Tra divani e divani, l’informazione al tempo Social

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Tempo di lettura: 8 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
24 Ottobre 2016 - 18:20
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È da tempo che il web e i Social hanno ampliato a dismisura l’offerta di notizie, pareri, opinioni riguardo tantissimi argomenti, siano essi seri o meno, importanti o meno.

Visto che su queste pagine ci limitiamo all’ambito motorsport, vorrei soffermarmi su quello che è il nostro orticello. Internet ha offerto la possibilità a chiunque abbia un minimo di familiarità con lo strumento tecnologico di attrezzarsi per aprire un sito, o più semplicemente una pagina Facebook o un account Twitter, e infine dire la sua. Esattamente come abbiamo fatto noi ormai quasi quattro anni fa con Passione a 300 all’ora.

Negli ultimi anni, tutto questo, ha creato uno scossone nel mondo dell’informazione: la carta è sempre meno prevalente e sempre più antiquata (soprattutto quella quotidiana), asfaltata dalla possibilità di informarsi live che affossa il rito del giornale letto il giorno dopo, quando ormai si sa già tutto di tutto. Tant’è vero che diverse testate stanno correndo ai ripari blindando i propri siti e obbligando all’abbonamento digitale per leggere le notizie, cercando così di recuperare le perdite delle vendite del cartaceo.

I professionisti, da un lato, in alcuni casi hanno denunciato e denunciano ancora oggi un fenomeno che crea offerta a iosa, delegittimando secondo loro un lavoro conquistato e sudato nel corso degli anni in cui il web non esisteva. Atteggiamento tutto sommato comprensibile, quello di difendere il proprio campo. Dall’altra parte, i blogger rivendicano la libertà di stampa e di parola, che non può vietare a nessuno di dire la sua. Se un tempo, però, esprimersi era una questione di voce seduto al tavolino di un bar, ora gli strumenti sono i medesimi, a volte anche le piattaforme tecniche. Il contemporaneo calo di interesse nei confronti della F1 da parte del pubblico italiano (in questo caso), argomento già trattato qualche giorno fa, ha contribuito a certificare la crisi dei media e l’attrito tra professionisti e amatori, inasprendo quindi le motivazioni degli uni e degli altri.

La più grande differenza tra i grandi e i piccoli, attualmente, è nelle risorse economiche e nella possibilità di pubblicizzare il proprio lavoro sul web tra i vari Google, Yahoo, Bing e, appunto, i Social. Perché la vera grande rivoluzione (secondo me negativissima) che i Social hanno prodotto è il cambio nelle abitudini dell’utente medio. Il quale non ha più voglia di informarsi, non cerca più autonomamente le informazioni di cui ha bisogno utilizzando i motori di ricerca e spulciando accuratamente le fonti, ma lascia che siano Facebook, Twitter e affini a decidere per lui cosa è bene leggere e cosa no, in base alle sponsorizzazioni dei post. La conferma arriva dal fatto che ormai il pubblico si è totalmente addormentato e plafonato sull’app del Social, commentando direttamente su Facebook o Twitter e snobbando le piattaforme fonte di informazione, spesso e volentieri non aprendo nemmeno i link ma facendosi bastare i titoli delle news (atteggiamento che personalmente odio perché chi si ferma al titolo e poi commenta viene beccato in tre secondi). L’utente medio ha fretta, non ha tempo da perdere, ma commenta lacunosamente e spesso a sproposito. In più, vista la situazione attuale della F1, preferisce articoli divertenti, vignette, meme (preparati in pochi minuti) e via dicendo a pezzi più complessi, seri o articolati che richiedono maggior lavoro e organizzazione.

Perché mi soffermo solo sull’aspetto economico? Perché dal punto di vista della competenza, della professionalità e dell’etica ho avuto diverse volte, si sa, un forte tono critico nei confronti di diversi soggetti, a parer mio troppo indirizzati piuttosto che palesemente schierati o protettivi verso qualcuno o qualcosa. È un discorso che ho già affrontato in molteplici occasioni e non ho voglia di ripetermi ulteriormente, ma è abbastanza evidente che là dove si stringono collaborazioni con partner che fanno parte del mondo del motorsport, è assai difficile (comprensibilmente) lasciarsi andare ad una qualsiasi critica. Credo comunque, fermamente che non si possa fare di tutta l’erba un fascio. Così come ci sono professionisti stimabili, eticamente rispettabili e dalle competenze immense, ci sono blogger altrettanto competenti che, grazie al web, meriterebbero chance in posti più importanti e visibili. E occhio, con questo non voglio assolutamente ricorrere all’autocelebrazione: sto esclusivamente parlando di soggetti che non c’entrano con noi, perché non devo essere io a giudicare il nostro lavoro, sebbene sia convinto che questo che sia svolto al 100% delle nostre possibilità.

