Gli stracci che volano tra Team Principal e i media richiedono una riflessione sul ruolo degli stessi
Devo ammettere che inizio a non capirci più nulla. Intendo più del solito. In tutto quello che sta succedendo in questi giorni ci sono così tante contraddizioni che è difficile trovare capo e coda di una situazione dai mille cortocircuiti. Tutto è partito dalle critiche partite, dai maggiori quotidiani nazionali e non solo, nei confronti di Fred Vasseur.
Succede che, dopo settimane di favole sul fatto che alla gara successiva avremmo visto il vero potenziale della Ferrari, finalmente i media mainstream si sono accorti che la situazione non era quella preventivata ad inizio anno e ampiamente pubblicizzata, colpevolmente, anche da loro stessi. Vi ricordate Piazza Castello, i proclami, i mondiali che si volevano vincere e l’inno italiano? Ecco: qualcuno per caso aveva invocato calma? Certo che sì, ma non tra i big names della nostra informazione.
E così, dopo batoste, squalifiche, esclusioni dalla Q2, si è partiti (con colpevole ritardo sulla tabella di marcia) prima a mettere in dubbio l’operazione Hamilton, il quale sembrava già pronto a mettersi in un taschino l’ottavo mondiale e nell’altro Leclerc; per poi arrivare – proprio questa settimana – a scomodare il nome di Fred Vasseur, l’organizzazione interna Ferrari e la possibile (dopo sette anni ci starebbe anche, l’abbiamo scritto ripetutamente) pazienza finita di Charles Leclerc.
I due piloti si sono prodigati, nel giovedì di Montréal, a favore del loro TP, difendendo a spada tratta il loro capo con un atteggiamento che ha quasi del tenero. Mentre, il diretto interessato, è stato mattatore del venerdì, in conferenza stampa dei TP e ai microfoni dei media. Il succo del discorso di Vasseur è, in buona sostanza, che lui può gestire certe pressioni ma che i media italiani (alcuni, non tutti) sono scorretti soprattutto quando parlano di altri membri del team che potrebbero essere oggetto di attenzione o addirittura sostituzione, perché “hanno famiglia, mogli, figli (?)”.
Come se non bastasse, Vasseur ha fondamentalmente accusato gli stessi media di aver destabilizzato la squadra dal punto di vista della concentrazione, non capendo il motivo di tale comportamento (“Non conosco l’obiettivo: forse è per gettare merda sulla squadra”).
Un po’ di considerazioni sparse: la prima è che, onestamente, fa sorridere sentire affibbiare ai giornalisti la colpa della doppia squalifica della Cina o della qualifica fuori dal Q2 con entrambe le macchine a Imola; due record poco invidiabili e che, in altra epoca, avrebbero visto crocifiggere qualcuno in sala mensa mentre, da tempo, siamo abituati ad un rigoroso silenzio dirigenziale.
Fa sorridere anche sentire Vasseur dire che “Quando si lotta per il campionato, ogni singolo dettaglio fa la differenza”. Mi si perdoni la domanda, ma per quale mondiale starebbe lottando la Ferrari, con 197 punti di ritardo in classifica costruttori e 92 in quella piloti (con Leclerc) dopo nove gare?! Quello degli altri, forse.
Altra dichiarazione che mi lascia basito è “Penso che non sia così che saremo in grado di vincere un campionato, almeno non con questo tipo di giornalisti intorno a noi.” Al di là del fatto che non è con i giornalisti che si vincono i mondiali ma con una seria organizzazione che parte dall’alto (e che manca da tantissimi anni) ora vengo alla domanda delle domande: quali sono i giornalisti che vanno bene? Perché qui i cortocircuiti iniziano ad essere tanti.
Credo sia la prima volta che Vasseur viene criticato: non dovrebbe essere così? Per quale motivo, in un’informazione libera, non si dovrebbero fare discorsi di un certo tipo? Anche perché non si sta accusando nessuno di aver commesso reati ma si sta solo sottolineando (finalmente) che la situazione è molto distante da quella che era stata venduta e che, se tutto dovesse continuare così, non è improbabile che ci possano essere dei cambi; cosa successa, tra l’altro, a ripetizione da quando il mondiale non si vince più dalle parti di Maranello, anche con un certo isterismo collettivo.
