Pronti, partenza e via… e bandiera a scacchi. Sono passati soltanto sette minuti e due secondi fra questi due eventi avvenuti esattamente 25 anni fa, il 30 luglio 1994. Siamo al Mesa Marin Raceway di Bakersfield, California. Una città nota nel mondo delle corse proprio per questo short track da mezzo miglio e anche per i piloti che vi sono cresciuti. Qui si è appena svolta la prima gara, a metà strada tra un’esibizione ed una prova generale, di quella che diventerà la Truck Series, la terza categoria ufficiale della Nascar, la più emozionante, la più spettacolare, punto di passaggio e maturazione di giovani talenti, ma non solo.
Quei 422 secondi di gara sono però il frutto di un percorso lungo più di 10 anni e la conseguenza di una di quelle domande che – a posteriori – sono ovvie e che fanno dire “Ma come mai nessuno ci aveva pensato prima?”. Già perché i pick-up sono da decenni i veicoli più venduti negli USA. La serie F della Ford dal 1948 ad oggi ha venduto oltre 34 milioni di vetture (e parliamo di dati del 2010, quindi il valore attuale è decisamente superiore e attorno ai 40 milioni) e l’ F-150 è il modello più venduto in assoluto ogni anno dal 1977, solo nel 2018 ne sono stati piazzati oltre 900’000. Bene, in tutto questo nessuno ha mai pensato di realizzarne un modello da corsa?
Ebbene sì. L’idea venne nel 1983 a Buck Baker, già campione della Cup Series nel 1956-57 e nella Hall of Fame dal 2013, con una idea quasi da start-up. La categoria, con i Truck costruiti sui nuovi pianali della Cup Series introdotti nel 1981 e di lunghezza ridotta rispetto ai transatlantici degli anni ’70, non aveva una vera e propria classifica finale al termine delle 10 gare in programma, ma serviva soltanto come “esame finale” della scuola di guida sportiva di Baker. Ma il secondo fine di Buck era quello di attrarre la Nascar a comprare la categoria in modo da farne un campionato ufficiale. Tuttavia questo non avvenne e così tutto nacque e morì nel giro di due anni. Per la cronaca, la prima gara in assoluto la vinse Bobby Fleming il 5 giugno 1983 sullo storico circuito di Rockingham.
La categoria, dopo il passaggio di proprietà da Baker a Dick Moroso – papà di Rob, talento mancato troppo presto – come detto scomparve al termine del 1984, ma le braci rimasero accese, bastava solo che qualcuno riattizzasse il fuoco. Nel 1991 quattro piloti della SCORE, la categoria che organizza tuttora le gare nel deserto al confine tra USA e Messico di cui la più famosa è la “Baja 1000”, avevano paura per il futuro delle gare off-road e decisero dunque di tentare di trasferire la classe dei pick-up, una delle tante presenti, dalla sabbia all’asfalto.
Fu così che Dick Landfield, Jimmy Smith, Jim Venable e Frank “Scoop” Vessels andarono da Ken Clapp, vicepresidente delle “Western Operations” della Nascar, allora addetto in pratica solo ad organizzare il Southwest Tour e poco altro, dato che la corsa all’Ovest della Nascar stava solo per iniziare, per proporgli questa idea e ricevere un aiuto nel promuoverla. Clapp parlò con Bill France Jr., ma il grande capo – così come otto anni prima con Baker – storse il naso e non approvò il progetto. Se Clapp avesse chinato il capo e accettato quel no voi ora ovviamente non stareste leggendo questo articolo, ma Ken disse lo stesso ai quattro di costruire un prototipo e il gruppo andò a Bakersfield da Gary Collins, costruttore di vetture e figlio del proprietario del Mesa Marin Raceway. Dopo un inizio traumatico, a riallacciare i rapporti tra la Nascar e i quattro ci pensò Michael Gaughan, il papà del pilota Brendan, e così nacque una road map per un secondo tentativo di creare una Truck Series.
