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Blog | Su trasparenza, professionalità ed altre ipocrite parole lanciate al vento

di Alessandro Secchi
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Pubblicato il 22 Giugno 2024 - 09:34
Tempo di lettura: 8 minuti
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Il rientro di Briatore a pieno titolo in un ruolo di spicco in un team di F1 apre la strada ad un discorso generale sull’ipocrisia del Circus

La nomina di Flavio Briatore ad “Executive Advisor” di Alpine che, di fatto, sancisce l’inizio della terza avventura del manager piemontese nella squadra già Benetton e poi Renault – con relativi successi targati Schumacher e Alonso – non manca di richiamare temi di cui la F1, soprattutto quella degli ultimi tempi, si è eretta a paladina della giustizia per poi sconfessarsi sistematicamente di fronte ai fatti compiuti.

Non è mia intenzione accusare nello specifico qualcuno con questo articolo ma, semplicemente, ricordare quali sono le intenzioni (ovvero le parole) e quali le verità (i fatti) che muovono e hanno mosso la Formula 1 negli ultimi tempi; le incoerenze di fronte agli ideali e gli interessi di fronte allo sport.

Il caso Red Bull: Brown e Wolff all’attacco, ma…

Negli ultimi mesi lo scandalo Red Bull / Horner ha catalizzato l’attenzione dei media e, in particolare, di quella parte di stampa che non vede l’ora che il team austriaco sparisca letteralmente dalla circolazione, dopo aver dominato gli ultimi campionati e contribuito a ridurre l’interesse del prodotto F1 dal punto di vista sportivo. Annate come il 2023 sono come il sole per Dracula per chi, come Liberty Media, ha investito milioni nel Circus per alzarne il valore in vista di una futura rivendita a lungo termine. Le dichiarazioni della serie “non è vero che il dominio della Red Bull fa calare l’interesse” sono necessarie e scontate per tenere le redini ma è indubbio, a tutti i livelli e in tutti gli sport, che i domini siano fonte di noia, nell’accezione che ognuno può conferire a questo termine.

Come detto, lo scandalo del team austriaco è stato il motivo trainante dell’interesse del Circus da febbraio in poi. Decine sono i muri di sconcerto che si sono alzati per le presunte malefatte di Christian Horner con la sua ormai ex assistente. Fiumi di morali e di notizie inventate sul fatto che il Team Principal dovesse mollare il timone della squadra da un momento all’altro, situazione che ad oggi (cinque mesi dopo) non si è ancora verificata. In tanti ci hanno sperato, in tanti hanno messo il carico da novanta. Tra questi il CEO della McLaren Zak Brown: il quale, grazie al contributo determinante di Andrea Stella, sta vedendo il team di Woking risalire straordinariamente la china in Formula 1 ma del quale non viene sottolineata la gestione scellerata dei piloti dall’altra parte dell’Atlantico, in IndyCar.

Ragazzi che vengono presi e mollati come se fossero inservienti settimanali: chiedere ad esempio a Theo Pourchaire, l’ultimo trombato di lusso. Il francese, messo sotto contratto per tutta la stagione 2024 dopo i guai di Malukas e una prima sostituzione effettuata con Callum Ilott, ha rinunciato alla stagione in Super Formula in Giappone per concentrarsi negli States. Non ha fatto in tempo a memorizzare i pulsanti sul volante che è stato appiedato per fare posto alla giovane promessa Nolan Siegel. Stagione azzoppata, Super Formula persa ed ora Pourchaire è alla disperata ricerca di un sedile per non restare a piedi per tutto l’anno. Quindi ecco, fare la morale ad Horner chiedendo trasparenza e lealtà per poi trattare i piloti come asciugamani non è il massimo della coerenza.

L’altro Team Principal che si è scagliato contro Horner non può che essere Toto Wolff, il quale ancora grida vendetta per Abu Dhabi 2021 e sarebbe sicuramente soddisfatto di vedere il rivale degli ultimi anni implodere sportivamente. È interessante, in questo caso, notare come la Formula 1 si sia comportata in modo diametralmente opposto nel caso Horner e in quello del dicembre scorso sul presunto conflitto di interessi di casa Wolff tra Toto e la moglie Susie, attuale manager della F1 Academy.

Ricorderete il comunicato congiunto dei team, una difesa a spada tratta della famiglia Wolff e dei valori di trasparenza, correttezza, etc etc con la FIA (non senza colpe nella gestione comunicativa della situazione) accusata della qualunque e anche denunciata penalmente. Un comportamento totalmente diverso rispetto a quanto riservato a Horner. Segno, evidentemente, che gli interessi vengono sempre davanti ai tanto sbandierati valori. Valori che, evidentemente, erano a pranzo altrove durante i famosi 1000 km di test di Barcellona del 2013.

