Cosa ne sarà della F1 dopo Liberty Media? Ecco perché il futuro (mi) preoccupa

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
9 Novembre 2022 - 13:15
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La F1 di oggi è in crescita indiscutibile. Ma cosa ne sarà del Circus una volta che non ci saranno più margini di miglioramento?

Leggendo la notte scorsa un approfondimento del Wall Street Journal sul GP di Las Vegas e la progressiva espansione americana della F1, sono incappato in un paragrafo che mi ha fatto scendere sulla schiena quella goccia di sudore freddo che significa attenzione.

“Netflix changed all of that. With a wildly popular show called “Drive to Survive,” which stripped away the technical parts of racing and replaced them with soap-opera intrigue, the sport cultivated an entirely new audience. New fans were younger, more diverse, and far more invested in the lives and personalities of the drivers than in tire compounds and wing angles. Nowhere did fans latch on harder than in the U.S.

Parto da un presupposto, ovvero che in tutto questo non c’è nulla di nuovo. Chi ha visto DTS sa benissimo cosa è stato fatto, ovvero come dice l’articolo “eliminare la parte tecnica e sostituirla con intrighi in stile soap-opera”. Ed è anche vero che, nella maggior parte dei casi – i social, su questo, non mentono – durante la settimana si è molto più interessati a quello che i piloti fanno nel privato piuttosto che documentarsi o cercare approfondimenti. Quelli restano ai vecchi tromboni che, incidentalmente, non rientrano nel target attuale di LM.

Ovviamente il tutto rientra nel piano di un’azienda che acquista un prodotto, in questo caso la Formula 1, con l’obiettivo di aumentarne il valore. E qui bisogna dire che, dal punto di vista aziendale, Liberty Media ha fatto bingo. Ha rilevato la vecchia gestione Ecclestone, una gestione se vogliamo vecchia maniera, e l’ha portata nel mondo 2.0. Ha puntato tutto sui giovani tramite i social, l’ha promossa tramite DTS (lasciamo stare il come, per un momento) e ha ottenuto il suo obiettivo, americanizzandola al punto tale da riempire Miami ed Austin (che quasi ha raddoppiato le presenze) con Las Vegas in prospettiva e chissà quale altra location nei prossimi anni.

Nel 2023 ci saranno sei gare in continente americano se contiamo anche Canada, Messico e Brasile, 1/4 di mondiale corso da quella parte del globo. E si parla già di New York, un possibile ritorno ad Indianapolis e poi chi lo sa.

Tutto bello, bellissimo, dal punto di vista aziendale. Ma dal punto di vista sportivo?

Abbiamo una categoria alla quale ogni anno, sempre più, vengono strappate le sue radici europee per esportarla ovunque nel mondo con una predilezione per il continente americano, casa dell’attuale padrone. Come se la IndyCar, di base States, decidesse di venire a correre stabilmente in Europa e poi in Asia. Ma non è tanto questo il problema, perché la F1 comunque le sue tappe extraeuropee le ha sempre avute, seppur in numero ridotto rispetto ai 2/3 di oggi.

La mia preoccupazione, figlia di passione trentennale e non di un like su Instagram, è per il dopo. Perché se la gestione Ecclestone era quella di un personaggio che era nato e cresciuto in questo ambiente, ritenendo la F1 di fatto un suo figlioccio, ora il Circus non è altro che un asset, un investimento. Una specie di casa comprata a basso costo per poi ristrutturarla e rivenderla, indipendentemente dall’arredamento.

Non è un caso che negli ultimi anni tra Sprint e via dicendo anche alcuni pezzi di tradizione si siano persi per strada, non tanto per uno spirito di miglioramento a livello sportivo ma di contribuzione a quell’aumento di valore di cui parlavo prima. Insomma, tutto fa brodo per incrementare il prestigio della F1 in un periodo nel quale, al fan di nuova generazione (conquistato con una soap-opera), si può offrire qualsiasi cosa che tanto andrà sempre bene.

Ma cosa ne sarà dopo? Perché, in quanto asset, arriverà il momento in cui la F1 diventerà un peso oppure non avrà più i margini di crescita attuali, convincendo LM a trovare il modo per liberarsene. E allora cosa succederà? Magari arriverà una società cinese che, in tre o quattro anni, ricambierà tutto il calendario spostando il baricentro dall’altra parte del mondo.

Ecco, spero che si sia capito in parte il mio ragionamento. L’entusiasmo per la botta di popolarità che la F1 ha vissuto negli ultimi anni è giustificato se parliamo del punto di vista aziendale e imprenditoriale, perché ottenuto tramite azioni specifiche che ne hanno favorito indiscutibilmente l’aumento. Però, se penso alle prospettive a lungo termine, sia dal punto di vista sportivo che di immagine, ecco che i dubbi iniziano a farsi sentire.

Non vorrei che il castello crollasse di colpo o il pacchetto passasse da una mano all’altra diventando esclusivamente una gallina dalle uova apparentemente d’oro ma dal contenuto irrilevante; e, pertanto, non più appetibile, sia per i nuovi fan conquistati ultimamente che per i vecchi appassionati, che potrebbero abbandonare la nave sulla base di una tradizione deturpata.

Spero di sbagliarmi, sia chiaro: ma è una preoccupazione che mi sentivo di condividere e un blog è fatto anche per questo.

Immagine: Las Vegas Grand Prix

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