti sibilanti sui social scriverebbero: ma chi è quel codardo che ha tolto il potere di veto alla Ferrari? Chi ha voluto smettere di considerarla una squadra meritevole di ricevere un contributo storico così ampiamente superiore? Se lo chiedono i nostalgici con i paraocchi. Se lo chiedono gli stalker delle tradizioni. E ora, che altri costruttori e team lotteranno per vincere in gare altrettanto simili a quelle che c’erano con la Ferrari, forse si apre uno spiraglio per abbattere i costi. Non c’è regolamento che tenga: il ridimensionamento è lì pronto. Chissà, dice qualche assemblatore, magari ne tiriamo fuori un inaspettato gioiellino.
Poi ci si ricorda di altri casi. Si scava nella memoria. Si scopre che da quando Maradona ha smesso di giocare a calcio, il pallone viene tirato lo stesso. Da quando Alberto Tomba ha appeso gli sci in cantina, la neve continua comunque a cadere. E molto probabilmente, con la Ferrari fuori dalla Formula 1, nel mondo si correrà ancora con le auto. Qualche tifoso abbandonerà la nave al primo scalo disponibile, e sarà un peccato. Ma allo scalo successivo chissà, potrebbe salire qualche volto nuovo.
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