A proposito di presunti reati, non mi pare che l’anno scorso ci si sia indignati quando Christian Horner è stato accusato di essere un maniaco per settimane, scrivendo di tutto e dandolo per spacciato tutti i santi i giorni; mentre lui restava al suo posto, nessuno ha alzato la mano ricordando moglie e figli del TP: anzi, ci si è messo pochissimo a fare del gossip di basso livello, con un divorzio apparentemente pronto per essere servito sul piatto dei Signorini del Motorsport.
Ora: viviamo nell’epoca del clickbait, delle fake news (qualcuno ha detto “Newey pronto a sbarcare a Maranello”?) e degli influencer del nulla che vanno a fare la sfilata nel Paddock: onestamente sarebbe utile iniziare a fare pulizia da qui e non da chi fa il lavoro che andrebbe fatto, ovvero mettere in dubbio la stabilità di un team che sta oggettivamente deludendo: gioverebbe anche non vantarsi della seconda posizione in campionato, figlia per lo più di congetture dell’ultima tripletta di gare tra rotture della Mercedes e Red Bull che corre con una macchina sola da inizio anno.
Ritorno sulla domanda fondamentale: quali sono i giornalisti che vanno bene? Perché se non si può criticare (e su questo ci sarebbero da dire tante cose) e la stampa va sempre bene solo quando è compiacente e riporta tutto alla lettera, senza un minimo di elaborazione e anche quando le prestazioni sono penose, allora il ruolo del giornalista inizia ad essere confuso con quello dell’ufficio stampa. Confusione sulla quale spesso ho dubbi per primo, soprattutto quando leggo che promesse e proclami vengono riportati senza un minimo di esitazione.
Perché, alla fine, è anche colpa di tanti media se siamo arrivati a questo cortocircuito. Chi ha sempre appoggiato la Rossa a prescindere, senza mai permettersi un minimo di critica, ha la responsabilità di quest’aura di immunità con cui si vive l’ambiente di Maranello. È ovvio che poi, quando ci si abitua bene, basta un attimo per far saltare il coperchio della pentola.
Tornando a Vasseur, forse la genesi dell’ira di Montréal risale a molto prima di questa settimana, ad un rapporto con i media nostrani che in realtà non è sbocciato come si pensava. E no, non mi riferisco al fatto che il team principal non abbia ancora imparato (dubito lo farà) l’italiano, una favoletta vecchia di 30 anni e che conta zero dal punto di vista lavorativo. Mi riferisco, ad esempio, alle prime critiche lanciate ai media italiani dopo la doppia squalifica di Shanghai: quando, in una lunga intervista all’Equipe, il manager francese disse che erano stati i nostri giornali a pompare le aspettative per la stagione. Dettaglio assolutamente falso, dato che il TP era sul palco di Piazza Castello mentre si facevano determinati discorsi, senza mai obiettare sulle esagerazioni lanciate.
Insomma, più si racconta che la situazione è sotto controllo, più tutti gli indicatori dicono l’esatto contrario. Onestamente, non vedo come potrebbe essere altrimenti: se si credeva veramente a quelle parole dal palco di Milano, la situazione attuale assume addirittura i contorni della drammaticità sportiva. La SF-25 è tagliata fuori dai mondiali, il campione dei campioni e uomo immagine, Hamilton, fatica e non fa alcuna differenza e chi tira la carretta da sette anni, Leclerc, è l’unica nota positiva della situazione soprattutto da quando ha deciso di fare di testa sua con gli assetti della vettura. Situazione positiva quanto per se stesso, però? Perché, se Charles crede davvero ad un amore corrisposto a fatica – soprattutto dopo l’ultima scelta di mercato – anche lui dovrebbe iniziare a porsi delle domande e non è detto che, al di là delle belle parole, non abbia già iniziato a farlo.
Immagine di copertina: Media Ferrari
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