I lavori andarono avanti a lungo nella cittadina californiana con l’aiuto di molte figure: la Nascar, la famiglia France, i quattro della SCORE, ora più interessati come futuri team owner, la Ford che fornì praticamente un F-150 come modello da cui partire, e il già citato Gary Collins. Per completare l’opera furono necessari due anni, ma alla fine la vettura fu presentata durante le Speedweeks del febbraio 1994 e Jimmy Smith fece pure un giro dimostrativo prima della Daytona500. Bastò solo questo prototipo ad attrarre l’interesse di moltissimi addetti ai lavori, al punto che i vertici della Nascar si arresero e in meno di due mesi, l’11 aprile 1994, in un hotel di Burbank, California (in analogia con lo Streamline Hotel di Daytona Beach in cui nacque a cavallo del Capodanno del 1948 la Nascar) fu ufficializzata la creazione per il 1995 della “Nascar SuperTruck Series”. A maggio a Sonoma, sempre in California, la presentazione ufficiale in occasione della gara della Cup Series. A fare da cerimoniere lo stesso Bill France Jr. a significare l’importanza dell’annuncio. La maggioranza dei giornalisti presenti rimase senza parole, ma non nel senso buono. Credevano che quella di un paio di mesi prima fosse solo una mossa scenografica ed ora invece la ritengono un’idea bizzarra, ma la Nascar faceva sul serio. I piloti invece sono divisi, qualcuno apprezza la novità mentre altri hanno dei dubbi sulla bontà dei Truck e sulla loro capacità di guidabilità e competitività. Ma Bill rassicura tutti, ha dalla sua i dati macroeconomici, il supporto delle case automobilistiche e una road map ben organizzata che prevedeva delle corse di prova divise fra l’estate e l’inverno.
E arrivò finalmente il già citato 30 luglio. La gara di esibizione è di supporto al Southwest Tour, una delle serie regionali della Nascar, ed ha il format tipico delle gare su short track, lunghezza ridotta (appena 20 giri per 10 miglia) e tempi brevi, quasi da batteria di qualificazione. Ma per il debutto basta e avanza. Al via ci sono soli 5 Truck e quasi tutti i nomi non sono noti, provengono infatti dall’off-road o appunto dalle serie locali, ma per rendere loro onore è bene citarli: sono Dave Ashley, il già nominato Gary Collins, Rob MacCachren e Craig Huartson. Il quinto pilota è invece ben più noto anche a noi: è PJ Jones. Sì, quel PJ Jones che fece tanto arrabbiare Alex Zanardi negli anni della CART per la sua guida lenta e pericolosa. Sono solo venti giri, ma succede molto: Huartson parte dalla pole e guida il primo giro, poi Ashley lo passa e mantiene il comando per sette tornate, dunque è il turno di MacCachren per altri sei e infine Jones prende la testa al giro 14 e non la lascerà più fino alla bandiera a scacchi. Tutto in appena 422 secondi.
La stagione di prova prevede altre tre gare, sempre sulla costa Ovest, dunque siamo ben lontani dal Sud-Est dove nacque la Nascar. Il 19 agosto si va a Portland e qui c’è il tutto esaurito, si parla di 10000 spettatori. Il format è identico a quello di Mesa Marin (lunghezza della gara e serie principale di cui è supporto) e si aggiunge un sesto Truck con alla guida Mike Hurlbert; la vittoria qui va a MacCachren. Il 10 settembre si fa tappa a Saugus, California. E’ la tappa dei record minimi (20 giri su un ovale da 0.333 miglia per un totale di 6.7 miglia e ci sono soli 4 Truck al via), ma il sold out da 6308 – secondo altre fonti 8000 – spettatori c’è pure qui. A rovinare ulteriormente la prova ci pensa la pioggia e la corsa viene chiusa con cinque giri d’anticipo ed è lunga alla fine soltanto 5 miglia – poco più di 8 km – con una durata di 5’58”. Nonostante questo lo spettacolo non manca e alla terza gara c’è il terzo vincitore diverso, stavolta è il turno di Gary Collins.
