Intervista a Stephen Charsley, meccanico Brabham nell’anno della BT55, il tragico 1986
Si può entrare nella storia della F1 passando anche dalla porta dell’inferno. Questo è quello che ha fatto la Brabham BT55 del 1986, creatura uscita dalla matita magica di Gordon Murray per permettere al team gestito da Bernie Ecclestone di ritornare al top dopo anni complicati.
Tanto bella da fare paura, la BT55, con le sue forme rivoluzionarie che avevano fatto “scappare” Nelson Piquet in direzione Williams dopo aver visto i primi disegni. Gli stessi disegni che sulle riviste di settore, esattamente 35 anni fa, mostravano una macchina totalmente differente rispetto alle altre. Una macchina che, nel giorno della presentazione, aveva lasciato a bocca aperta tutti, ma proprio tutti.
Un progetto da 6.800.000 sterline (17 miliardi delle vecchie lire) che non ammetteva assolutamente delusioni. La Brabham BT55 era alta 82 centimetri, 23 in meno rispetto alla BT54, con forme pulite e affusolate, tanto ad essere chiamata “sogliola” da tutti gli addetti ai lavori.
Il lavoro sotto la scocca per permettere tutto questo concetto “minimal” fu clamoroso. Il 4 cilindri “monstre” BMW, capace di andare oltre i 1200 cavalli, venne inclinato di 72° verso sinistra e tutte le componenti meccaniche, compresa la posizione del pilota, completamente distesa, vennero riviste per dare vita ad una delle monoposto più belle e rivoluzionarie della storia. Una rivoluzione, però, mai avviata e finita in tragedia.
La BT55, oltre che bellissima, era tanto pericolosa quanto instabile. Elio De Angelis, durante i test privati del maggio 1986 al Paul Ricard, trovò la morte a causa di un incidente provocato dal cedimento dell’alettone posteriore della sua monoposto. Un vero e proprio shock per un team che aveva già capito che quella monoposto sarebbe stata un vero disastro.
Nel corso della stagione, con Riccardo Patrese e Derek Warwick arrivato a sostituire il compianto De Angelis, la BT55 ottenne solamente due punti frutto di un doppio 6° posto di Patrese a Imola e Detroit. Nel corso della gara di Brands Hatch venne fatta anche una prova comparativa tra la vecchia ma più competitiva BT54 e la disastrosa BT55. Per farci raccontare qualcosa di più di questa bellissima ma sfortunata monoposto P300.it ha contattato Stephen Charsley, meccanico Brabham di quel periodo.
Stephen, ricordi la prima volta che hai visto la Brabham BT55 e cosa hai pensato di quella monoposto?
“Avevo 21 anni e alla fine del 1985 lasciai la Arrows per unirmi alla Brabham. Quando arrivai, l’auto era in fase di montaggio completo. Avevo già lavorato con il motore BMW e quando lo vidi inclinato sul telaio ne rimasi sorpreso. Le forme di quella macchina erano proiettate al futuro”.
Di cosa ti occupavi sulla vettura?
“Lavoravo sulla monoposto per i test, come meccanico, e con i crash test del nuovo telaio. Era solo la mia seconda stagione in Formula 1, avendo lavorato principalmente con vetture sportive sia nel WEC che nell’IMSA. Lavorare con Charlie Whiting e Herbie Blash è stato un piacere, oltre che un grande ricordo”.
Ricordi il feedback dei piloti in quel periodo?
“I feedback furono davvero molto vari. Le sospensioni posteriori avevano bisogno di qualche lavoro, la macchina era piuttosto “morbida” sull’ala posteriore. La potenza non era eccezionale e il cambio Wiseman Transverse era buono per uno o tre giri, poi andava in crisi. Nei test di Rio ricordo che la macchina non riuscì nemmeno a partire”.
Che idea ti eri fatto lavorando sulla BT55?
“Io non sono un ingegnere, ma di sicuro il telaio era di costruzione quadrata e aveva angoli arrotondati. Erano tante le innovazioni, con il telaio tutto in carbonio. La BT55 aveva la scatola trasversale e il motore inclinato. Devo dire che è stato bellissimo lavorare su quella macchina”.
Com’è stato lavorare insieme a Gordon Murray?
“Ogni interazione con Gordon Murray era un grande privilegio per me. Abbiamo condiviso le scelte musicali e anche il “the del pomeriggio”. Mi ricordo una lunga notte a Rio, nel garage in cui suonavo i Sex Pistols, Gordon stava lavorando su alcuni seri problemi di geometria delle sospensioni in quel momento, poi si fermò e chiese se l’album era ‘Never Mind The Bollocks’. Unico ed incredibile”.
Ricordi la comparazione a Brands Hatch tra la BT54 e la BT55?
“No, avevo lasciato il team per seguire la BMW GTP, che debuttò nell’IMSA in quel periodo. Ho visto una BT54 a Imola all’inizio della stagione per vedere le caratteristiche del motore confrontate con quello della BT55. Praticamente in seguito le auto sono state portate fuori dal Museo di Donington per andare a Brands Hatch”.
Un tuo ricordo del grande Elio De Angelis?
“Elio era un vero gentiluomo, che si prendeva cura della sua squadra. A volte restava fino a tardi quando facevamo i test, modificando e lavorando con le sospensioni e dimostrando che gli importava di quello che stavamo facendo. Alcuni di noi sono andati sul suo motoscafo a Monaco dopo aver bevuto qualcosa sullo yacht di suo padre. Ci disse che avrebbe preso una barca simile a quella di Piquet in poche settimane, ma la sua era più lunga di due metri. Ricordo che aveva il posto vicino a Nelson a Monaco Harbor, non vedeva l’ora di prenderlo in giro. Purtroppo la settimana successiva è stata la sua ultima. Una storia davvero triste”.
Quasi 35 anni dopo, per te quella monoposto era troppo avveniristica?
“Era troppo avanti per quel periodo e per la tecnologia che avevamo a disposizione in quel tempo. Forse è arrivata troppo presto, per queste macchine ci vuole pazienza e tanto tempo per renderle veloci”.
Immagine: Reddit.com
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