In mezzo a colpi di sonno imbarazzanti, dopo aver assistito praticamente a tutta la 24 ore di Le Mans spiaggiato sul divano come la più scansafatiche delle balene, ci sono delle domande che premono per avere una risposta dopo quello che è successo e dopo la vittoria della Porsche. Ma, in particolare, l’uomo su cui mi voglio soffermare è Nico Hulkenberg.
Premetto di essere strafelice per la sua vittoria. Perché riuscirci al primo tentativo non è scontato, perché Porsche ha creduto in lui quando mezza F1 (o almeno quella che conta) lo ha snobbato fino ad ora, manco fosse portatore di una malattia contagiosa. Ed è proprio questo il dettaglio sul quale voglio riflettere. Questo ragazzo ha condotto una 24 ore da veterano sulla macchina meno quotata delle tre in corsa per la Porsche. Probabilmente si è trovato al posto giusto al momento giusto, ma se anche in questo ci fosse un pizzico di fortuna sarebbe solo una piccola parte di quella che deve tornare indietro dagli anni trascorsi in F1.
Ogni fine anno si parla di lui per un posto in un top team, e puntualmente le voci rimangono tali. Si narra la leggenda che sia stato scaricato dalla Ferrari con un SMS alla fine del 2013, e tra una cosa e l’altra la sua carriera si è plafonata tra Sauber e Force India, che non sono certo dei fulmini di guerra, anzi. A questo punto, fossi nel caro Nico, mi porrei delle domande. Mi chiederei innanzitutto se vale la pena lottare per un sogno (vincere in F1) quando basta puntare obiettivi diversi per avere successo, com’è capitato poche ore fa. Mi chiederei se la F1 attuale vale ancora quel sogno. Cioè se l’ambiente F1, in quanto tale, meriti ancora di essere desiderato e vissuto come niente altro al mondo in fatto di motorsport.
Basta, ormai, avere le monoposto più veloci per essere considerata la categoria regina dei motori? L’atmosfera più umana (me ne resi conto personalmente a Silverstone due anni fa), le feste, i tifosi vicini a piloti disponibilissimi, i 260.000 spettatori di Le Mans di questi giorni, non vogliono forse insegnare qualcosa, a Hulkenberg e a noi? Senza parlare delle vetture, poi: non saranno veloci quanto delle F1, ma le LMP1 non hanno nulla da invidiare alle monoposto, anzi.
Mi voglio augurare che sedicenti team manager e grandi nomi della F1 non si sveglino dal torpore solo ora che Nico ha vinto una 24 ore. Al tempo stesso mi auguro che lui, nel caso, non si faccia influenzare dalle stesse persone che non lo hanno considerato quando in pista, più che nel bagaglio sponsor, dimostrava di valere quanto nomi ben più importanti del suo. E a dire la verità, se fossi in lui, ripenserei a quello che è successo in questi giorni e valuterei seriamente di lasciar perdere gli sforzi inutili al volante di una modesta Force India per virare dove merita (lui) e lo meritano (quelli che lo valutano per quello che fa in pista).
E sarebbe anche ora che la F1 e iniziasse a mettere la testa fuori dal guscio dorato e imparare la lezione dalle categorie che forse considera, ingiustamente, inferiori. Perché c’è tanto, tanto da imparare.
Questa 24 ore fa il paio con quello che non è arrivato dal 2010 ad ora. E chissà mai che sia la svolta. Bravo, Nico, davvero.
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