Brembo

… e così lo vedreste come il nuovo Gilles

di Alessandro Secchi
alexsecchi83 alexsecchi83
Pubblicato il 13 Giugno 2018 - 00:11
Tempo di lettura: 9 minuti
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… e così lo vedreste come il nuovo Gilles

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Gran Premio di Spagna 2016: di rosso vestito, Max Verstappen di anni 18 vince al Montmelò davanti alla Red Bull di Kimi Raikkonen, tenendo a bada per diversi giri l’esperto pilota finlandese.

Gran Premio del Brasile dello stesso anno. Alla ripartenza dalla Safety Car, con il tracciato ancora invaso dall’acqua, lo stesso olandese supera all’esterno della Curva Do Sol la Mercedes di Nico Rosberg, spuntando davanti al tedesco dalla nube d’acqua sollevata dallo stesso, poi futuro campione del mondo.

Gran Premio di Singapore 2017. Nel panino tra le due Red Bull di Sebastian Vettel e Kimi Raikkonen, Max Verstappen viene incastrato con la sua Ferrari ed è costretto al ritiro.

Potrei citarne altri, di episodi, ma bastano questi tre per ritornare su un argomento che scotta e sul quale voglio volutamente provocare. Un po’ per saggiare la reazione, un po’ perché mi piace approfondire questi temi ricordando cosa il passato ci ha insegnato.

Gilles Villeneuve è idolo dei tifosi ferraristi, e non solo. La sua parabola viene tramandata di generazione in generazione nonostante le sue vittorie siano state infinitamente minori, almeno quantitativamente, rispetto al potenziale, al merito, a quello che ha fatto vedere, a quello che chi l’ha vissuto ricorda di lui ancora oggi. Gilles è Gilles, poche balle. Gilles, però, è anche quello che sfasciava Ferrari a ripetizione. Quello che volava sopra Peterson al Fuji. Quello che veniva chiamato non per caso “l’aviatore”. Quello che stampava la sua Rossa talmente forte ad Imola da farsi intitolare una curva. Quello che si faceva un giro a Zandvoort su tre ruote con la pretesa che, una volta arrivato ai box con il cerchio appeso per i capelli, qualcuno sistemasse tutto per poter ripartire. Era quello che non mollava mai, mi dicono, uno di quelli che volevano vincere anche correndo a quattro zampe, uno che la velocità ce l’aveva nel sangue anche mentre dormiva. 

Tra i santini dei ferraristi quello di Gilles lo trovi sicuramente. La sua morte in sella al Cavallino, permettetemi, ha cementificato questo status di idolo delle folle, mito della “Febbre Villeneuve”. Se Gilles fosse rimasto in vita, se non avesse tirato anche in quel maledetto suo ultimo giro alla morte, forse se ne sarebbe andato dalla Ferrari dopo lo sgarbo di Imola; magari, da un’altra parte, avrebbe portato a casa un mondiale che manca a suo nome. Magari, ora, i tifosi della Ferrari lo ricorderebbero con meno amore e più analisi.

Ora che siete arrivati fino a qui, probabilmente vi chiederete dove voglio andare a parare. Alcuni, forse, si saranno fermati al titolo irrispettoso. Altri, in giro, staranno già sfottendo. Soprattutto di questi ultimi, mi interessa quanto del cricket. Detto questo, torno all’immagine di copertina. Una bella SF71-H con il numero 33, quello di Max Verstappen. Sono sicuro che solo alla visione qualcuno ha storto il naso.

