Corsica nera: Carlo Cavicchi ci racconta Henri Toivonen, Sergio Cresto e Attilio Bettega

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Tempo di lettura: 8 minuti
di Andrea Ettori @AndreaEttori
2 Maggio 2020 - 10:00
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Attilio, Sergio e Henri. Tre uomini, tre piloti entrati nella leggenda dei rally e accomunati da un tragico destino. Il 2 maggio di 35 anni fa, in Corsica, se ne andò a bordo della sua Lancia 037 Attilio Bettega, uno dei più bravi e onesti interpreti italiani di quel periodo.

Il 2 maggio di 34 anni fa, nella discesa del Col d’Ominanda, sempre in Corsica, Henri Toivonen e Sergio Cresto persero la vita dopo aver dimostrato al mondo di essere i più bravi di tutti, sulla “brutale” Lancia Delta S4. In quel preciso istante finì l’epoca d’oro dei rally e delle Gruppo B, dopo anni di prestazioni oltre il limite e anche di tragedie come quelle di Attilio, Sergio e Henri.

P300.it ha avuto il piacere di chiacchierare con Carlo Cavicchi, grande giornalista, inviato dell’epoca d’oro dei rally e amico di Attilio Bettega e Henri Toivonen. Ecco cosa ci ha raccontato di questi personaggi che sono rimasti nella memoria di tutti gli appassionati.

Per prima cosa, direttore, quanto è ancora vivo il ricordo di Toivonen dopo così tanti anni?
“Gli appassionati di rally hanno anche una buona cultura del passato, quindi il ricordo di Toivonen è ancora fulgido perché è un pilota che in tutta Europa ha impressionato come nessun altro per la sua velocità. Non ho grande conoscenza dei piloti di oggi e quindi non riesco a fare confronti, anche perché non amo farli, ma diciamo che nell’età d’oro tra gli anni ’60 e i primi anni ’90 Henri è stato sicuramente il pilota più veloce tra quelli di alto livello. Aveva un rapporto davvero unico con la velocità e soprattutto è l’unico pilota che riusciva a superare la ‘paura’ di guidare la Delta S4, mentre altri grandi campioni erano terrorizzati all’idea di doverci salire. Lui riusciva a stupire tutti alla guida, quella macchina era difficilissima da gestire, non c’era elettronica…”.

Sembra che Henri, proprio in quel tragico rally, avesse chiesto alla Lancia di non farlo più correre in Corsica dal 1987, è vero?
“Ho letto anche io certe cose ma onestamente non so la verità. Lui in Corsica guidava in maniera davvero spavalda, stava stradominando quel rally, sembrava che tutto fosse facile. Poi se ne sono dette di tutti i colori, come il fatto che si fosse fatto mettere il liquido estinguente a bordo per ‘guadagnare’ una trentina di chili e poter andare ancora più forte, ma sono cose che si raccontano sempre dopo. Non c’è una prova per quello che si dice. Per come l’ho conosciuto io, però, mi sembra difficile che lui potesse avere paura di correre una certa gara”.

A tal proposito, che tipo di persona era Toivonen?
“Una persona deliziosa. Come tutti i finlandesi era anche molto aperto, molto gradevole. Ricordo che una volta andammo a provare una Talbot Lotus in una foresta inglese e c’era tutta la stampa al seguito, io gli dissi che avevo una paura da matti. Rispose che mi capiva benissimo e che non dovevo preoccuparmi, perché avremmo percorso forte solo la prima e l’ultima curva, dove c’era gente. Nel tratto centrale di bosco, dove non c’era nessuno, chiacchierammo per tutto il tempo, all’ultima curva uscì di traverso per far vedere che era andato forte. Era un ragazzo davvero educato, gentile e disponibile, poi era straordinariamente veloce. Quando corse in Portogallo con la 037 (1984, primo rally mondiale di Toivonen sulla Lancia, ndr) la tirò nel muro ma Cesare Fiorio si innamorò di lui perché prima fece cinque prove speciali una più veloce dell’altra. Incredibile”.

Cosa ricorda di quel 2 maggio 1986?
“Onestamente ricordo di più la morte di Bettega. Da poco ero diventato direttore di Autosprint e non andavo più a vedere i rally mondiali, quando Franco Liistro mi telefonò per dirmi di Attilio fu veramente una botta pesante. Con Toivonen ero quasi più ‘preparato’ perché con Attilio, con cui pure avevo un rapporto molto bello, avevo già ricevuto una grossa botta. A Henri lego anche Sergio, ovviamente, che l’anno prima era stato premiato come miglior navigatore al mondo e aveva ricevuto il trofeo con grande commozione. Non pensava che un italiano avrebbe potuto raggiungere un tale livello”.

