Blog | Protagonismo: l’altra faccia di Ayrton e del 1° maggio

Autore: Alessandro Secchi
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Pubblicato il 2 Maggio 2025 - 16:00
Tempo di lettura: 4 minuti
Blog | Protagonismo: l’altra faccia di Ayrton e del 1° maggio
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Chi c’era quel giorno sa cos’è quel brivido nelle ossa e non può apprezzare la trasformazione in personale palcoscenico di un giorno tragico

Gli schianti di Ratzenberger e Senna sono due momenti indelebili nella mia mente di allora 11enne e oggi 42enne. Sono due specie di mattoni inscalfibili, due punti fissi che non possono essere spostati dalla loro collocazione e sono assolutamente certo che vale lo stesso per tutti coloro i quali, quel weekend, hanno vissuto la stessa esperienza.

Ogni anno che passa quelle due manciate di fotogrammi tornano limpide, originali, unite a reazioni del momento, a quello che ho fatto o non ho fatto. Sembra di tornare indietro nel tempo. Sono attimi che tutto il mondo ricorda collettivamente ma ognuno di noi porta con sé una percezione assolutamente personale.

C’è chi, dopo quel weekend, ha smesso di seguire la F1. C’è chi, cinicamente, ha archiviato tutto come semplice rischio del mestiere. C’è chi, per reazione contraria, si è legato ancora di più allo sport capendo davvero, magari per la prima volta, quanto un uomo fosse disposto a rischiare per raggiungere un obiettivo, un sogno.

Non potrò mai togliermi dalla testa due attimi precisi. La presa di coscienza che, quel rosso sul casco di Roland, non era la vernice della bandiera austriaca, fu un momento terribile e che, ancora oggi, mi lascia senza parole. Il movimento del casco di Ayrton, ripreso dell’elicottero pochi secondi dopo lo schianto, fu quell’attimo di speranza presto coperto da tutto quello che sarebbe successo dopo.

Due momenti da pochi secondi che, dopo 31 anni, ancora tornano, ritornano, si rifanno vivi ciclicamente e non solo quando tutti “dobbiamo” ricordare, celebrare quanto è successo ad ogni anniversario. Non sono ricordi a comando: sono memorie che esistono perché fanno parte di te, del tuo vissuto e ti bussano alla porta quando meno te l’aspetti. Durante una corsa, rivedendo una foto, ripensando semplicemente a quando eri piccolo. A volte così, dal nulla, in una mattina d’inverno come in una sera d’estate.

Sono favorevole alle celebrazioni, non al protagonismo. Sono convinto che sia giusto esserci in un momento di ricordo, come succede ogni 1° maggio, ma che non sia elegante puntare a farsi vedere e mostrarsi a favore di perfetto obiettivo, come per testimoniare di essere più coinvolti di altri.

Anni fa un formale collega che, incidentalmente, come me collaborava ad Autosprint, contestò – oltre a quello che facevo con P300.it, classificato in breve come spazzatura – anche il libro su Michael, scritto da “uno che non ha mai visto correre dei piloti e non ha mai parlato con uno dal vivo“. Diceva così, cazzata in più o in meno. Se non altro, Michael l’avevo vissuto tutto da quando ero piccolo (non sempre in pista, non potevo permettermelo), parlavo per cose viste con i miei occhi, lette e sentite successivamente da gente (seria) dell’ambiente. Non da lui, quindi.

Il karma, per questo come per tanti altri professionisti ultradecennali che, anni fa, hanno insultato quelli che spregevolmente venivano additati come blogger, che “volevano rubare loro il lavoro” (e che, nel mio caso, hanno messo a più riprese i bastoni tra le ruote), è dover avere a che fare oggi con influencer e affini. E quindi ci troviamo, nel 2025, con personaggi che raccontano e piangono Senna, sempre a favore di telecamera o alla presentazione di un libro, non solo “senza averlo visto correre” ma avendolo come “idolo sbandierato” pur essendo nati anni dopo la sua morte.

Ecco, sono contrario anche al concetto di idolo come viene raccontato oggi e so che, in questo, rappresento una minoranza. Per me Gilles non potrebbe mai rappresentare un idolo come lo è per chi lo ha vissuto e che, quando ne parla, mostra tutta l’enfasi, la partecipazione, il sentimento di chi c’era al suo tempo. Io credo a chi me lo racconta: ed è per questo che mi sentirei quasi un tifoso imbucato alla festa nel dire che è un mio idolo. E quindi no, al di là di chi si può (giustamente) appassionare ad un personaggio del passato, non apprezzo il protagonismo di chi cerca followers con lacrime a comando e, in generale, non apprezzo più questo mondo nel quale l’apparenza conta sempre più ed è ormai l’unico parametro di riferimento per essere ritenuti credibili, almeno per quanto riguarda la F1.

Mentre qui, dopo 31 anni, si rivedono per l’ennesima, milionesima volta fotogrammi e si cercano dettagli, minimi indizi che possano aiutare a spazzare via le teorie del no-sterzo, fuori siamo bombardati da lacrime di cartone, livree imbarazzanti, ipotesi di pitstop e limiti di velocità ad hoc gara per gara; il tutto con, là in fondo, l’ombra del wrestling applicato alla F1 che si fa piano piano strada. E, onestamente, sono stanco di tutto questo.

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