Il 24 settembre 1994 è la fine della fase embrionale. Il programma di Tucson, Arizona prevede la quarta e ultima gara sprint. I Truck al via sono sette: rispetto a Portland non c’è Ashley ma sono presenti Rick Carelli, l’attuale spotter di Erik Jones, e soprattutto un 36enne di Palmdale, California, campione della Southwest Series nel 1992 e 1993 di nome Ron Hornaday Jr. Ne sentiremo parlare ancora in futuro. Futuro anche non troppo lontano dato che pochi minuti più tardi è già in victory lane dopo aver conquistato pure la pole.
Poco meno di due mesi più tardi, il 20 novembre, sulla stessa pista si tiene la prima “vera” gara della Truck Series per la cosiddetta “Winter Heat Series”: 200 giri in programma per 75 miglia. E il gruppo è ben più folto dato che al via non ci sono più 7 vetture ma ben 16 e i nomi di peso sono presenti. C’è Johnny Benson Jr., campione l’anno successivo della Busch – ora Xfinity – Series, c’è Robby Gordon, c’è Sammy Swindell (cinque volte vincitore del Chili Bowl), ci sono i già citati Hornaday, PJ Jones e Carelli, ma soprattutto alla guida di uno Chevy nero col #3 – sì, esattamente come la livrea iconica di Dale Earnhardt – schierato dal Richard Childress Racing c’è Mike Skinner. A vincere è Carelli davanti a Jones e Hornaday.
Già, anche i team owner della Cup Series sono interessati alla novità e partecipano fin dall’inizio in prima persona. L’11 dicembre, sempre a Tucson, si replica e al via ci sono anche Ken Schrader col Truck #24 del team Hendrick e Mike Bliss, pilota di spicco che tornerà più avanti, tuttavia i protagonisti sono quelli già citati in precedenza e a finire in victory lane è PJ Jones. Si chiude così un 1994 intenso, ma c’è l’appendice finale dell’8 gennaio 1995, terza tappa a Tucson per chiudere la miniserie invernale. 18 i Truck al via (c’è anche Butch Gilliland, padre di David e nonno di Todd che partecipano al campionato di quest’anno) e il successo va a Mike Skinner.
Cala così il sipario su un rodaggio che ha attratto molti addetti ai lavori e appassionati, forse anche più del previsto, tant’è che nel 1996 grazie allo sponsor Craftsman la categoria diventerà addirittura la seconda per montepremi dopo la Cup Series. Ma non c’è tempo per fermarsi, infatti meno di un mese più tardi – il 5 febbraio 1995 – a Phoenix debutta ufficialmente come campionato sanzionato la “Nascar SuperTruck Series”. E i dubbi dell’anno precedente ritornano. Phoenix – anche se per noi europei lo è – non è classificato come short track. E’ lungo un miglio, ha degli allunghi notevoli e curve ampie. E’ la prima volta che i neonati Truck corrono su uno speedway e dunque c’è il dubbio se lo spettacolo sarà ancora presente. Ma le nubi lasciano in fretta l’Arizona e l’intera categoria, dato che basta una sola gara per rimanere soddisfatti.
La prima stagione vive del duello fra i già citati Mike Skinner sul Truck #3 del RCR e Ron Hornaday Jr. sul #16 sponsorizzato Papa John’s del Dale Earnhardt Inc. In sintesi, comunque vada, vince sempre “The Intimidator”. Il primo vincitore ufficiale della storia è Skinner seguito da Terry Labonte e Schrader, Hornaday lo imita alla seconda gara a Tucson e poi si prosegue così per tutto l’anno o quasi; Ron nel finale di stagione va in calando – tant’è che viene sorpassato in classifica da Joe Ruttman (fratello di Troy, vincitore della Indy500 nel 1952) – e il primo campione della storia è Mike Skinner. La prima gara di Phoenix è anche significativa per un altro fattore: seppur in condizioni strategiche differenti, un campione affermato della Cup Series (allora solo una volta, ma alla fine della carriera saranno due) come Labonte è stato battuto da Skinner, un relativamente giovane talento che si stava affacciando per la prima volta con continuità al palcoscenico della Nascar. Basta la prima gara per descrivere il leitmotiv di questi 25 anni.
