Con Tony Brooks se ne va un decennio di memoria. Ora, a parlare, resta la storia

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Tempo di lettura: 2 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
6 Maggio 2022 - 16:25
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La scomparsa di Tony Brooks, il 3 maggio, all’età di 90 anni, chiude a doppia mandata il primo decennio della Formula 1. Era l’ultimo pilota sopravvissuto ad aver vinto un Gran Premio nella prima decade di storia del Circus.

Tra l’altro, con delle statistiche tutt’altro che scontate per un pilota che non ha mai vinto il titolo, giungendo una volta terzo dietro Mike Hawthorn nel 1958 ed una secondo, l’anno dopo, alle spalle di Jack Brabham. Il sito della Formula 1 ricorda le 6 vittorie su 38 partenze, ma sarebbe utile ricordare che queste sono giunte nelle sole 22 occasioni in cui è giunto al traguardo, per una percentuale del 27% di vittorie, quasi una su tre gare concluse, alle quali si aggiungono altri 4 podi.

Ma non è tanto questo il punto su cui volevo soffermarmi. In un weekend nel quale la F1 si appresta a vivere una gara in una nuova location immersa nei lusso e nei lustrini, al confine con il trash, quello che si percepisce è l’inesorabile passare del tempo che, con la scomparsa dei grandi protagonisti del passato, allontana sempre di più il presente dal passato allargando sempre più la forbice tra questi due mondi sotto qualsiasi aspetto.

Non abbiamo più in vita un pilota vincitore di un Gran Premio tra il 1950 ed il 1959. Nessuno di loro potrà più raccontare con la propria voce cosa significasse conquistare un vittoria a quel tempo, probabilmente il più difficile e pericoloso per chi saliva in macchina per sfidare se stesso, gli altri, il cronometro. Come sempre successo, d’altronde. Più si va indietro più il tutto era difficile, pericoloso, mortale.

Tutto è ora agli atti, alle interviste, ai racconti: fa parte definitivamente della storia. Dà da pensare. Al tempo che passa, ovviamente. Al fatto che, un passettino alla volta, ciò che prima poteva essere chiesto direttamente ora va ricercato in ciò che è stato scritto, detto, tramandato. Al fatto che raccontare con correttezza e coerenza è un dovere, più che un esercizio stilistico. Per far sì che chi arriverà dopo di noi abbia tutto ciò che gli consentirà di informarsi, valutare, farsi un’opinione. Basandosi, possibilmente, sul vero.

Immagine: Formula1.com

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