Blog | Schumacher e i bei tempi del “non parla l’italiano”

Autore: Alessandro Secchi
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Pubblicato il 26 Settembre 2024 - 16:00
Tempo di lettura: 3 minuti
Blog | Schumacher e i bei tempi del “non parla l’italiano”
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L’entusiasmo generale per le lezioni di italiano che starebbe sostenendo Lewis Hamilton riportano ad un grande classico degli anni ’90/2000

“Lewis Hamilton sta prendendo lezioni di italiano”. Da un paio di giorni questa notizia campeggia un po’ ovunque e, per i vecchi con un po’ di memoria storica, è difficile non tornare ai tempi del grande dibattito che l’Italia motoristica – quella più ridicola – apriva o chiudeva in corrispondenza delle volte – poche – in cui Michael Schumacher toppava una gara, una qualifica o evitava di parlare in italiano durante le interviste.

Che Schumi faticasse con la nostra lingua era abbastanza risaputo. Molto meno noto era invece che, dietro le quinte, i microfoni e le telecamere, usasse molto di più il nostro idioma di quanto non facesse pubblicamente. Un po’ perché si sentiva meno sotto pressione, un po’ perché si era stufato in fretta di qualche dichiarazione travisata ed era tornato al più comodo inglese.

Che non fosse molto avvezzo alle pubbliche relazioni era cosa abbastanza chiara e, d’altro canto, riceveva spesso lo stesso trattamento. Non cercando di farsi amici tutti i giornalisti del Paddock – al tempo non era attività fondamentale per un pilota – ci metteva anche poco a ricevere delle critiche: lo avremmo visto molto chiaramente al momento del passaggio in Mercedes dopo aver fatto vivere benissimo tutti i media italiani per un decennio pieno.

Quello che mi ha sempre fatto sorridere e che mi fa sorridere ora è come si possa dare così tanto peso ad una questione totalmente inutile come quella della lingua ai fini del risultato finale, ovvero quello in pista. Pista nella quale, allora ed oggi, si parlava e si parla inglese. Con Schumi, mentre portava a casa vittorie (72) e mondiali (5) vestito di rosso, non c’era volta in cui questa storia dell’italiano non tornasse ciclicamente a galla, come se i suoi successi fossero macchiati da questa imperdonabile non curanza di farci sapere che era contento nella nostra lingua; come se importasse più questo che il lavoro fatto quotidianamente per aiutare la Ferrari a tornare a vincere e per tenerla in alto per un tempo oggi inimmaginabile.

Leggendo di Hamilton e delle italiche lezioni è davvero un attimo tornare a 25 anni fa e alle critiche idiote che vennero riservate a chi, con il suo lavoro (e lo dice soprattutto, con gli occhi lucidi, chi ha lavorato con lui) portò la Ferrari dove nessuno è poi riuscito partendo così dal basso; eccezion fatta per Kimi Raikkonen che, “ereditato” il gran lavoro del periodo precedente, è stato l’unico dopo Schumi a portarsi a casa il titolo mondiale. Incidentalmente, l’ultimo della storia ferrarista per quanto riguarda i piloti.

Ancor di più, quelle critiche fanno ridere pensando a quanti piloti sono passati da Maranello dopo Schumi dotati di un italiano eccellente senza, però, riuscire nell’impresa e neanche ad avvicinarsi. Sommando le vittorie dei vari Massa, Alonso, Leclerc e Sainz (quattro che l’italiano lo parlano benissimo, anche meglio di qualche italiano vero…) arriviamo a 32, neanche la metà di quel poltrone tedesco che non andava oltre le tre parole di fila senza incepparsi. Mentre, al volante e con i pedali, le cose erano ben diverse.

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