Ciao, Justin Wilson: quando il Motorsport ti mostra il suo lato peggiore

IndyCar
Tempo di lettura: 4 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
25 Agosto 2015 - 17:05
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Un casco reclinato e immobile è l’immagine che nessuno di noi vuole vedere durante una gara automobilistica. Il weekend appena trascorso è stato preoccupante, drammatico, infine tragico. Abbiamo iniziato con lo spavento di Rosberg a Spa, Venerdì. Sabato siamo rimasti minuti interminabili col fiato sospeso per Daniel De Jong in GP2, con quello spaventoso incidente e la sua monoposto infilata nelle gomme di protezione senza che si potesse sapere qualcosa di lui. Domenica pomeriggio è toccato a Sebastian Vettel, in maniera minore ma per assurdo maggiore dal punto di vista del risalto. Infine Domenica sera la tragedia di Justin Wilson.

Che ci fosse poco da fare, purtroppo, si era intuito praticamente subito. Il raffronto tra Karam stordito dopo il botto importante sul muretto e Wilson inerme all’interno della sua monoposto quasi intatta lasciava intendere che fosse successo qualcosa di anormale. In questo caso la Indycar non ha mancato di mostrare subito i replay dell’incidente: purtroppo, appurato che il casco del povero Justin aveva centrato in pieno il musetto ‘volante’ della vettura di Karam, è bastato poco per intuire la gravità dell’accaduto. Subito, anche in diretta, si è fatto il confronto con l’incidente di Felipe Massa a Budapest nel 2009, quando una molla da 800 grammi, persa dalla BrawnGp di Barrichello, è stata centrata a 260 all’ora dal brasiliano in pieno casco, all’altezza del bordo superiore della visiera. Sappiamo bene quanto ci è voluto per recuperare e quanto Felipe possa ritenersi fortunato.

Il musetto di una Indycar (e si parla solo del ‘cono’, senza ala), è stato stimato intorno ai 3 kg di peso. Ammesso che Wilson sia giunto comunque ad una velocità inferiore ai 200 km/h sul luogo dell’incidente (essendo in quel momento nelle ultime posizioni e avendo avuto tempo per rallentare), il peso del detrito ha assunto comunque un ruolo devastante nell’impatto. Già il primo comunicato che parlava di ferite importanti alla testa mi aveva rassegnato. Purtroppo il tutto è stato confermato con la notizia di questa notte, che ha annunciato la scomparsa dello sfortunato inglese.

Oltre a constatare quanto successo non c’è molto altro da dire, purtroppo. Non ci sono polemiche alle quali aggrapparsi, regolamenti insulsi sui quali scaricare la colpa di un episodio che sarebbe potuto capitare a chiunque. Quanti detriti vediamo volare in incidenti di questo tipo senza che accada nulla? Tantissimi. Possiamo chiamare in causa la sfortuna, il fatto che il motorsport è pericoloso, ma purtroppo non possiamo fare nulla. Rimane un enorme dispiacere per un ragazzo che lascia una moglie e due figlie per qualche decimo di secondo in più o in meno che gli avrebbe salvato la vita.

La testa, purtroppo, è rimasta l’unica parte dei piloti esposta a rischi di questo tipo. Si è fatto tanto con i caschi, con i collari Hans, con le protezioni ai lati dell’abitacolo, ma di fatto il pericolo c’è ancora, come c’è sempre stato, che un oggetto possa colpirti. E, se pensiamo agli episodi di questi ultimi anni, è stata proprio la testa la causa di alcune scomparse importanti. Henry Surtees a Brands Hatch, Dan Wheldon a Las Vegas, Jules Bianchi a Suzuka, Justin Wilson ora. Oltre al miracolato Felipe.

Proprio dopo l’incidente di Felipe la Fia si era mossa con degli studi per l’implementazione di un cupolino di derivazione aeronautica, per ‘chiudere’ l’abitacolo e renderlo protetto anche da un gruppo cerchio/ruota lanciato a 225 km/h.

Non so se sarebbe giusto o meno tornare a pensare ad un’ipotesi simile, che richiederebbe studi approfonditi sulla sua fattibilità e applicazione. Il motorsport ha costruito la sua fama anche sulla sua pericolosità e sul rischio che ha sempre contraddistinto le gesta dei piloti, soprattutto quelli del passato che rischiavano la vita ogni giorno. Ora, però, che delle soluzioni possono essere vagliate, bisogna decidere se è il momento o meno di cambiare filosofia e rendere il motorsport sicuro anche in quegli ambiti che ancora lasciano alto il rischio per i piloti.

Come al solito ci si pensa sempre troppo tardi ma questa volta, davvero, la sfortuna ci ha messo molto del suo. Così non è proprio giusto.

Ciao Justin…

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