Blog | Quando la F1 era noiosa comunque ma la passione per le “macchinine” andava sopra tutto

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Tempo di lettura: 6 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
18 Marzo 2024 - 18:32
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È nella tradizione della F1 avere stagioni noiose, dominate. Ecco perché la favola dello “spettacolo a tutti i costi” non può reggere

Quello che Liberty Media sta attraversando è forse il momento più difficile della sua avventura da proprietaria della Formula 1. I risultati, da quasi due anni, parlano di una Red Bull che sta dominando il mondiale in lungo e in largo, soprattutto grazie all’accoppiata RB(18/19/20) – Max Verstappen. Non fosse per il binomio con l’olandese forse assisteremmo a qualcosa di diverso e diverso è il rapporto con gli avversari di questa Red Bull con quello che, a suo tempo, ha fatto Mercedes nei suoi otto anni di dominio. Ma ci sarà occasione per parlarne.

Come detto, Liberty si trova di fronte ad un grosso problema, forse per certi versi ancora più grande di quello del periodo Covid. Dopo un 2018 combattuto fino ad un certo punto con la Ferrari ed un 2019 dominato da Hamilton, il 2020 e 2021 (dal punto di vista dello sport) sono stati messi in secondo piano dalla necessità di chiudere i due mondiali per l’emergenza sanitaria che ha colpito il mondo intero.

Ora che tutto è tornato – più o meno – alla normalità, abbiamo il duo Red Bull-Verstappen che da metà 2022 non molla un colpo. Gli ascolti ne stanno risentendo, si parla continuamente di noia e il rischio è che il tanto promesso spettacolo torni indietro come un boomerang. Lo spettacolo a tutti i costi era stato venduto come un mantra, anche grazie alle regole 2022 che avrebbero dovuto dare un boost alla competitività. Questo non è successo e il risultato è che le lamentele per una categoria diventata completamente prevedibile stanno aumentando a dismisura.

Qui, però, è necessario fare un passo indietro, al tempo in cui il sottoscritto e tante altre persone della mia generazione si sono appassionate alla Formula 1. Per la precisione, fine anni ’80 / inizio ’90. E qui le domande rivolte ai giovani appassionati di oggi sono diverse. Quanti team diversi vincevano almeno una gara nell’arco di un mondiale? Quanti piloti erano davvero in lotta per un mondiale? Quanti mondiali NON sono stati dominati? Quante gare NON erano noiose?

Ecco, andare a rivedere qualche risultato potrebbe aiutare. Perché la monoposto in foto, la Williams FW14B con Nigel Mansell al volante, oggi considerata una delle più iconiche di sempre, contribuì a tanti sonnellini nel 1992 e fu rimpiazzata da un’altra, la FW15C, che fece altrettanto nelle mani di Alain Prost nel 1993. Il tutto dopo quattro anni che avevano visto lo stesso team, la McLaren, portare a casa quattro (+ 4 costruttori) titoli di fila, seppur con dinamiche diverse e lotte interne storiche tra Senna e Prost nell’88 e ’89.

Ora, senza stare ad analizzare stagione per stagione, chi le ricorda sa benissimo che, ad esempio, nel 1992 si sapeva già come sarebbero andati i weekend, a meno di eccezioni particolarissime. Lo stesso nel 1993. E le gare, spesso e volentieri, erano noiose tanto quanto quelle odierne, così come erano parecchie le lamentele sulla mancanza di spettacolo. Insomma, trent’anni fa le cose non andava molto meglio rispetto ad oggi.

Il primo problema è fondamentalmente di base. Ovvero che non sta scritto da nessuna parte che la Formula 1 e il motorsport in generale debbano essere divertenti. Nelle gare, di un qualsiasi tipo – anche non motoristiche – il giusto si trova nella sicurezza che chi è più forte possa vincere. E, se lo fa dominando, significa che è stato più bravo degli altri a parità di condizioni.

Il secondo problema è il promettere – senza poter mantenere – lo spettacolo a tutti i costi. L’attuale Formula 1 vive sul concetto di spettacolo sbandierato ai quattro venti, ma ad oggi l’unico modo per averlo sarebbe non tanto ribaltare le regole in corso di stagione, quanto fermare Verstappen, sperare che si ritiri il prima possibile o che il team di Milton Keynes imploda per le note vicissitudini che conosciamo. In linea di massima, nessun tentativo di stoppare Max e la Red Bull rientrerebbe nel “giusto” di cui prima.

Il terzo problema sta nel famoso engagement del pubblico. Trent’anni fa ci si appassionava alle “macchinine” a prescindere da qualsiasi discorso politico – commerciale. Lo si faceva stando seduti sul divano insieme al papà o al nonno, a loro tempo appassionati ricolmi di storie e aneddoti dei loro tempi e dei loro campioni preferiti. Ora quella dinamica si è per lo più persa e i giovani appassionati della nuova generazione vengono “catturati” dai social e dai Drive To Survive del caso, che sono uno specchio per le allodole e non la realtà dei fatti. Diventa logico, logicamente comprensibile, il fatto che se prometti spettacolo e proponi un dominio la gente si stanchi in fretta così come in fretta è stata ingaggiata.

Il quarto problema è che oggi appassionarsi all’automobile naturalmente è molto più difficile di prima. Il mondo è andato avanti e la tecnologia ha preso il sopravvento sui motori nei desideri e negli interessi degli adolescenti. Se prima si chiedeva il cinquantino ora si desidera lo smartphone, se prima si prendeva e si andava in giro in compagnia adesso si fanno le gare di reel.

Almeno a me, ma credo anche a diversi miei coetanei, piaceva vedere le gare a prescindere. Erano noiose? Certo, capitava e anche spesso, ma l’essere imbambolati davanti alla TV a vedere questi mostri strillare e passare velocissimi, danzare tra le curve ed uscire di traverso era più importante di tutto: delle polemiche, dei domini, delle lamentele. Era semplice e pura passione per la F1 in quanto tale, che portò poi (qualche anno dopo) a passare le ore al PC a giocare e replicare le livree pixel per pixel su GP2. E, visto che siamo vicini al trentennale, la tragedia di Imola ’94, almeno nel mio caso, non fece altro che cementare definitivamente il mio affetto per questo sport e per i suoi protagonisti, i piloti. Pronti a tutto per essere primi, anche perdere la vita. Capisco possa essere di non facile comprensione tutto questo, ma era diversa la visione, erano diverse le premesse, lo era l’approccio e soprattutto erano diversi i motivi per cui ci si appassionava.

In conclusione, non capire che la noia fa e deve essere parte del motorsport significa essere di fronte a un problema, non tanto di chi non lo capisce ma di chi ha venduto una realtà che semplicemente non può esistere. Nemmeno con un monomarca.

Immagine di copertina: Media Williams

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