Nella Terra del Sol Levante, i tre piloti giunti sul podio di Motegi finalmente vedono le luci in fondo ai rispettivi tunnel.
Sono passate poco più di ventiquattrore dal GP Giappone 2025 della MotoGP, una gara che passerà alla storia delle due ruote e che si è rivelata importantissima per i tre piloti giunti sul podio. Non solo per i rispettivi risultati sportivi, dato che alzare al cielo un trofeo al termine di un weekend di fatiche è in genere sempre una grande soddisfazione, ma anche per i significati che stanno dietro ad essi, dopo periodi più o meno lunghi di buio.
MARC MÁRQUEZ

Le luci della ribalta, a Motegi, non potevano che essere per Marc Márquez, che ha riconquistato il campionato MotoGP dopo una stagione da record. Ma lo slogan “More Than a Number” riassume in maniera perfetta ciò che sta dietro al raggiungimento di questo nono titolo (ed evidenzio nono anziché scriveremo settimo, ma di ciò parleremo in un altro momento), che rappresenta, a detta di molti, una delle più grandi rinascite sportive di sempre. E non posso che essere d’accordo.
Quando il 19 luglio 2020, durante il Gran Premio di Spagna, Márquez si ruppe l’omero del braccio destro in seguito al tremendo high-side in curva 3, molti pensavano che non si sarebbe dovuto aspettare chissà quanto per rivedere il “Cabroncito” in cima alle classifiche. Lui stesso tentò di ritornare subito in pista nel successivo GP d’Andalusia, ad appena sette giorni da un infortunio che, invece, avrebbe necessitato molto più tempo per una completa guarigione.
Quello sarebbe stato solo il primo di una serie di errori, sia in campo medico ma anche organizzativo e comunicativo, che avrebbero costretto Márquez a rimanere in panchina per quasi un anno, tra operazioni chirurgiche poco riuscite, evidenti tutori al braccio e voci di finestre spaccate erroneamente (grazie Alberto Puig…). La domanda che ci si poneva, a quel punto, era già cambiata: non più “Quando avremmo rivisto Marc Márquez ai massimi livelli?“, ma SE l’avremmo rivisto al top. Per i più disfattisti (o anche per i più fanatici ed incalliti tifosi di Valentino Rossi, a cui un Marc vincente non andava proprio giù) si scendeva ancora più a fondo, ovvero “Rivedremo Marc Márquez correre in moto?“.
Anche dopo il rientro nel 2021 e le tre vittorie di quell’anno (le ultime con la Honda), la sfortuna ha continuato a fare il proprio corso, prima col ritorno della diplopia (in seguito ad un paio d’incidenti tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022) e poi con la profonda crisi in cui si era incanalata HRC, dopo aver perso il proprio pilota leader e senza una guida tecnica precisa. La Honda su cui Marc è tornato, a fine 2022, non era più solo una moto difficile ma costruita su misura del #93, ma un cavallo imbizzarrito per tutti, Márquez compreso.
Dopo aver toccato il fondo al Sachsenring 2023, con un weekend costellato dal venerdì alla domenica mattina da cinque cadute una peggiore dell’altra, l’ombra di un ritiro anzitempo dalle competizioni si è fatta sempre più ingombrante, ma a tendere una mano in direzione del pilota di Cervera è stato, per certi versi, il marchio che forse aveva meno convenienza a compiere una mossa del genere: Ducati. Ovvero la Casa che, per mano di Márquez (quella destra del polso, impiegata a dare gas) aveva perso almeno due titoli mondiali con la mina vagante Andrea Dovizioso, e nonostante un investimento massiccio come quello compiuto su Jorge Lorenzo.
Nonostante l’opinione di massa abbia ipotizzato già il titolo al primo anno in Ducati, c’è voluto un 2024 di apprendistato a bordo di una GP23 vecchia di dodici mesi e in un team privatissimo come quello Gresini, prima di poter vedere il #93 sul cupolino di una Desmosedici ufficiale. Una scena, quella di un campionissimo come Márquez in sella ad una moto privata, a dir poco aliena e per certi versi magica, capace di far comprendere ai più quanto Marc fosse disposto a fare pur di tornare in cima al mondo delle corse, anche subendo netti tagli di stipendio o perdendo il supporto massiccio di un colosso come HRC. Una scelta che pochissimi in griglia compirebbero nella medesima situazione. Forse nessuno.