A fare impressione sono anche il calendario e i partecipanti. La serie è legata fortemente agli short track e non è ancora vincolata come ora alle serie maggiori. Si fa tappa dunque in posti a noi sconosciuti ma famosissimi negli States come Saugus, Monroe, Odessa, Topeka e Flemington, ma non mancano i palcoscenici importanti come Bristol, Milwaukee, Martinsville, North Wilkesboro e Sonoma. Parlando di piloti, tutti vogliono provare la novità: a fine anno saranno ben 103 quelli che in 20 gare tenteranno almeno una volta la qualificazione e fra di essi ci sono veterani di svariate categorie e giovani interessanti come AJ Foyt (18° all’ultima gara di Phoenix), Derrike Cope, Darrell Waltrip (sesto a Topeka), le famiglie Wallace, Labonte e Bodine al completo, Roger Mears (fratello di Rick e padre di Casey, anche loro di Bakersfield), lo stesso Rick Hendrick, Boris Said, Bob Keselowski (il papà di Brad) e molti altri. Ken Schrader scrive subito la storia alla terza gara a Saugus il 15 aprile: con la vittoria diventa il primo pilota ad avere vinto almeno una gara in Cup, Xfinity e Truck Series. Da allora il club del “Triple Threat” è diventato molto esclusivo e soltanto 31 piloti ne fanno parte.
Tra tutti questi piloti bisogna però citare un nemmeno 20enne proprio di Bakersfield, California. Quel 30 luglio 1994 c’era fra gli spettatori della gara del debutto in compagnia di suo papà Mike e i due avevano assistito per tutto l’anno alla costruzione dei primi Truck da competizione. Il 15 ottobre 1995, penultima gara stagionale, quel ragazzo è in gara al “suo” Mesa Marin Raceway sul Truck #72, vettura iscritta sempre dal padre, già attivo nella scena locale. Negli annali c’è un 27° posto in qualifica (su 36) e lo stesso risultato in gara a 24 giri dal vincitore Mike Skinner. Ma il ragazzo si farà col tempo, quella in fondo è solo la sua prima gara (su 1136, quarto di tutti i tempi) in Nascar. Il suo nome è Kevin Harvick.
Come ciliegina sulla torta del primo anno, la categoria fu prescelta per inaugurare l’ovale di Homestead, allora nella configurazione di mini-Indianapolis. Il 4 novembre si tenne dunque l’ultima gara di esibizione nella storia della Truck Series e fu un’altra gara sprint (25 giri per 60 km); a vincere fu Geoff Bodine davanti a Mike Skinner ed Ernie Irvan.
I primi anni furono una sfida tra gli ultra 30enni Ron Hornaday Jr. e Jack Sprague, con il primo – rappresentante del Dale Earnhardt Inc. – a prevalere negli anni pari e il secondo – pilota del team Hendrick – in quelli dispari. Con Hornaday passato alla categoria superiore, a vincere l’edizione del 2000 fu il primo “giovane” (30 anni) pilota emergente, Greg Biffle, rappresentante del Roush Racing, anch’esso impegnato in questa serie. Fu il primo a garantirsi così un futuro nelle serie superiori, diventando campione della Busch Series nel 2002 e vicecampione della Cup Series nel 2005; escluso Kyle Busch – un caso a parte – Biffle è l’unico nella storia della Nascar ad aver vinto almeno 15 gare in tutte e tre le categorie (19+20+17).
