Dakar 2021 | Tricolore nel Deserto: intervista a Umberto Fiore e Roberto Camporese

IntervisteMotorsport
Tempo di lettura: 7 minuti
di Alyoska Costantino @AlyxF1
27 Gennaio 2021 - 10:00

La coppia italiana è stata una delle prime a sposare il nuovo progetto della categoria Classic. La parole di Camporese: “Spero non cambino nulla nel 2022”.


Eccoci giunti al terzo e (per ora) ultimo appuntamento di Tricolore nel Deserto, che chiude questa breve serie d’interviste con una sessione di domande e risposte doppia. Qui invece troverete l’intervista di Cesare Zacchetti uscita ieri.

I protagonisti dell’articolo di oggi sono il pilota e il copilota dell’equipaggio #207 iscritto alla neonata categoria Classic, Roberto Camporese e Umberto Fiori.

I due, amici di lunga data, hanno corso a bordo di una Peugeot 504 Pick-Up del 1988, una vettura con oltre trent’anni alle spalle. Si sono classificati al 22° posto di categoria.

Segue ora l’intervista. Le risposte del signor Camporese saranno precedute dalla sigla R.C., mentre quelle di Fiori dalle lettere U.F.

Che cosa vi ha spinto a tentare la Dakar 2021?

R.C.: “Spirito di avventura”.
U.F.: “Il gusto di un’esperienza avventurosa con il mio amico Roberto”.

In quanto appassionato di motori, avrete qualche punto di riferimento del passato. Di chi siete stati tifosi nel mondo motorsportivo?

U.F.: “Ce n’è più di uno, ma fra tutti Miki Biasion, con cui ho avuto la fortuna di condividere la cabina di un camion nella Dakar del 2013”.

Parlateci un po’ della preparazione fisica e atletica. Come ci si prepara a due settimane di maratone di 300, 400 o anche più chilometri?

R.C.: “Abbiamo fatto la Dakar con una “vecchietta” del 1988 più che il fisico abbiamo dovuto preparare la mente per la vicissitudini che certamente ci sarebbero capitate”.
U.F.: “Un minimo di preparazione fisica ci vuole, come anche spirito di sacrificio ed esperienza per sapere a cosa si va incontro, anche se gli imprevisti sono sempre tanti”.

[Domanda rivolta solo a Fiori] Questa non è la prima Dakar che lei ha svolto. Che sensazioni le ha dato la gara 2021 rispetto alle altre?

U.F.: “Ne ho fatte nove (di cui tre in assistenza), sia in Africa che in Sudamerica e ora in Arabia Saudita; ogni posto è diverso e ha le sue caratteristiche, difficile dire quale sia il migliore. La Classic è diversa, lascia anche il tempo per godersi i panorami nei trasferimento off-road ed è meno impegnativa anche se per noi lo è stata, poiché con quest’auto abbiamo comunque dovuto affrontare momenti difficili”.

E’ il secondo anno che la carovana corre in Arabia Saudita, scelta tra l’altro abbastanza criticata per ragioni politiche e ideologiche. Voi avete un pensiero su questo tema?

R.C.: “La nazione è strepitosa dal punto di vista del territorio e rispecchia perfettamente il concetto di “Dakar”, ma purtroppo la situazione “politica” non è certamente la migliore dal punto di vista umano”.
U.F.: “I percorsi sono molto belli e con panorami mozzafiato. Il clima aiuta, non c’è un caldo insopportabile. La parte politica e ideologica non rispecchia il mio ideale dal punto di vista umano e di libertà invece”.

Potete parlarci del mezzo con cui avete disputato la gara?

R.C.: “Una Peugeot 504 Pick-Up del 1988. Due ruote motrici e ben 70 cavalli”.
U.F.: “Si tratta di una Peugeot Pick-Up a due ruote motrici degli anni ’80,abbiamo scelto questo mezzo perché ci pareva rispecchiasse quello che voleva dire fare una Dakar Classic, per come veniva affrontata in quegli anni e questo ci è stato anche riconosciuto da tutti, compresi gli organizzatori dicendo che avevamo colto nel segno (cosa che ci ha dato parecchia soddisfazione). Sarebbe stato troppo scontato e banale farlo con un auto più moderna e prestazionale (di cui Roberto dispone tra l’altro). In gara con le Classic c’erano mezzi che avrebbero potuto fare la Dakar “normale” e ci parevano fuori luogo”.