Persino l’arrivo nello stesso team ufficiale Ducati non è stato privo di complicazioni. L’inutilmente lungo tira e molla con Jorge Martín, futuro campione del mondo di quell’anno e passato poi ad Aprilia, ha fatto sì che l’arrivo di Márquez nella squadra Lenovo sia stato più osteggiato che acclamato. Una situazione, va detto, anche alimentata dal pubblico di massa italiano, sempre un po’ di parte quando si parla di Marc.
Il resto è storia recentissima: sin dalla prima prova in Thailandia Márquez ha fatto capire quale sarebbe stato l’andazzo della stagione 2025, in cui il primo suo vero avversario non sarebbe stato un altro pilota, bensì sé stesso. A parte tre passi falsi ad Austin, a Jerez e nella Sprint di Misano, durante l’intera stagione finora disputata “Todo al Rojo” ha raccolto 541 punti e 25 vittorie (11 Gran Premi, 14 Sprint), per un monopolio pari alle annate più dominanti in Honda pre-infortunio.

Le lacrime e le urla di gioia lanciate dopo il taglio del traguardo a Motegi sono la prova più che evidente di quanto Márquez desiderasse tornare in vetta e di quanto abbia lottato contro le avversità per raggiungerla, anche quando la situazione si è fatta più buia. Basterebbe questo per identificare il 2025 come il suo mondiale più bello (forse insieme al 2016), per decantare le lodi di uno dei piloti indiscutibilmente più forti di sempre del motociclismo e per mostrargli il rispetto che, chi ama questo sport, dovrebbe concedergli normalmente. Il fenomeno quest’anno ha annichilito la concorrenza, in primis colui che più di tutti avrebbe dovuto ostacolare la sua corsa al nono alloro…
FRANCESCO BAGNAIA

“Mors tua, vita mea”. E’ così che il detto latino recita ed è così che, in buona sostanza, si può riassumere la stagione di Francesco Bagnaia se rapportata a quella del compagno di squadra. Per chi, come me, quest’anno si aspettava un confronto diretto tra i due campioni del mondo MotoGP, è rimasto profondamente deluso e principalmente dal torinese, le cui prestazioni sono state non solo al di sotto di quelle di Marc Márquez (per usare un eufemismo), ma lontane anni di luce da quelle di sé stesso nei quattro anni precedenti.
Rispetto alla storia di Márquez, per andare a tracciare un quadro delle difficoltà di Pecco non è necessario andare indietro di chissà quanto. L’annuncio di un nome del calibro di Marc Márquez in arrivo una squadra può certamente spezzare gli equilibri di un box, equilibri che, dal 2021 in avanti, sono sempre stati favorevoli al pilota di Chivasso e per motivi più che giusti, essendo stato, fino al 2025 monstre di Márquez, il ducatista più vincente in griglia (nonostante il largo numero di Desmosedici presenti in pista in questi anni).
Ciò ha sicuramente inficiato sulla storia dell’annata in corso, come anche altri numerosi elementi, ad esempio l’aver perso il titolo 2024 contro il già citato Martín. Sono diverse le ragioni ad aver reso ancora più amara quella sconfitta per Bagnaia e per il box Ducati Lenovo, come il fatto che Jorge avrebbe lasciato la Casa e si sarebbe portato dietro il #1 del campione come sorta di rivincita, i numerosi errori di Pecco e, soprattutto, il fatto che “Nuvola Rossa” abbia perso il titolo nell’anno in cui, paradossalmente, ha corso meglio ed ha sfornato le prestazioni migliori, sia in qualifica che in gara.
Abbiamo già potuto analizzare la storia del campionato MotoGP 2024, evidenziando come i due contendenti abbiano sbagliato in egual misura e la vera differenza a sfavore dell’italiano sia scaturita da almeno tre zeri provocati da colpe non sue, ma indipendentemente da ciò l’albo d’oro reciterà per sempre, alla voce 2024, “Jorge Martín” e non “Francesco Bagnaia”, a dispetto di quante possano essere le vittorie di uno e dell’altro o dall’esistenza delle Sprint Race.