Dopo il terzo e ultimo titolo di Sprague nel 2001 si entrò in una fase di calo, con dei rookie interessanti (fra questi Brendan Gaughan e Carl Edwards) ma anche campioni sotto la media, soprattutto perché i vincitori degli anni precedenti tentarono la fortuna – spesso invano – in Xfinity e/o Cup Series. Divennero così re dei Truck Mike Bliss, Travis Kvapil e Ted Musgrave, quest’ultimo con un Truck dell’Ultra Motorsports, il team del “fondatore” Jimmy Smith. Merita un caso a parte invece Bobby Hamilton il quale, dopo una carriera nelle serie maggiori (fu il primo nel 1996 a riportare la storica #43 in victory lane dopo Richard Petty alla vittoria n°200 a Daytona nel 1984), vinse pure con i pick-up. Bobby ci ha lasciato nel 2007, nemmeno tre anni dopo quel titolo conquistato, a causa di un tumore al cervello. Annunciò di essere malato a Daytona l’anno prima, poche ore prima di iniziare la stagione di cui – purtroppo – riuscì a disputare soltanto tre gare.
Dopo aver tentato la fortuna, i vecchi padroni della categoria si arresero e come il figliol prodigo tornarono a casa. Nella seconda metà degli anni 2000 ci furono così le battaglie fra Todd Bodine (campione nel 2006 e 2010), Ron Hornaday Jr. (vincitore nel 2007 e 2009, in questa occasione a 13 anni dal primo titolo) e Johnny Benson (2008). Siamo ormai nel decennio attuale e la Truck Series ha perso l’identità iniziale: addio short track e benvenuto matrimonio con la Cup Series, e così si passò da Saugus a Pocono, da Mesa Marin a Chicago, da South Boston al Michigan, da Tucson al Texas, da Topeka al Kansas e così via. Lo spettacolo è rimasto, le battaglie pure, ma il passato legato alle radici è ricordato con tanto affetto.
E infatti la categoria, anche come effetto della crisi economica post-2009, è entrata in affanno: costi aumentati, montepremi ridotti, sponsor latenti e distanze sempre maggiori hanno determinato l’addio dei team che hanno rubato la scena negli anni ’90. Dunque niente più Richard Childress, niente più Rick Hendrick, neanche Jack Roush (Roger Penske ci provò solo per qualche gara nel 1996) e le redini passarono ai mecenati chiamati Kevin Harvick, Brad Keselowski e Kyle Busch. Tutti e tre hanno vinto gare (Harvick e Busch pure dei titoli), poi anche i primi due si sono arresi difronte alle spese crescenti e alla sempre minore voglia di tirare fuori soldi di tasca propria.
Nonostante tutto, malgrado i ranghi ridotti da 36 a 32 – alle volte anche meno – vetture, la serie è andata avanti, sempre con le sfide fra giovani talenti appena maggiorenni (ad esempio Austin Dillon e James Buescher – cugino di Chris – campioni nel 2011-12) e veterani della categoria come Matt Crafton vincitore nel 2013-14 e pilota con più presenze nella Truck Series, ben 444 partenze su 591 gare disputate nella storia, oltre il 75%.
Gli ultimi anni sono quelli degli interventi radicali per far ritornare la categoria ai fasti di un tempo e dunque via alla riduzione dei costi e al motore standardizzato della Ilmor; il primo anno (il 2018) ha regalato un po’ di polemiche sul balance ma alla fine i primi piccoli effetti si stanno vedendo. Le ultime stagioni sono segnate anche dallo sbarco dei Truck a Eldora, il primo ovale sterrato in Nascar in più di 40 anni, un fatto che ha risvegliato l’interesse per i dirt track, regalando anche a questa categoria il suo evento principe che catalizza l’interesse degli addetti ai lavori ma non solo. E così dal 2013 in una notte di mezza estate tutti gli occhi sono di nuovo soltanto sui Truck, un po’ come fu in quel 1994. L’altro piacevole ingresso in calendario è stato quello di Mosport, l’unico circuito stradale nella categoria e l’unica trasferta fuori dagli USA per tutta la Nascar. Sul tracciato canadese la gara si è risolta in ognuna delle sei edizioni con un duello all’ultima curva, con contatti più o meno duri fin sulla linea del traguardo e anche oltre, come hanno insegnato Cole Custer e John Hunter Nemechek.