Ora: il ferrarista medio, per quella che è la mia esperienza di questi ultimi venticinque anni, poco si interessa del contenuto della tuta. Se sei un pilota della Ferrari hai sostegno, se prima non lo eri magari eri uno stronzo, quando te ne vai capita che sei anche un traditore. È una sequenza vista con almeno tre degli ultimi nomi di peso: Schumacher, Alonso, Vettel. Sebastian al momento (dopo una vittoria non parliamone) è il salvatore della patria. Credo non sia necessario ripescare cosa si diceva di lui ai tempi della Red Bull, soprattutto quando vinceva i titoli contro Maranello. Se un giorno dovesse finire che so, in Mercedes, diventerà il crucco sulla macchina dei crucchi. Alonso, l’acerrimo nemico di Schumi, nemmeno arrivato a Maranello fu oggetto di un libro, “Fernando Alonso, il Principe di Maranello”, pubblicato a gennaio 2010: non aveva ancora corso una gara con la Rossa. Lo stesso Schumi, quello delle 72 vittorie, divenne il traditore, mentre nel 1995 uno striscione a Monza recitava “Meglio 1 Alesi oggi che 100 Schumacher domani”. Insomma, è una prassi costante, che si ripete supportata dai media che spingono sull’amore nazional popolare nei confronti della Rossa. Ci sta, d’altronde.

Domenica, prima della gara, su Sky Sport UK Martin Brundle ha pizzicato Chris Horner: “Max non deve prendere rischi alla prima curva”“Perché no?” . Sorpreso, Brundle ha chiesto “gli state dando il permesso?”, ricevendo come risposta un “Assolutamente, attacca!”.

Sempre domenica, nell’approfondimento post gara, su Sky Sport IT è andato invece in onda questo:

Francesco Mandelli (spesso opinionista, non sta a me giudicarne la necessità anche se preferirei vedere non so, l’Ing. Forghieri?) non è nuovo ad uscite del genere. Il leitmotiv è più o meno sempre lo stesso: “Verstappen è un pacco”, “se non picchia non è neanche un fenomeno”, “Versbatten”, “Quando è nei paraggi c’è da avere paura”. Insomma una sorta di accanimento mediatico che non ha niente a che fare col comico ma, semmai, con il totale non rispetto verso un pilota. Atteggiamento parte di un gruppo e non solo di una persona, altrimenti l’indignazione sarebbe anche evitabile. In realtà quello di Versbatten è un tema ricorrente da almeno un anno e mezzo, usato anche a convenienza per mascherare i problemi della Ferrari, almeno per quanto mi riguarda. Anche per questo ho smesso di ascoltare approfondimenti, pre e post gara, varie ed eventuali. Perché non se ne può più di leggere che se Verstappen sbatte è un ciula, se lo fa contro una Ferrari è ciula e pure delinquente, se arriva davanti a Ricciardo comunque non ha talento. Non siamo alla sagra della porchetta, o forse sì?!

Verstappen, oggettivamente, ha due problemi: il primo, notevole, è che spesso commette errori. Il secondo è che in diversi casi li commette quando c’è di mezzo una Ferrari, e questo secondo problema è ben più grave del primo perché va a cozzare contro l’interesse nazionale. Se facesse solo errori, sotto un certo aspetto sarebbero solamente problemi suoi. Se però, direttamente o indirettamente, a perderci è una Rossa, allora è finita. Perché se Verstappen frena in faccia a Hamilton a Suzuka o a Rosberg in Canada, tutto tace. Se a picchiare è Stroll, che con le Ferrari non ha a che fare se non quando è doppiato, silenzio tombale. 

Vedete, io non tifo per Verstappen. Sono almeno sei anni che ho smesso con il tifo e la tachicardia al quinto semaforo rosso acceso, a dire il vero. Eppure, tra quelli arrivati nel giro negli ultimi anni e al di là degli errori, trovo il figlio di Jos quello col potenziale più alto di tutti. Perché Verstappen è ancora senza dubbio acerbo ma, per me, ha già fatto vedere di poter essere un campione.  Lo pensavo e continuo a pensarlo. Questo in attesa di vedere Charles con una vettura top e non con una Sauber. Ah, apro parentesi: vorrei ricordare a Mandelli che non funziona così. Non è che quando fa bene è un’Alfa e quando fa male una Sauber. È sempre e comunque una Sauber con base ad Hinwil, Svizzera. Chiusa parentesi. Quello che però posso ammettere candidamente è che lo stritolamento di coglioni mediatico nei suoi confronti me lo sta facendo diventare più simpatico di quanto non fosse prima. Ed è ormai diventato quasi divertente vedere come si cerchi il pelo nell’uovo per screditarlo anche quando non è chiamato in causa. Un atteggiamento imbarazzante, interessato, folkloristico che, alla fine, qualifica esclusivamente chi lo porta avanti.