E indipendentemente dalle ragioni o dalle sfortune che hanno intaccato maggiormente la stagione di Bagnaia, quando si perde in questo momento e sbagliando anche in momenti cruciali del campionato è chiaro che possano nascere degli attriti all’interno del box, attriti che, forse, non hanno permesso al gruppo di lavoro attorno a Bagnaia di lavorare al meglio per buona parte dei Gran Premi dell’anno successivo.
Si è perso il conto delle occasioni in cui, al termine di un weekend del 2025, si ha avuto la sensazione che Bagnaia avesse toccato il fondo, prima di scoprire che si potesse scavare un altro po’. Come ad esempio dopo i GP d’Ungheria e di Barcellona, in cui Pecco si è qualificato persino nelle ultime file, per poi arrivare a Misano e concludere il Gran Premio con zero punti raccolti, su uno dei tracciati più amati da lui e dalla Ducati e mentre le altre cinque Desmosedici arrivavano nei primi sei posti.
Anche solo visivamente si poteva constatare che la guida di Bagnaia era lontana anni luce da quella dell’anno precedente in termini di fluidità, soprattutto nelle prove. Tralasciando qualche piccolo lampo, ad esempio ad Austin (gara della domenica tra l’altro vinta, seppur approfittando dell’errore di Márquez), raramente il tre volte iridato è sembrato a proprio agio su questa moto 2025, che veniva più volte allineata alla GP24 ma con cui l’italiano non riusciva a guidare al massimo, nemmeno lontanamente. Tanto da far sospettare più ad una crisi psicologica del pilota, data dall’arrivo dell’ormai ex-otto volte campione (che, intanto, macinava doppiette su doppiette).
Tutte queste difficoltà, tra l’altro, sono arrivate nel momento peggiore possibile per Bagnaia, ovvero con al fianco il fenomeno della vecchia guardia. Durante gli anni d’assenza di Márquez al top, quattro piloti diversi sono diventati campioni del mondo (oltre Pecco anche Joan Mir, Fabio Quartararo e Martín) e l’opinione che nessuno di loro, senza i fatti di Jerez 2020, sarebbe diventato iridato è sempre stata forte.
“Nuvola Rossa”, in questo senso, avrebbe dovuto disputare la stagione con l’intento di dimostrare non solo che la penultima generazione di piloti, di cui lui è uno dei rappresentanti più fulgidi, poteva essere all’altezza di un fenomeno conclamato come Marc al massimo della sua forma, ma anche di come potesse ammortizzare l’arrivo di Márquez, tenendogli testa pure con entrambi su moto ufficiale dopo averlo già fatto in pista in alcuni scontri diretti del 2024 (su tutti la fantastica prova di Jerez, con la storica carenata in curva 10). Gli oltre 250 punti di ritardo in classifica del #63 non hanno fatto altro che alimentare il fuoco di questa critica.
Col passare dei weekend sono cambiati, man mano in peggio, anche i toni del pilota nei confronti della squadra e viceversa, non solo i risultati. Si è parlato di aspettative non rispettate, di scuse non accettabili per l’andamento finale dei fine settimana, di risposte che non arrivavano e di pazienza terminata, da ambo le parti. Una situazione che, evidentemente, non poteva continuare a lungo.
Esiste una sola medicina in grado di curare un box così disunito: vincere. E, proprio nel giorno più bello di Ducati e Marc Márquez, la ciliegina sulla torta è arrivata proprio da Pecco, autore della sua prima doppietta dell’anno. Proprio l’orrendo weekend di Misano Adriatico aveva ridato qualche barlume di speranza a Bagnaia durante i test del lunedì, in cui aveva utilizzato delle componenti 2024 sulla moto 2025 (si parla addirittura dell’intera moto usata da Franco Morbidelli col team VR46).

L’annoso problema della frenata, che ha limitato per molti mesi Bagnaia nella sua caratteristica migliore, è stato risolto tornando alla forcella 2024 ed i risultati si sono visti da subito, con la bella pole position del sabato mattina giapponese (a testimonianza che le ragioni tecniche, alla fine dei conti, c’erano davvero). La conferma più importante, però, è arrivata comunque qualche ora dopo con la vittoria della Sprint (sempre stato un po’ il “punto debole” del ducatista), che ha fatto da preludio al successo di domenica.