Secondo lei dove sarebbe potuto arrivare Bettega?
“Attilio andava fortissimo ma ha sempre corso in squadra con piloti straordinari. E soprattutto era una persona estremamente onesta, dal punto di vista intellettuale: ricordo che al termine di una prova speciale lunghissima, in Grecia, Markku Alén e Walter Röhrl fecero un tempo simile mentre Attilio si prese circa 10 secondi, su mezzora di tempo; Fiorio gli chiese cos’era successo e Bettega rispose che era andato semplicemente più piano. Fiorio, da lui, si aspettava le prestazioni di Röhrl e Alén. Generalmente sarebbe stata un’ottima prova, ma quelle parole erano indice sia della stima che Fiorio aveva per Bettega, sia dell’onestà di Attilio. Avrebbe potuto inventarsi qualsiasi scusa, ma era troppo onesto. Anche in quel Rally di Corsica che se lo portò via stava andando forte. Un grande dispiacere di Attilio, e ne parlammo all’inizio di quel 1985, era quello di non avere vinto nulla: è stato messo subito nella squadra ufficiale del mondiale, contro i numeri uno, dove vincere era molto faticoso, ma ad esempio non lo hanno mai fatto correre nel campionato italiano o nell’europeo, dove invece avrebbe stravinto come i vari Tabaton, Cerrato e Biasion. Proprio nel 1985 aveva iniziato anche l’europeo con il team Tre Gazzelle (ritirato per incidente nel Costa Brava e secondo nel Costa Smeralda, ndr), con l’obiettivo di vincerlo. Lui era bravo, aveva fatto dei podi, lottava con i migliori del mondo, ma alla fine aveva vinto solo il Trofeo 112 Abarth nel 1977″.

Peraltro mi pare che il Corsica fosse anche il suo rally preferito…
“Sì. Peraltro era già stato piuttosto sfortunato nel 1982, quando si infortunò e rimase fuori per più di un anno, ma su quelle strade andava forte e devo dire che pure Attilio interpretava la 037 divinamente, perché riusciva ad adattarsi alla guida un po’ strana che richiedeva quella macchina: bisognava entrare piano in curva, ‘di muso’, e poi accelerare… era una vettura problematica e richiedeva una guida molto particolare, che lui aveva appreso al meglio. Poi aveva tanta sfortuna e si arrabbiava, in Corsica avrebbe potuto vincere tranquillamente già nel 1984, poi perse 20 minuti in un trasferimento… Il suo copilota Maurizio Perissinot, uno dei miei più grandi amici, mi disse di avere sentito da Attilio un’esclamazione all’interfono subito prima dell’incidente. Secondo lui ebbe un malore, in una curva dove era impossibile uscire per uno come Bettega, poi colpirono un alberello in realtà piuttosto innocuo…”.

Anche sull’uscita di strada di Henri ci sono tante ipotesi, come quella legata all’influenza. Pure quell’incidente fu piuttosto inusuale per uno come lui…
“Però sai… quando vai così forte su strade come quelle, con un fondo pessimo, puoi anche avere un momento di ‘ritardo’. La S4 poi era davvero una macchina difficile, nervosa, scorbutica. Se non altro nel caso di Bettega c’era Perissinot a raccontare, ma con Henri e Sergio si è vista solo la macchina che bruciava, quindi ci sono tante speculazioni. Nelle corse l’errore è dietro l’angolo, tante volte nei rally si sono visti incidenti pazzeschi e senza conseguenze, altre volte è andata diversamente. Quella fu una coincidenza davvero disgraziata, perché ricordo pochi casi in cui siano morti sia pilota che copilota”.

Per una persona che fa il suo mestiere e ha vissuto amicizie con i personaggi coinvolti, come si riesce a non perdere lucidità di fronte a coincidenze del genere? Ad un anno esatto di distanza, nello stesso rally…
“Fortunatamente all’epoca ero direttore e non dovevo scrivere, ma fu durissima. Non sono mai più andato in Corsica in vita mia. Era una gara bella da seguire, anche complicata, ma quello fu un colpo duro per tutto il mondo dei rally. Quell’anno chiuse la storia delle Gruppo B, anche perché gli episodi spiacevoli furono diversi e le vetture non erano nemmeno arrivate all’ultimo stadio dell’evoluzione. Per il 1987 era in programma qualcosa di ancora più grosso. Il problema era l’assenza dell’elettronica perché altrimenti le Gruppo B sarebbero andate più piano delle macchine di oggi, che invece possono essere sfruttate al mille per mille senza che ti ‘tradiscano'”.

Tornando al discorso del titoli vinti, anche Toivonen aveva lo stesso “cruccio” di Bettega?
“Henri abbandonò un europeo che stava vincendo (1984, ndr), perché avendo firmato con Lancia dovette lasciar perdere il campionato che stava dominando con Porsche. E Carlo Capone, che quell’europeo lo vinse proprio con Lancia, soffrì tantissimo il fatto che preferirono prendere Toivonen, perché lui e Henri lottavano alla grande. Anche se secondo me la Porsche di Toivonen era meno efficace della Lancia di Capone, che pure era bravissimo. Arrivarono a Madeira, dove Toivonen vinse ancora, poi Fiorio decise che Toivonen doveva lasciare perdere la Porsche, anche perché così facendo Lancia avrebbe vinto quel titolo. Quindi Capone corse le ultime gare senza Toivonen e vinse un titolo comunque meritato, perché aveva lottato con Henri e se la sarebbe giocata ugualmente fino all’ultimo. Per il 1985 Toivonen sapeva che avrebbe dovuto iniziare il mondiale con la 037 ma poi sarebbe potuto salire sulla vettura da battere, la S4… il RAC di quell’anno e il Montecarlo 1986 furono pazzeschi”.

Difatti io ogni anno devo riguardarmi qualcosa del Montecarlo 1986, davvero incredibile…
“Ricordo che tra i ricognitori di quel rally per Lancia c’era anche Mauro Pregliasco (pilota ufficiale nell’europeo, ndr), un altro che andava molto forte: era stupefatto dalle note di Toivonen, così incredibilmente ‘veloci’ per la sua ottica, c’era sempre un valore più alto di quello che lui avrebbe dato alle curve. Questo dà l’idea di che pilota fosse Henri”.

Immagini: Facebook, Pinterest

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