Difendere ad oltranza non vuol dire tifare

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Tempo di lettura: 3 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
12 Ottobre 2018 - 01:24
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Potrei fermarmi al titolo, effettivamente, come tanti altri. Questo però è un discorso che volevo fare da tempo e stasera mi è tornato in mente.

Il periodo, tutto sommato, è quello buono. Negli ultimi anni ho notato sempre più la tendenza a difendere incondizionatamente il proprio pilota preferito, anche alla luce di errori più o meno gravi. Si tratta di una tendenza a mio modo di vedere piuttosto pericolosa e che non fa di certo un favore al pilota di turno, anzi. Quando il tifo è ad oltranza e si trasforma in difesa quasi da legale nonostante le evidenze si passa allo step successivo di fanboy, ultras e via dicendo, di cui la Formula 1 dovrebbe fare a meno perché il calcio in questo senso basta e avanza.

Supportare un pilota, per quella che è la mia personale esperienza, non è questo. Non è difenderlo di fronte a colpe palesi, non è volerne ricreare un’immagine più bella e levigata, non è sparare a zero sugli altri per farlo emergere. I piloti sbagliano, più o meno frequentemente. Fa parte della carriera e la carriera può essere caratterizzata da alti e bassi. Gli errori sono tali chiunque li commetta: possono bruciare, dar fastidio, ma la crescita di un pilota passa soprattutto attraverso i momenti negativi. Nasconderli è solo controproducente.

Tifare è supportare il proprio beniamino nel bene e nel male, riconoscendone i pregi ma anche le debolezze. È esaltarne le vittorie ed accettare le sconfitte. È emozionarsi per i colpi di genio ed incazzarsi, ci sta, per gli errori. Questo, però, senza per forza dover ribaltare la colpa sugli altri. Almeno dovrebbe essere così.

Leggo parecchio sui social e non commento quasi più, perché mi hanno stancato e non ho più voglia di dover discutere ogni volta. Ultimamente il personaggio più chiacchierato è chiaramente Vettel e, onestamente, leggo delle difese che non rendono giustizia non tanto a chi si impegna non so per quale ragione a mantenerne l’immagine immacolata, ma nemmeno allo stesso tedesco. A Baku era colpa della Safety Car, al Paul Ricard di Hamilton che ha frenato, a Monza di Hamilton che ha stretto, ad Hockenheim della pioggia, a Singapore del muretto che si è spostato, a Suzuka di Verstappen che non ha lasciato spazio. 

No, non ci siamo: non può essere sempre tutto bianco o tutto nero, a volte bisogna riconoscere anche il grigio perché altrimenti non si è credibili. Tifare un pilota significa stringere una sorta di legame a distanza. Questo legame deve mantenersi nel tempo indipendentemente da tutto. Ciò significa che lungo l’arco di una carriera bisogna sempre essere pronti a supportarlo nonostante le circostanze, le annate negative e si spera quelle vincenti. Soprattutto, il tifo deve essere sincero. Come se fosse un amico fidato bisogna saper riconoscerne gli errori sebbene con un pilota, nella stragrande maggioranza dei casi, non si possa comunicare. Soprattutto, gli incidenti di percorso non devono essere una leva per scendere dal carro per poi, alla prima occasione buona, risalirci. Anche questo non c’entra nulla col tifare, si chiama più che altro opportunismo. 

Ecco, mi pare che ultimamente tifare sia sinonimo di difendere con le unghie e con i denti anche di fronte al corpo del reato. Questo non fa altro che allontanare progressivamente chi ha sempre visto il tifo in modo genuino: tutt’altra cosa rispetto alle difese degli avvocati del web.

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