Successo che, va ricordato, è stato messo in discussione dalle preoccupanti fumate che stavano partendo dallo scarico. Un ritiro per guasto tecnico sarebbe stato l’ennesimo schiaffo di questo 2025 in faccia a Bagnaia, ma fortunatamente il motore della Ducati ha retto per i nove giri che lo separavano dalla bandiera a scacchi. Sono ora 31 le vittorie in carriera in MotoGP: numeri importanti per l’italiano, coi quali ha eguagliato nomi di un certo calibro come Daniel Pedrosa ed Eddie Lawson.
Il trionfo di Motegi, seppur arrivato nel giorno più bello del compagno di squadra, ha un che di liberazione per Bagnaia, che secondo molti stava patendo, prima di ieri, quella che era la reale differenza tra un buon pilota ed un fenomeno come Márquez (come se per vincere due titoli MotoGP bastasse poco o nulla). Alla fine, la scelta di fare un passo indietro dopo i test si è rivelata quella vincente ed ha sbugiardato chi pensava che la crisi di risultati fosse dettata solo da uno smarrimento del pilota e nient’altro, senza altre possibili sfumature in mezzo.
In ciò non hanno aiutato i soliti media italiani, che per molto tempo si sono affannati nel cercare scusanti per Bagnaia più che motivazioni, paradossalmente facendo più danni che altro e rendendo il #63 meno apprezzabile, agli occhi di chi era stufo di sentire una narrazione completamente incentrata su di lui. Basta bazzicare sui social e sui vari gruppi di Facebook, Telegram o simili per rendersi conto di questa cosa, comunque immeritata per il pilota (l’unico che ci perde davvero).
Nel tentativo di proteggerlo, diversi media hanno persino messo in ballo i track day su delle moto private, compiuti dai piloti Ducati al Balaton Park, per determinare che Bagnaia non avesse perso il proprio tocco magico in moto, confrontando i tempi tra lui e Márquez; come se confrontare dei giri di pista liberi compiuti su delle moto stradali possa evidenziare la reale differenza tra due piloti. Un qualcosa che, per chi segue giornalisticamente il Motomondiale, non dovrebbe nemmeno esser posto.
Tornando a bomba sul campionato MotoGP, parlare di crisi terminata per Bagnaia è comunque ancora prematuro: da solo, un weekend in scioltezza non può far fronte ad un’intera stagione di sofferenze. In questo senso, queste ultime gare stagionali ormai prive di grandi pressioni per lui ed il resto del team, potrebbero fornire il banco di prova perfetto per Pecco ed il prossimo weekend di gara in Indonesia, al Mandalika Street Circuit, capita a fagiolo.
JOAN MIR

A Motegi si è assistito a quello che, a tutti gli effetti, è un podio tutto rosso. Oltre alle due Ducati Lenovo, sul terzo gradino è salito Joan Mir, alla guida della Honda Castrol dotata dei classici colori della Casa di Tokyo.
Mir è il terzo pilota che lascia Motegi con la sensazione di essersi preso un’importante rivincita su molti dei suoi detrattori, in buona parte per gli stessi motivi che hanno intaccato la figura di Bagnaia secondo l’opinione pubblica. Se già i titoli di Pecco, Quartararo e Martín vengono contestati per le motivazioni descritte in precedenza, sull’alloro 2020 le critiche all’indirizzo di Mir sono state ancora più forti, dato che nell’unica uscita di Jerez Márquez aveva dimostrato, fino a quattro giri dalla fine, quale fosse la sua superiorità.
La figura del “campione di cartone” associata a Mir ed ingiustamente attribuitagli, dato che vincere un campionato (anche ridotto in numero di gare) necessita sempre e comunque un approccio corretto per poter prevalere sugli avversari, ha praticamente segnato la carriera di Joan anche negli anni a venire. La stagione 2021 del #36 sulla Suzuki è passata ingiustamente in sordina, quando si tratta, risultati alla mano e comparati con le qualità del mezzo tecnico, della miglior stagione del maiorchino da quando è in MotoGP.
Sono stati 11 gli arrivi in top five di Mir nel 2021 su diciotto appuntamenti, ottenuti a bordo di una GSX-RR che aveva perso, nel giro di un solo anno, il proprio vantaggio più grande: la gentilezza sulle gomme. Nonostante ciò, il terzo posto nel campionato di quell’anno aveva aumentato la considerazione di alcune persone su quanto fatto nel 2020 dall’ex-campione Moto3, ma non a sufficienza.
