È morto Johnny Dumfries, ex-pilota di F1 ed endurance

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Tempo di lettura: 6 minuti
di Alyoska Costantino @AlyxF1
23 Marzo 2021 - 11:20
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Il conte inglese ci lascia all’età di 62 anni. Aveva corso per la Lotus nel 1986 e aveva vinto con la Jaguar la 24 Ore di Le Mans.


Un altro pezzo di storia del motorsport ci ha lasciato nella giornata di ieri, l’ennesimo in questo periodo storico davvero terribile in termini di perdite.

Johnny Dumfries, scozzese, nato a Rothesay il 26 aprile 1958, ci ha lasciati. La famiglia ha comunicato il suo decesso, specificando come la causa di morte sia stata un male impossibile da curare. Il nome Dumfries, per cui era riconosciuto in tutto il mondo motorsportivo, era in realtà uno pseudonimo da lui utilizzato per nascondere le proprie origini aristocratiche. Infatti, il suo nome completo era John Colum Crichton-Stuart ed era il settimo marchese di Bute. Il suo titolo di cortesia, come un po’ anche il suo “soprannome” quando correva, era appunto “il conte di Dumfries”.

La sua carriera, a dire il vero, è stata molto breve ma allo stesso tempo parecchio intensa e ricca di momenti degni di essere ricordati. Il suo primo approccio nel mondo delle corse avviene a metà anni ‘70 tramite suo cugino Charlie Crichton-Stuart, il quale gli permetterà di conoscere Sir Frank Williams, fondatore della storica squadra che, di lì a poco, avrebbe stupito il mondo della F1. Frank sceglie anche di metterlo sotto la propria ala… assumendolo come guidatore di camion per il suo team.

Sì, perché Dumfries non era intenzionato a utilizzare i fondi di famiglia e il suo status nobile per muoversi senza difficoltà nel mondo delle corse; ecco il perché dello pseudonimo. Così, cominciò a fare i lavori più disparati, come il decoratore o il pittore, in modo da autofinanziare la propria carriera.
Alla fine, la sua prima chance su una vettura arriva nel 1980, dove corre in Formula Ford 1600 su una vettura affittata da Bert Ray, suo mentore.

Nel 1983 arriva il passaggio in Formula 3, per il team gestito da Dave Morgan. I buoni risultati di Dumfries gli permettono non solo di essere confermato per la stagione 1984, ma anche di avere l’appoggio dello sponsor BP, casa petrolifera ed energetica. Al termine del campionato ’84 farà suo il titolo inglese, mentre nel campionato europeo terminerà al secondo posto dietro all’italiano Ivan Capelli. Viene persino premiato con un test per il team McLaren-Porsche.

Dopo un 1985 più in sordina e passato tra gare di Formula 3000, prime gare a ruote coperte e test di F1 per la Ferrari, nel 1986 si presenta la grande occasione: correre su una vettura di Formula 1 e per un team di assoluto livello come la Lotus. La squadra fondata da Colin Chapman (scomparso quattro anni prima) e gestita ora da Peter Warr si stava lentamente risollevando dopo un periodo piuttosto buio, a seguito della morte del geniale Chapman e delle poche soddisfazioni nei primi anni ’80. Ma la chance di Dumfries di correre per la Lotus non arriva tanto da Warr, quanto da Ayrton Senna: il fenomeno brasiliano aveva già fatto intuire, nel suo primo anno in F1 con la Toleman e soprattutto nella sua prima stagione in Lotus, come potesse essere un contendente al titolo fatto e finito.

Il brasiliano pose però il veto alla scelta di Derek Warwick come secondo pilota. La seconda scelta fu proprio il conte scozzese, che ereditò così la Lotus 98T #11 lasciata vacante da Elio De Angelis.

