C’era, non c’era, interagiva o meno. Lasciarlo in pace, invece, è sempre un’opzione scomoda
Che il matrimonio di Gina Maria, la primogenita di Schumi, sarebbe stato evento degno per tirare fuori per l’ennesima volta una vagonata di fandonie, lo sapevamo tutti. Puntualmente, non siamo stati stupiti.
Tralascio il fatto che l’evento in sé aggiunge un tassello al puzzle della vecchiaia che avanza: la ragazza ha 27 anni e ho dovuto controllare un paio di volte per verificare la differenza tra 2024 e 1997; confermando che il tempo, mannaggia a lui, passa davvero in fretta.
Detto questo, era logico che se ne parlasse in termini generali (è pur sempre un evento) così come era logico che uscissero le notizie più strampalate. Manco a dirlo la provenienza primaria è stata quella dei tabloid gossippari inglesi, sulla cui qualità non ci sarebbe da discutere in realtà neanche troppo, catalogandoli molto al di sotto della soglia della decenza.
Dopo quasi undici anni da quel maledetto incidente c’è ancora qualcuno che non si è messo l’anima in pace e tenta di fare lo scoop della vita, sulla pelle di una persona e di una famiglia che vivono un dramma inimmaginabile per chi non ne ha avuto conoscenza diretta. Solo questo dovrebbe indurre, umanamente prima che professionalmente, quanto meno a rispettare i voleri di chi decide se e quali informazioni divulgare.
Undici anni sono, dovrebbero essere, sufficienti per comprendere che se, fino ad ora, non ci sono stati aggiornamenti di rilievo è inutile immaginare chissà quale scenario. E, per chi è stato attento in tutto questo tempo, alcuni segnali di una situazione difficile da parte dei diretti interessati sono arrivati. Basta ascoltare le parole e vedere i volti di Corinna e Mick nel documentario uscito un paio d’anni fa: non c’è molto da interpretare.
È comprensibile, considerata la platea di milioni di persone che hanno seguito la carriera di Michael in pista (e che ancora prova un affetto sincero nei suoi confronti) che la speranza di avere notizie positive è ancora viva. Piacerebbe a tutti, me compreso, sapere che le cose sono diverse dai segnali che, come piccole briciole, sono arrivati in questo tempo. Ma ci sono delle cose importanti di cui bisogna sempre tenere conto.
Il primo è sempre la privacy voluta dalla famiglia, prima e dopo l’incidente. E, lo continuo a ripetere, nessuno può arrogarsi il diritto di pretendere di conoscere le condizioni attuali di Michael. Nessuno, che non sia la famiglia o la cerchia strettissima a cui è permesso, ha alcun diritto su questo, anche se si parla di un personaggio pubblico di rilevanza mondiale ai tempi in cui era in attività.
Il secondo è che bisognerebbe smetterla di prendere in giro la gente, i fan, i suoi tifosi, per avere quattro maledette visualizzazioni in più. Ho visto palesi fotomontaggi offuscati che lo ritrarrebbero all’aria aperta durante la cerimonia, illazioni sul suo interagire o meno con le persone presenti, come se di colpo la famiglia avesse allargato chissà quale maglia nella sua strettissima privacy.
Senza fare troppi voli pindarici, è facile immaginare che Michael fosse fisicamente presente ad una cerimonia organizzata nella località in cui praticamente risiede da anni. Credo che ogni figlia di questo mondo vorrebbe questo, quindi in fondo si tratta di una notizia – non notizia.
Il resto sono tutti condizionali partiti come tali e poi travisati, tradotti, tramutati in altro per convenienza editoriale. Quante persone immaginate ci siano state in più oltre a quelle a cui è sempre stato permesso di conoscere la situazione? Di sicuro non a sufficienza per parlare di una “uscita pubblica” (in una cerimonia privata…). E poi basta, perché tutto il contorno sono invenzioni, sensazioni o speranze buone per riempirci articoli.
Certo, qui non siamo ai livelli del finto prete in ospedale, dei droni fatti calare sopra la residenza in Svizzera o delle finte interviste sui magazine tedeschi. Però c’è sempre una linea che, se superata, qualifica perfettamente chi è protagonista dell’invasione.
Alla fine, dopo tutto questo tempo, fatico a capire che necessità ci sia di continuare così. E, più passano gli anni, più personalmente preferisco ricordarmi Michael col casco in testa, di qualsiasi colore e su qualsiasi monoposto. Sono i ricordi più belli ed è meglio fermarsi lì.
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