Button dieci anni dopo. Ma Jenson non è solo 2009

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
18 Ottobre 2019 - 13:00
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L’immagine cristallizza il momento più intenso della carriera di Jenson Button. Con il quinto posto nel Gran Premio del Brasile ad Interlagos l’inglese taglia il traguardo e vince, esattamente dieci anni fa, il suo primo ed unico titolo mondiale di Formula 1.

Sono passati due lustri da quel giorno ed ancora oggi ci si imbatte in chi definisce Button un pilota sopravvalutato, giudizio forse figlio di quello storico “paracarro” che gli fu cucito addosso come un’etichetta difficile da strappare da Flavio Briatore ed anche di quel mondiale 2009, vinto su una BrawnGP che in quella stagione sollevò più di una polemica. La diatriba sul doppio diffusore che, all’inizio dell’anno, permise al team di Ross Brawn di monopolizzare i risultati, sembra quasi la giustificazione unica per spiegare il titolo di Jenson. 

Come se gli anni precedenti e quelli successivi non esistessero. Il che denota anche un po’ di cattiveria gratuita. L’esordio in Williams spesso a punti, passando per la Benetton/Renault e soprattutto gli anni in Honda, esclusi gli ultimi catastrofici due prima dell’arrivo di Brawn, avevano infatti già messo in mostra le potenzialità di Jenson che, ovviamente, nulla poteva contro Ferrari, Renault (quella di Alonso) e McLaren, coloro che in quegli anni si spartivano le vittorie nel Circus. E, paradossalmente, la legittimazione del titolo 2009 arrivò nei tre campionati successivi, quelli trascorsi a Woking al fianco di Lewis Hamilton.

Fu proprio in quelle stagioni che Jenson mostrò che quell’offensiva nomea che si portava sulle spalle era tutto tranne che meritata. Nell’arco delle tre stagioni trascorse a fianco dell’attuale cinque volte campione del mondo, anzi, Button collezionò in totale più punti (nel 2011, addirittura, finì 270 a 227), perdendo il confronto in vittorie con il compagno per 10 a 8. Chi prevedeva che il campione del mondo 2009 sarebbe stato schiacciato dall’asso connazionale, dovette ricredersi. Così come Alonso non credo meritasse di trascorrere gli ultimi anni a fondo griglia nel disastro del rinnovato binomio McLaren-Honda. Avrei visto bene entrambi là davanti a giocarsela.

Un pilota dalla visione di gara assoluta, che emergeva in quelle situazioni di misto asciutto/bagnato sapendo leggere gli eventi e decidere meglio di chiunque altro. Non a caso la sua prima vittoria, quella del Gran Premio d’Ungheria 2006, arrivò in queste condizioni, così come l’ultima (sempre in Brasile, nel 2012), senza dimenticare quella considerata la più bella della sua carriera. L’interminabile GP del Canada 2011 resterà negli annali, oltre che per la sua lunghezza, per la prestazione di Jenson ed il suo recupero nel finale.

Un gentiluomo come pochi in un mondo di squali, un ragazzo che con i risultati e senza mai alzare la voce ha man mano zittito le critiche nei suoi confronti. Sono passati dieci anni da quel giorno e tengo a ricordarlo perché è giusto dare a Button quello che è di Button. Una carriera lunga più di 300 Gran Premi non può essere riassunta in una sola stagione, soprattutto se l’obiettivo è quello di screditarla. 

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