Blog | Pérez: quando una vittoria può costare una carriera

Autore: Simone Casadei
Pubblicato il 18 Dicembre 2024 - 21:43
Tempo di lettura: 5 minuti
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Un bilancio delle ultime quattro stagioni del messicano, ai titoli di coda con Red Bull e, almeno per ora, con la Formula 1

Il titolo è, volutamente, provocatorio. Quando mai si può pensare che una vittoria, la prima vittoria, possa influire tanto negativamente sul percorso di un pilota? Com’è possibile che la gioia del primo posto, giunta dopo una lunghissima attesa, sia in realtà soltanto un’illusione a precedere quattro, intense e complicatissime stagioni? Eppure, a mio avviso, è esattamente questo che il Gran Premio di Sakhir 2020 ha rappresentato per Sergio Pérez. La prima affermazione in Formula Uno del messicano, arrivata dopo 190 GP disputati, emozionò tutti, tra appassionati e addetti ai lavori, certi che quella fosse la consacrazione definitiva di chi non aveva mai smesso di lottare, credendo fermamente di potercela fare.

Da un lato, è certamente stato così. A gran voce si pregava per uno sbarco di “Checo” alla Red Bull, trainata dal solo Max Verstappen dopo che un deludente Alexander Albon aveva alzato bandiera bianca praticamente subito dopo la prima tappa stagionale, in Austria. La sorte – pensate che coincidenza – fece sì che l’ingaggio fosse ufficializzato il 18 dicembre 2020, a cinque giorni dal termine del Campionato ed esattamente quattro anni prima dell’addio di Sergio alla squadra che, dopo l’impresa del Bahrain, sembrava volerlo definitivamente lanciare nel panorama della lotta la vertice, quella che vale i bersagli più grossi.

Ma quella vittoria, per Pérez, ha probabilmente causato più danni che benefici. È sicuramente dato per assodato che, senza il contratto propostogli da Milton Keynes, il nativo di Guadalajara avrebbe dovuto salutare il Circus già nel 2020, forse con il rimpianto di non aver mai avuto la giusta occasione per brillare come avrebbe meritato. Eppure, quell’occasione arrivò. E quell’occasione, dal messicano, è stata sfruttata meno di quanto ci si potesse aspettare.

Sul 2021, c’è in verità poco da dire. Un’annata trascorsa per lo più all’ombra del compagno, che sarebbe poi andato a conquistare il suo primo titolo, condita da qualche podio qua e là e dalla prima vittoria con i colori della squadra di Christian Horner addosso, conclusa tra l’altro alle spalle di Valtteri Bottas. Il quarto posto di Pérez a fine Campionato impedì alla Red Bull di portare a casa anche il Mondiale Costruttori, ma ci fu qualcosa che garantì al numero 11 gli applausi di team e tifosi: la “difesa” estrema contro Lewis Hamilton ad Abu Dhabi, a causa della quale l’inglese perse il tempo che gli sarebbe tornato utilissimo nel finale di gara per effettuare il proprio pit stop in regime di Safety Car e rientrare comunque in pista davanti a Verstappen, per di più a parità di gomma. Ministro della Difesa di qui, leggenda di qua (appellativo, questo, attribuitogli dallo stesso Max a gara in corso sempre ad Abu Dhabi), meritevole più di chiunque altro di quel sedile… Insomma, una sfilza di complimenti infinita.

Il 2022 fu una stagione più positiva, forse la migliore disputata da Pérez alla guida della Red Bull. Terzo posto in classifica Piloti, miglior risultato mai raggiunto fino a quel momento, e contributo sufficiente a far tornare Milton Keynes sul tetto del mondo anche tra le squadre, dopo 9 anni dall’ultimo successo che portava le firme di Sebastian Vettel e Mark Webber. Ci furono comunque alcuni nei, tra diverse esclusioni in Q2 e, soprattutto, il controverso episodio nelle qualifiche di Montecarlo, quando, a distanza di quasi cinque mesi dal weekend nel Principato e a seguito delle lamentele via radio di Verstappen nel corso del Gran Premio di San Paolo, venne insinuato il sospetto della volontarietà dell’incidente di Sergio al Portier. Incidente del quale il messicano, alla fine, beneficiò parecchio, potendo assicurarsi una partenza davanti al compagno su un circuito dalle possibilità di sorpasso piuttosto residue e, con il senno di poi, anche la successiva vittoria.

Tra 2023 e 2024, è poi arrivato il declino che ha portato i vertici del team alla decisione odierna. Dopo un’ottima partenza nel Campionato dell’anno scorso, con due vittorie in cinque gare e la possibilità apparentemente concreta di competere con Verstappen per la testa del Mondiale, Pérez si è totalmente perso. Nulla o quasi è rimasto del pilota che per anni ha ben figurato a centro gruppo, portando una non sempre competitiva Sauber a podio per ben tre volte nel 2012, la Racing Point, ex Force India, a conquistare il gradino più alto del podio per la prima volta in 13 anni di attività in F1, capace di guadagnarsi il posto in una delle compagini di vertice costringendola di fatto a guardare al di fuori del proprio giardino, per andare a pescare lui, Sergio Pérez, di anni 30 e, allora, all’apice della carriera.

Guardandoci un attimo alle spalle, si può dire che la notte di Sakhir, la più magica che “Checo” abbia mai vissuto, non fosse il preludio a ciò che lui stesso si aspettava. Diviene anche difficile immaginarsi come sia potuta verificarsi una caduta così repentina e sempre più rovinosa col passare dei fine settimana, al punto da additare Pérez come uno qualunque, come se tutte le conquiste e i buoni risultati precedenti non fossero mai esistiti. Ma si sa, questo sport non perdona mai, lasciando sempre all’ultima gara l’arduo compito di giudicarti. E forse, ripensandoci, un addio al massimo della forma avrebbe fatto meno male di uno sì quattro anni più tardivo, ma condito dal sapore quanto mai amaro di un tempo ormai lontano e irrecuperabile, unito all’assenza di quei complimenti e quegli applausi che avevano accompagnato Sergio all’inizio della sua avventura.

Immagine di copertina: Media Red Bull

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