Come molti sanno, però, la sua stagione fu tutto tranne che facile. Nonostante il livello del mezzo e del potentissimo turbo Renault, per Dumfries la vettura si rivelò molto difficile da guidare, rendendogli impossibile lottare con i fenomeni in testa alla griglia quali Prost, Rosberg, Mansell, Piquet e, appunto, Senna. Il “Mago” era probabilmente il confronto peggiore che Dumfries potesse chiedere, tanto che a fine anno il punteggio parla di 55 punti per Senna (quarto in campionato) contro gli appena tre di Dumfries, ritiratosi ben nove volte e giunto a punti solo in due occasioni, in Ungheria (quinto) e in Australia (sesto).

Al conte non venne rinnovato il contratto per il 1987, per fare spazio a Satoru Nakajima in quanto uomo Honda, che nel frattempo aveva sostituito la ritiratasi Renault per diventare il motorista del team inglese. L’attenzione di Dumfries si spostò quindi sui campionato a ruote coperte, tanto da meritarsi, per la 24 Ore di Le Mans del 1987, un posto nell’equipaggio del team Sauber sulla C9 #62 motorizzata Mercedes, insieme a Chip Ganassi e Mike Thackwell; la gara dei tre purtroppo terminerà dopo appena 37 giri percorsi, a causa di un guasto al motore.

Appena un anno dopo, Dumfries riuscirà a trionfare nella gara di durata più importante al mondo. Stavolta lo scozzese guida una Jaguar XJR-9 ed è insieme ad Andy Wallace e a Jan Lammers. La battaglia che si crea tra la vettura inglese #2 e la Porsche 962 #17 è davvero storica, fino a che un problema alla pompa dell’acqua non rallenterà la vettura di Stoccarda; nei minuti finali invece sarà Lammers a dover portare la macchina in fondo a fatica, a causa di un problema al cambio che permetterà alla Porsche di recuperare terreno, ma non quello sufficiente a vincere.

Tornando a Dumfries, dopo questo storico successo la gara su La Sarthe non darà ulteriori soddisfazioni: il conte si accaserà con la squadra Toyota, ritirandosi però nelle edizioni 1989 e 1990. La sua ultima 24 Ore di Le Mans avviene nel 1991, su una Cougar-Porsche del team Courage: anche questa volta ci sarà un ritiro, l’ultimo prima dell’abbandono al mondo delle corse.

Nel 1993 Dumfries è diventato marchese, succedendo al padre morto nel mese di luglio. In anni recenti, il sito ufficiale della F1 ha anche pubblicato un’intervista con lo scozzese a Beyond the Grid, il podcast ufficiale della massima categoria. Queste sono state le parole di Dumfries in merito alla sua avventura: “(Nel 1986, ndr) Non mi sono impegnato abbastanza. Ero conscio di non voler essere il debuttante che continua a mettere la macchina a muro. Penso sia importante terminare la gara, ma è anche importante effettuare una scelta in merito a quando bisogna dare il massimo, o quando invece bisognerebbe aggiungere un minimo di cautela. Mi considero estremamente fortunato per esser stato in grado di avere una carriera facendo qualcosa che mi desse un piacere così incredibile, e ha rappresentato una sfida davvero immensa. E la parola “sfida” è molto importante, poiché credo che le sfide lo siano nella nostra vita. Mi è sempre piaciuto mettermi alla prova e sapere che stavo sfidando me stesso nel vivere in un ambiente estremo, e aver avuto qualche successo nella mia carriera mi dà un’immensa soddisfazione”.

P300.it desidera dunque mandare le proprie condoglianze alla famiglia di John Colum Crichton-Stuart. Il conte di Dumfries è un esempio di ciò che una persona deve essere, sia nel mondo sportivo che in quello di tutti i giorni: dare il massimo per ciò che si ama di più, con le proprie forze e senza contare solo su quelle altrui. Solo così, quando si guarderà il quadro completo finale, si sarà soddisfatti di ciò che si è ottenuto, indipendentemente dall’ammontare di trionfi e successi ottenuti.

Fonte immagine: formula1.com

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