Siete soddisfatti del risultato ottenuto?

R.C.: “Il risultato non centra nulla con la nostra gara, noi volevamo dimostrare che due amici con molta esperienza possono fare questo tipo di gara o avventura anche senza assistenza o budget milionari, e con un mezzo improbabile”.
U.F.: “Se per risultato s’intende essere arrivati a Jeddah sul podio finale, allora direi che sono pienamente soddisfatto”.

Qual è il ricordo più bello che avete, legato alla Dakar?

R.C.: “L’amico Umberto e il palco dell’arrivo”.
U.F.: “Le emozioni che abbiamo avuto insieme, l’amicizia e la soddisfazione di avercela fatta nonostante tutto”.

Qual è stata la tappa più difficile?

R.C.: “La prima, quando abbiamo scoperto di avere un grosso problema al motore nonostante fosse stato revisionato completamente”.
U.F.: “La prima, ovvero il trasferimento iniziale della prima tappa quando abbiamo scoperto l’inaffidabilità del mezzo nonostante i preparativi”.

Purtroppo qui in Italia non c’è una considerazione molto elevata di questa gara. Secondo voi perché?

U.F.: “L’interesse nasce quando il tutto viene pubblicizzato e si dà spazio all’evento”.

Cosa direste a tutti gli amatori e professionisti di corse per convincerli a provare un’avventura simile?

R.C.: “Non è stato facile, purtroppo se non si ha grande adattabilità e spirito di avventura è meglio stare a casa”.

Non sono mancate le polemiche in quest’edizione. In cosa la Dakar 2022 dovrà migliorare?

R.C.: “Per la categoria Classic tutto è stato più che perfetto, pertanto io spero non cambino nulla”.
U.F.: “Per quanto riguarda la categoria Classic mi è piaciuta così, a parte pochi dettagli”.

Parteciperete alla Dakar 2022?

R.C.: “Se ci saranno le condizioni sì”.
U.F.: “Ci sono diversi progetti ,vedremo se uno di questi prenderà forma”.

Com’è stato disputare la Dakar in coppia con un’altra persona?

R.C.: “Con l’amico Umberto avevamo già fatto altre avventure internazionali, pertanto nessuna difficoltà”.
U.F.: “È stata un’esperienza positiva, io e Roberto ci conosciamo da tempo e abbiamo condiviso altre avventure; questa non sarà l’ultima”.

Cosa pensate della Dakar Classic come concetto? Secondo voi ha funzionato?

R.C.: “A sentire i rumor l’anno prossimo ci sarà un boom di iscrizioni”.
U.F.: “Il concetto è molto interessante come l’attenzione che ha catalizzato, ha funzionato e funzionerà almeno per qualche tempo”.

Ora che siete tornati in Italia, quali sono i vostri progetti futuri? Disputerete altre gare?

R.C.: “Se il Covid-19 ci lascia stare certamente qualcos’altro farò”.
U.F.: “Ho qualche progetto da portare a termine visto che il Covid-19 ha bloccato e/o rinviato degli eventi. Se ci sarà l’occasione sarò pronto a rimettermi in gioco”.

Questa terza intervista si conclude, perciò desideriamo rinnovare i nostri ringraziamenti a Roberto Camporese e Umberto Fiori per la loro disponibilità.

E’ stata una grande opportunità poter sentire i pareri più disparati di chi ha potuto partecipare a un evento simile in prima persona.
Purtroppo non tutti i piloti italiani giunti al traguardo sono riusciti a rendersi disponibili.

Nonostante questo, ci teniamo a congratularci nuovamente anche con questi ultimi capaci di fare tanto, nell’ordine Franco Picco (categoria Moto), David Giovannetti (Auto), Paolo Ceci (SSV), Camelia Liparoti (Prototipi leggeri), Luciano Carcheri e Roberto Musi (Dakar Classic).

Senza dimenticare anche i nostri portacolori che hanno avuto il coraggio di tentare un’avventura così difficile per mezzi e persone, seppur non siano stati in grado di concludere la maratona:

E’ giusto ricordare anche chi ci ha provato nello spirito della Dakar, un concetto magari lontano da quelli delle Case più blasonate o dei professionisti desiderosi di entrare nell’Albo d’Oro della gara, ma forse più umano. E’ anche giusto ricordare i partecipanti nostrani per dare un minimo di giustizia a quella piccola, ma importantissima, parte di Italia che vive di Dakar.

Fonte immagine: Umberto Fiori

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