Dov’è che il web e gli amatori perdono invece credibilità? Nell’appoggiare inconsapevolmente le tesi di chi contesta il “commento dal salotto” promosso da chi non ha esperienza in pista, nel paddock, in autodromo in generale. Uno dei cavalli di battaglia dei Pro è infatti questo: “è facile giudicare seduti su un divano, senza essere giornalisti, senza aver lavorato in questo settore, senza arte né parte”. Tutto sommato vero, ma c’è sempre un ma. Bisogna distinguere chi dal divano commenta e giudica argomentando, consapevole del suo ruolo, da chi utilizza il filtro di tastiera e monitor per sputare veleno, insultare, a volte anche bestemmiare (perché ormai la blasfemia è un rito comune del mondo Social), lanciare sentenze definitive da ribaltare gara dopo gara, nascondendosi magari dietro un nickname per cercare di non essere riconosciuto. Questo è il vero male di internet. Saccenza, arroganza, prevaricazione, ignoranza (anche nella stesura di un semplice testo), approssimazione, a volte anche l’analfabetismo funzionale fanno parte di ciò che leggiamo ogni giorno, e non ci sono filtri che tengano.

Insomma, ci sono i divani di chi aspetta l’incidente, la ruota non avvitata, il motore in fumo per scagliarsi contro tutto e tutti (e questo avviene regolarmente), e quelli di chi segue attentamente, magari con in portatile davanti e un tablet con i tempi a fianco, andando oltre e partendo dal presupposto che un essere normale, una ruota, la cambierebbe in non meno di 6/7 secondi (altro che 2.2), una monoposto di F1, senza esperienza, non la farebbe nemmeno partire (a volte fa fatica un tre volte campione del mondo, il che è tutto dire) e una strategia dal muretto, da decidere in tempi brevi e live, la indovinerebbe una volta su 20 e per caso. Quello che non supporto è la classificazione unica, come se tutti i divani appartenessero allo stesso salotto. Non è così, proprio per niente. Gli appassionati sono una cosa, sono seri e capiscono; gli ultras di derivazione politico/calcistica sono un’altra cosa, rovinano gli ambienti e conferiscono peso maggiore, giorno dopo giorno, alla frase di Umberto Eco “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività”, che io stesso in principio ho ripudiato ma, mannaggia, con il tempo inizio a comprendere meglio e condividere.

Tornando ai media la quantità, poi, ha sopraffatto progressivamente la qualità, soprattutto tra i grandi. Negli ultimi tempi non è difficile, anzi, rimanere atterriti di fronte a post che ribaltano la realtà, che si rendono protagonisti di errori storici palesi, o ad articoli sconclusionati, tradotti male o evidentemente di fretta: prodotti fast allo scopo di elargire il maggior numero di pezzi possibile per tenere alta l’attenzione sul sito o sulla pagina in questione, con il risultato che chi non è attento prende per oro colato il tutto e la disinformazione si espande. In un ambiente nel quale la regola è la quantità, la qualità non è più un punto a favore, ma uno sforzo apparentemente inutile, soprattutto quando la quantità viene premiata come sinonimo di competenza e professionalità. Questo è un gran peccato, personalmente, ed è anche controproducente proprio per i grandi, perché calando la qualità cala anche la discriminante che loro stessi usano come differenza tra loro e i blogger.

Cosa può succedere in futuro? Difficile a dirsi, ma ho notato ultimamente una tendenza alla sinergia, ovvero la nascita di collaborazioni o acquisizioni con l’obiettivo di unire le forze ed espandere il proprio bacino di utenza, quasi come per voler far fronte in qualche modo all’espansione dei Social. Sembra quasi, a tratti, che puntare tutto su Facebook, Twitter e affini abbia prodotto un effetto contrario non considerato ma, soprattutto, indesiderato. Invece di incrementare le visite ai propri siti, ha spostato gli utenti verso i Social, più fruibili e comodi per l’utilizzatore medio (e pigro). Paradossalmente, al giorno d’oggi, un articolo postato direttamente su Facebook (inteso come contenuto) attirerebbe molto di più. Ma questo è uno sviluppo futuro che mi rifiuto di considerare. Personalmente ho sempre preferito tenermi tutto in casa che appoggiarmi completamente ad un servizio esterno del quale non si conosce il futuro.

La tendenza, comunque, è pericolosa e fa riflettere. Ho sempre pensato che in ambito tecnologico ogni fenomeno abbia la sua era destinata a terminare. Ma se non fosse così questa volta? Sarebbe preoccupante: professionisti o blogger potrebbero finire, persi nel battibeccare tra loro, ad essere tutti schiavi di un meccanismo più grande di loro.

Che poi, se ci pensiamo, in parte è già così.

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