Briatore e il Crashgate

Tornando a Flavio Briatore, fa sorridere come il sito della Formula 1 ricordi, nell’articolo in cui annuncia l’arrivo in Alpine, i mesi in cui il manager è stato di fatto bannato dalla FIA per il crashgate del 2008 a Singapore omettendo la sanzione ricevuta dall’allora Team Principal Renault: “[…] prima di lasciare la sua posizione (in Renault) nel 2009 e prendersi del tempo fuori dal mondo della F1”. Piuttosto grave, per chi ha memoria.

Per chi ha tempo di fare un salto nel passato, sul sito del Guardian è datato 21 settembre 2009 il comunicato integrale della FIA con il quale Briatore e Pat Symonds furono bannati rispettivamente a vita e per cinque anni dopo l’incidente di Piquet Jr. orchestrato a Marina Bay per far vincere Alonso. Una violazione delle regole, ammessa dalla stessa Renault dopo un’indagine interna, dalla gravità definita “senza precedenti” e nonostante la quale, solo pochi mesi dopo (il 5 gennaio 2010) Briatore fu riammesso per dei vizi procedurali con i quali la FIA era giunta alla decisione di radiarlo.

La stessa cosa sarebbe successa per Symonds: con i due, curiosamente, ritrovatisi anni dopo proprio all’interno del mondo F1: Briatore come super consulente, Symonds addirittura come CTO del Circus. E quella dell’ingegnere britannico è una trafila che lascia quanto meno straniti. Bannato nel 2009, reintegrato nel 2010, tornato nel Circus nel 2011, CTO della Formula 1 nel 2017 e, da poche settimane, passato nel Team Andretti che sta tendando disperatamente di entrarci, in F1; un team ostacolato e, per parole di Mario Andretti, osteggiato con tanto di minacce a nome Greg Maffei, uno dei leader di LM.

In tutto questo è incredibile la situazione riguardante Felipe Massa. Il brasiliano, il quale ha avviato una causa per proprio per i fatti di Singapore, ad oggi è considerato personaggio non gradito nel Paddock perché sta cercando giustizia. Lui, quindi, resta sostanzialmente fuori dall’ambiente dal quale si sente in qualche modo derubato mentre, dall’altra parte dei tornelli, ci sono rispettivamente: Stefano Domenicali, oggi CEO della F1 e suo Team Principal in quella notte di Singapore e Flavio Briatore, considerato il mandante principale di quel giorno a Marina Bay. I due, va ricordato, sono ottimi amici da anni ed è anche per questo che Briatore, prima di accasarsi in Alpine, si è dedicato ad un ruolo di consulenza negli ultimi tempi.

I valori morali sono quelli del Qatar?

Non solo trasparenza e professionalità ma anche inclusione, valori morali e quant’altro per una Formula 1 che va a correre in posti dove cadono bombe a 10 km dalla pista e dove i diritti umani, soprattutto nei confronti delle donne, sono l’equivalente dei Monopoly Dollar. Il fiorire di location di questo tipo è innegabile negli ultimi tempi e da prima dell’arrivo di Liberty, sia chiaro.

Bahrain, Abu Dhabi, Arabia Saudita, Qatar: tutti sappiamo per quale motivo la F1 va a correre in determinati posti, le ingenti fee che sono disposti a pagare – beati loro – e che hanno alzato il livello generale delle richieste per tutto il calendario, per chi vuole o può stare al passo (in Italia lo sappiamo bene con Imola e Monza). Ovviamente un’azienda è libera di operare dove vuole – basti pensare alla FIFA con i mondiali in Qatar – ma, quanto meno, potrebbero essere evitate le grandi filosofie sui valori e su uno sport che vuole aiutare a cambiare l’ideologia di questo o quel paese.

La vera trasparenza sarebbe non fare finta di essere trasparenti

In conclusione la Formula 1 è piena, ricolma di storie controverse: chissà quante non ne conosciamo, chiuse in archivi della memoria di addetti ai lavori che, per buona pace, tacciono. Tutte le storie qui sopra accennate fanno parte di un mondo competitivo, di squali, nel quale l’interesse unico è prevalere rispetto agli avversari di turno. Non c’è niente di male in questo, se non fosse per quel velo di ipocrisia che vuole vendere la F1 per il paradiso in cui tutti si vogliono bene quando non è per niente così, a tutti i livelli.

Criticare Horner e contemporaneamente trattare piloti come birilli, chiedere trasparenza ed avere situazioni familiari che possono alimentare dubbi, ingaggiare un manager le cui azioni hanno minato l’immagine della Formula 1 (con la F1 stessa che glissa sul passato) e contemporaneamente prendere le distanze da un pilota che chiede giustizia sono azioni che, in un mondo super competitivo e, ripeto, di squali, possono anche essere “accettate”, anche se magari non di buon grado.

Quello che non può essere proprio accettato, invece, è il velo di serenità e di purezza morale che si vuole dare ad un ambiente che non lo è, non lo è mai stato, non lo sarà mai. Perché non tutti i tifosi attuali della F1 sono arrivati con Drive To Survive e c’è chi ha ancora memoria a sufficienza per ricordare il passato.

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