Anche perché, la storia ci insegna, un giorno potrebbero avvenire ribaltoni clamorosi. Chi pensava, dopo le qualifiche di Monza 2006, che quattro anni dopo il tanto odiato asturiano, nella stessa location, avrebbe fatto morire dalla gioia proprio i tifosi che un tempo gliene cantavano dietro di tutti i colori dal gradino più alto del podio? E chi pensava, dopo la cocente delusione di Abu Dhabi, che il ditino fastidioso di un ancora brufoloso Sebastian Vettel sarebbe stato gradito segno di vittoria e di “un’altra bandiera a Maranello”? E quindi perché non posso pensare che, con una carriera ancora lunghissima davanti a sé, un giorno lo stesso destino possa toccare a Max? Perché non piace? È un insulto? Chi se ne frega. 

Dato che, però, non posso prevedere il futuro, ecco che mi piacerebbe capire chi sarebbe oggi Max Verstappen se, sulla SF71-H, ci fosse il numero 33. Sarei curioso di leggere i nostri media se quella vittoria a Barcellona, a 18 anni, fosse stata conquistata con una tuta rossa; oppure cosa si direbbe di un sorpasso all’esterno nella nube d’acqua ad Interlagos. E chissà cosa si direbbe se i colori a Singapore fossero stati invertiti, se cioè la colpa sarebbe stata attribuita comunque a lui (che era totalmente incolpevole) o agli altri due coinvolti. Vorrei leggere cosa si direbbe dei suoi errori a 20 anni: se sarebbe un “deludente Versbatten” o “un giovane pilota che non molla mai, neanche nelle prove libere”, magari un “segno distintivo di un futuro campione”. Vorrei ascoltare Francesco Mandelli mentre lo difende, sostenendo magari che Vettel ha più culo che anima ogni volta che vince, come ai vecchi tempi. 

Quando vedo gli errori e la foga di Verstappen, quando lo sento dire che si è rotto le palle di farsi fare le stesse domande, quando sostiene che lui non cambia approccio alle gare solo perché gli altri lo criticano, ci vedo molte più palle rispetto a chi gli sta intorno, molta più personalità, molto meno farsi intaccare. Quando picchia perché vuole essere davanti anche a briscola, quando non si vuole risparmiare mai e frena cinque metri dopo magari sbagliando, quando gira nonostante la macchina danneggiata, io me lo immagino con la tuta Rossa e vedo una considerazione totalmente opposta nei suoi confronti. E non ho alcuna remora nel sostenere con convinzione che se Max Verstappen, oggi, fosse un pilota della Ferrari, i paragoni con Gilles non sarebbero rari e non solo da parte dei media, intenti a sponsorizzarlo e cavalcare l’onda. Perché la morte ha reso l’aviatore, quello che faceva sognare ma sfasciava anche macchine a iosa, un eroe. E se un arrogante olandese avesse già vinto per la Ferrari tre gare a vent’anni, mostrando questa foga e voglia di primeggiare, sono sicuro che nonostante gli errori sarebbe percepito e sponsorizzato in modo diametralmente opposto rispetto allo schifo a cui stiamo assistendo di questi tempi, senza disdegnare paragoni scomodi come quelli tra Vettel e Schumacher. Ecco, appunto. Così come Seb è stato dipinto come il nuovo Michael, Max sarebbe il nuovo Gilles.

Replicare, poi, è un altro paio di maniche, e non ci si riesce quasi mai.

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