Le ultime stagioni hanno vissuto ancora sull’equilibrio fra le componenti già citate: negli anni dispari hanno prevalso i giovani (Erik Jones e Christopher Bell, entrambi piloti del team di Kyle Busch), nei pari i veterani Johnny Sauter e Brett Moffitt, ma in tutto questo percorso il protagonista del terzo millennio è stato – appunto – Rowdy.
Il pilota di Las Vegas, dopo la gavetta con le Legends e le Late Models, fu scelto da Jack Roush – per cui correva anche il fratello Kurt in Cup Series – nel 2001, appena compiuti i 16 anni, per sostituire il facilmente dimenticato Nathan Haseleu. Debuttò il 3 agosto all’Indianapolis Raceway Park con un nono posto. Dopo i classici alti e bassi della stagione da rookie, si arrivò al gran finale a Fontana. Dopo essere stato il più veloce nelle libere, fu obbligato a non correre perché l’evento si teneva insieme alla Marlboro500 della CART e, secondo un’interpretazione della legge federale, un minorenne non poteva partecipare ad un evento sponsorizzato da una marca di sigarette. E fu per questo che la rapida ascesa di Kyle subì uno stop fino al 2003, anche perché la Cup Series era sponsorizzata dalla Winston. Dopo una gara one-off nel 2004, Kyle tornò nei Truck nel 2005 con il team di Billy Ballew e alla prima occasione a Charlotte ci fu la prima vittoria. La prima di una lunghissima serie, culminata ad Atlanta nello scorso febbraio con la 52esima bandierina, una in più di quante ne ottenne il quattro volte campione e Hall of Famer dal 2018 Ron Hornaday Jr. Le vittorie ad oggi sono 56, 16 di queste le ha ottenute con il team di Billy Ballew, le altre 40 con il suo team – il KBM – fondato nel 2009 acquistando in parte quello che fu il Roush Racing. Oggi Kyle rimane l’unico mecenate ancora attivo e da lui sono passati talenti come Bubba Wallace, Erik Jones, Daniel Suarez, William Byron, Christopher Bell, gli attuali Harrison Burton e Todd Gilliland e molti altri. Nonostante tutto questo Kyle non ha mai vinto un campionato nella Truck Series in quanto è sempre stato impegnato di più nelle categorie superiori (il massimo raggiunto sono le 18 gare su 25 nel 2008 con un 14° posto in classifica generale) e il regolamento attuale gli impedisce di correre troppo – cinque gare al massimo – né di prendere punti.
Ma non c’è dubbio che prima o poi a fine carriera Kyle si impegnerà in questo obiettivo e ce la farà sicuramente. Quasi certamente diventerà il primo pilota a diventare campione in tutte e tre le categorie (gli altri che hanno fatto due su tre o si sono già ritirati o non hanno l’obiettivo di completare il Grande Slam), affiancando così i titoli conquistati in Cup (2015) e Xfinity Series (2009). Ne riparleremo eventualmente in occasione del 30° anniversario della Truck Series. Fino ad allora ci continueremo a gustare gare esaltanti, battaglie avvincenti, nuovi giovani talenti e piloti d’esperienza che si sfidano fianco a fianco. Ed è bello pensare che la prima gara dopo il 25° anniversario dei Truck sia proprio ad Eldora dopodomani, là dove si incrociano piloti provenienti dalle categorie più disparate d’America, così come agli inizi.
Ancora tanti auguri cara amata Truck Series!
Ringrazio anche in questa occasione @nascarman_rr per il materiale fornitomi durante questa ricerca storica
Immagini: GettyImages per beyondtheflag.com; pinterest.it; autoweek.com; nascar.com; espn.com; GettyImages per sbnation.com; GettyImages per zimbio.com; speedsport.com
Fonti: racing-reference.info; mrn.com; en.wikipedia.org; seattletimes.com; autoweek.com; motor1.com; businessinsider.com; carsalesbase.com
Leggi anche
Partecipa al sondaggio su P300.it
Tutte le ultime News di P300.it
È vietata la riproduzione, anche se parziale, dei contenuti pubblicati su P300.it senza autorizzazione scritta da richiedere a info@p300.it.