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Blog | Visite e Followers per accrediti e possibilità. Perché i numeri da soli sono il male dell’informazione odierna

di Alessandro Secchi
alexsecchi83 alexsecchi83
Pubblicato il 27 Giugno 2024 - 22:35
Tempo di lettura: 6 minuti
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Accrediti, accessi e possibilità garantite sulla base dei followers e delle visite. Il metodo migliore per abbassare il livello

Sono tanti anni che si fa (o si tenta di fare) questo mestiere e si seguono le dinamiche che muovono l’informazione, non solo prettamente in ambito motoristico. Le regole su cui si basa questo mondo oggi, utilizzate da uffici stampa, televisioni, autodromi (nel caso del motorsport) ed enti vari sono ben note a chi lavora nell’ambiente ma un po’ meno a chi ne sta al di fuori.

“Followers” e “visite” sono le parole chiave che oggi muovono il sistema. Entrambi i meccanismi sono contraddittori e si basano essenzialmente su numeri. I Followers, oggi, rappresentano sostanzialmente l’unico indice di credibilità di un personaggio / influencer; una specie di soglia di sbarramento sotto la quale non si viene considerati tali o credibili per partecipare a concorsi vai o anche programmi televisivi. Dietro gli influencer, negli ultimi tempi, si muovono anche vere e proprie agenzie d’immagine.

Le visite – termine unico usato per sintetizzare, sotto il quale rientrano dettagli specifici quali “utenti mensili”, “utenti unici”, “pagine viste” – sono invece il grande metro di paragone del web, che ha cambiato letteralmente il modo di fare informazione. Il problema, manco a dirlo, risiede sempre nei numeri.

Per scremare in via preliminare chi può partecipare o meno a questo o quell’evento, autodromi, uffici stampa (indipendentemente in italia o all’estero), enti generici chiedono informazioni più o meno dettagliate sulle visite prodotte dai richiedenti accredito in un certo lasso di tempo. Non è raro che vengano chiesti i dati relativi agli ultimi anni, il che teoricamente esclude a prescindere realtà da poco costituite. In alcuni casi vengono espressamente richiesti i report di Google Analytics come prova dei numeri conquistati; come se un’ipotetica graduatoria basata sui numeri fosse automaticamente sinonimo di attendibilità, qualità e merito.

Oltre ai classici dati generici non esistono altri metri di valutazione al di là dei numeri. E questo, negli anni, ha cambiato completamente il modo di lavorare. Non si scrive più per informare il lettore ma per alzare il valore alla voce “pagine viste”. Non è un caso che spesso, su siti specifici, si trovino articoli che nulla hanno a che fare con l’idea iniziale di questo o quel sito web. Si va, cioè, fuori dal seminato per raccogliere altri utenti. Più visite significa, quindi, più possibilità di essere accreditati ed anche di introito pubblicitario; con le agenzie che pagano sulla base dei clic o “ogni 1000 pagine viste” e che, quindi, “spronano” a produrre di più per guadagnare.

Il risultato di questa politica è lo storpiamento totale del modo di fare informazione, non più votato appunto alla narrazione di eventi ma al proporre di tutto per incamerare visite. Non si dà più al lettore quello che è eticamente corretto o quello che una linea editoriale impostata dovrebbe proporre, ma quello che “serve” per ottenere gli obiettivi numerici. Gli argomenti da trattare non vengono più scelti sulla base di un ragionamento etico ma guardando i “trend” di Google. Se oggi il mondo cerca informazioni su come si cucina la carbonara, troverete su qualche sito che niente ha a che vedere con il cooking che il piatto preferito di questo o quel personaggio è proprio lei, la carbonara. Sono i trend a suggerire gli articoli e non la necessità di informare.

A tutto questo si aggiunge un po’ di gossip, che non fa mai male (i report di vendita del cartaceo premiano sempre e comunque le riviste scandalistiche) e del fantastico clickbait, piaga degli ultimi tempi. Ne abbiamo parlato ripetutamente nei mesi scorsi riguardo Schumacher e i vergognosi articoli che ne sfruttano il cognome nel titolo per ottenere visite e click. La nuova frontiera è, infatti, quella dei titoli acchiappaclick, che fanno credere l’esistanza di situazioni in realtà inesistenti unicamente per invogliare il lettore ad aprire e regalare un +1 nei report. Nel caso di Schumi, il richiamo alle condizioni di salute è da anni la leva su tifosi e appassionati colmi di speranza, per far credere che ci siano aggiornamenti o notizie fresche e ottenere visite e click di cui poi vantarsi, rilanciando classifiche di popolarità che niente hanno a che vedere con la qualità.

Manca un tassello a tutto questo articolato discorso per chi non è avvezzo a certe dinamiche. Followers e accessi possono essere acquistati o pompati per abbellirsi l’immagine. E qui si entra in un discorso di accessibilità e possibilità economiche per un qualsiasi personaggio che vuole sfondare a tutti i costi. Nel caso del tweet pubblicato sopra, a Jake Sanson basterebbe comprare 50.000 followers per essere accettato dall’agenzia di cui parla. Lo stesso vale per un cantante che magari vuole partecipare ad un talent, ha una bellissima voce ma pochi seguaci o ad un influencer che vuole diventare in poco tempo credibile e rispettabile.

Il sistema informazione, in poche parole, è danneggiato dalle fondamenta. L’obiettivo “numeri a tutti i costi” porta a creare pseudo redazioni sovraffollate, spesso da ragazzi giovanissimi buttati nella mischia col mito del tesserino da giornalista che poi non verrà quasi mai raggiunto. Ragazzi che vengono spinti a produrre il maggior numero possibile di articoli senza curarsi di un minimo di etica. L’imporante è pubblicare, inventare polemiche dove non esistono, scoop che non sono scoop e fare sensazionalismo con titoli poco credibili ma che, purtroppo, richiamano molta attenzione nell’utente medio. E sono situazioni molto note per chi è dell’ambiente.

Tutto per i numeri, sapendo che ad oggi un qualsiasi progetto viene valutato principalmente su questo aspetto. Questo perché non esistono controlli e non interessa, in termini di tempo e costi, verificare in modo più approfondito da parte di tutti gli attori in gioco.

Il problema è molto più grave di quanto si possa credere, perché puntare al numero porta ad arrivarci ad ogni costo senza riguardi per una qualità da anni in calo globale su tutte le piattaforme. Al punto tale che, se un tempo erano i social a fare da pappagallo ai media riportando le notizie pubblicate per commentarle, ora è l’esatto contrario. “Tizio ha scritto sui social”, “Il video virale” sono esempi di articoli che si vedono quotidianamente sui siti dei media. Tutto rigorosamente in ottica SEO, la serie di regole e tecniche a cui i media si devono piegare per poter essere più visibili sui motori di ricerca. “Il titolo deve essere lungo tot caratteri”, “la descrizione non deve essere più lunga di così”, “le parole chiave del titolo devono comparire nel testo” e tutta una serie di regolette che portano a standardizzare gli stili di scrittura per avere quattro visite in più.

Cosa si può fare per migliorare la situazione? Ad oggi poco: purtroppo sembra non vedersi la luce in fondo al tunnel di un sistema fatto di dinamiche ormai consolidate quanto errate. L’impoverimento qualitativo dell’informazione è oggettivo e potrà solo peggiorare da qui in avanti. Forse l’unica speranza è arrivare ad un punto di non ritorno tale da dover poi necessariamente risalire la china. Sperando che non ci voglia troppo tempo.

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