Blog | Roland Ratzenberger. Come fosse ieri, 30 anni fa

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Tempo di lettura: 4 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
30 Aprile 2024 - 11:45
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Un botto e poi il silenzio. Immagini che, da trent’anni, non vanno via dalla mente

Lo stacco televisivo dalla Williams di Damon Hill ai resti della Simtek di Ratzenberger che rotea sull’erba, distrutta e passeggera delle forze, è il momento più traumatizzante della mia esperienza da appassionato di Formula 1. È quello che mi è rimasto più impresso e, trent’anni esatti dopo, posso dire che difficilmente ormai andrà via dalla mente, restando un ricordo lucido esattamente come nei giorni, mesi ed anni successivi.

A 11 anni è un qualcosa che non auguro a nessuno di vedere in diretta, perché segna indelebilmente. Il casco che ciondola all’interno dell’abitacolo e si adagia lentamente sul lato sinistro, il gomito che sporge dalla scocca perforata, la macchia rossa attorno alla visiera che capisci subito non essere parte della grafica della calotta, il massaggio cardiaco a terra; tutte immagini di cui non si riesce a spiegare il sentimento del momento, neanche oggi, per quello che al tempo era ancora un bambino. Il giorno prima Rubens aveva rischiato di farsi malissimo ma era andata tutto sommato bene. Questa volta, però, sembrava subito altro. Soprattutto, era la realtà e non un film.

Dopo trent’anni non è che ci sia molto di più da scrivere. È un girare e rigirare le stesse parole, gli stessi ricordi, con qualcosa che magari si aggiunge col tempo. Per la stragrande maggioranza di chi seguiva la F1, Roland Ratzenberger era semplicemente uno degli ultimi. Anche per me, che al tempo ero piccolo, era uno dei tanti che passavano dalle ultime file. Potremmo dire lo stesso anche dei nostri tempi, almeno fino ad una decina di anni fa. Il lavoro che si fa oggi sui piloti a livello mediatico è ben diverso e sono diventati tutti dei personaggi, con i vantaggi e gli svantaggi del caso.

Roland, però, aveva un altro background e un’altra età. Era coetaneo di Ayrton, aveva già una carriera alle spalle, aveva corso più volte a Le Mans arrivando anche quinto. La F1 raggiunta a 34 anni era un qualcosa che oggi, con piloti che testano a 17/18 anni, non potremmo comprendere ma al tempo non era raro. Damon Hill, un altro coetaneo di Ayrton, in F1 aveva esordito a 32. Un altro mondo.

Insomma: dopo una lunga rincorsa, Roland in F1 ci era arrivato. La sua esperienza era a tempo, cinque Gran Premi. Cinque weekend nei quali cercare di farsi vedere, anche se con una monoposto da ultime file, per attirare l’attenzione di qualcuno. Imola era il terzo colpo, sarebbe stato l’ultimo.

Dobbiamo essere onesti con noi stessi. Se Roland fosse morto da solo nel weekend di Imola 1994, molte dinamiche non sarebbero cambiate. Chi governava il Circus, dopo aver premuto per i folli cambiamenti regolamentari introdotti in quell’anno, avrebbe cercato di limitare il tutto ad una semplice disgrazia, ad un pezzo di ala che vola via nel punto sbagliato al momento sbagliato, alla noncuranza del pilota dopo un’uscita di pista (e magari, questo, vi ricorda qualcosa, pensando a vent’anni più tardi).

La morte di Ayrton, il giorno dopo, ha aumentato in modo esponenziale l’importanza e la gravità di tutto quello che è successo in quel weekend, nelle settimane precedenti e in quelle successive. La scomparsa del migliore, sotto gli occhi del mondo, ha elevato tutto ad un livello successivo, non ignorabile, non contestabile, non negoziabile; scomparsa di Roland inclusa.

Questo, però, non cambia il mio personale sentimento. Roland Ratzenberger è il primo pilota che ho visto morire in diretta. Quel giorno ho capito quanto fossero disposti a rischiare i piloti pur di vivere il loro sogno. Da quel giorno il mio modo di vedere la F1 sarebbe stato diverso. Da quel weekend, la F1 sarebbe stata diversa in modo totale.

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