Le note davvero dolenti sono cominciate dal 2022, poi sono diventate completamente stonate dal passaggio in Honda per il 2023. L’ultima stagione in Suzuki è stata costellata dai troppi errori e l’infortunio rimediato in Austria ad una caviglia in seguito ad un high-side, che l’ha costretto a saltare ben quattro gare e a concludere la stagione in chiaroscuro. Poi, il traumatico passaggio alla RC213V, come compagno di Márquez e su una moto il cui tracollo tecnico era ormai appurato.
Come Pecco quest’anno, anche Mir in Honda ha dovuto fare i conti con la differenza che Marc è in grado di fare sulla moto, ma per Joan il biennio 2023-2024 è stato tragico per il numero semplicemente abnorme di cadute e di carene distrutte. Delle 17 scivolate compiute nella scorsa stagione, la stragrande maggioranza di esse è arrivata nelle manche corte e lunghe della MotoGP.
Il 2025 è iniziato con qualche spiraglio di luce in più, grazie anche ad una Honda che stava rimboccando la retta via sotto la guida di un nuovo direttore tecnico, Romano Albesiano arrivante dall’Aprilia, e con un nuovo tester di lusso, Aleix Espargaró. Questa coppia è stata capace di prendere la deludente RS-GP e, in qualche anno, renderla una moto capace di giocarsi podi, vittorie e persino il titolo 2022.
I frutti del lavoro di HRC si sono concretizzati ben prima del previsto, ma a raccoglierli non è stato Mir né tantomeno Luca Marini, suo compagno di squadra già da un anno. A beffare entrambi i piloti ufficiali è stato Johann Zarco inizialmente, assicurandosi un’impronosticabile vittoria a Le Mans sul bagnato ed un secondo posto a Silverstone.
Anche quando le performance, con l’arrivo in Europa, sono cominciate ad arrivare, per Mir non c’è stata tregua. Oltre a qualche errore, anche la sfortuna ha cominciato a tartassarlo, col #36 vittima di numerosi contatti provocati da altri, ad esempio al via di Le Mans (l’ingresso di Enea Bastianini che fa cadere sia lui che Bagnaia), lo strike subito nella Sprint di Aragón (da Jack Miller) oppure nei tre Gran Premi consecutivi di Germania, Olanda e Cechia, in cui l’ex-iridato è stato messo fuori gioco, nell’ordine, da Ai Ogura, Fermín Aldeguer ed Álex Márquez.

Il Gran Premio di Motegi, nel suo complesso, ha permesso a Joan di raccogliere finalmente i frutti di un lavoro sfiancante e che più volte è sembrato non portare da nessuna parte, quando invece l’impegno profuso dalle squadre e dai piloti MotoGP, anche i più in difficoltà, è sempre ai massimi livelli. In tal senso, la volontà di Mir nel non arrendersi in quest’avventura con Honda, dicendo a chiare lettere di aver rinnovato per un altro biennio proprio per “evitare che si concludesse come un totale fallimento”, è encomiabile.
Il primo podio della Honda, proprio sulla pista di casa e di proprietà dell’Ala Dorata, è la prova tangibile di come anche il colosso giapponese stia tornando sulla mappa delle Case più competitive in MotoGP, per tentare quell’inseguimento a Ducati che, forse, ora appare meno impossibile di quanto non sia sembrato in precedenza. E chissà che nel 2027 l’accoppiata Mir-Honda non possa pescare un altro jolly col nuovo regolamento…
Tutt’e tre i protagonisti di questo weekend, tutt’e tre pluricampioni del mondo e tutt’e tre iridati MotoGP, hanno quindi reagito ai rispettivi momenti di difficoltà, rinascendo in quella che è la Terra del Sol Levante. La MotoGP, come sport, è un mondo che in certe situazioni sa essere freddo e spietato e, dopo anni sulla cresta dell’onda, possono bastare una manciata di gare storte o fallimentari per riportarti al punto di partenza e per perdere la considerazione della massa.
Tuttavia, Márquez, Bagnaia e Mir hanno dimostrato che, con la forza di volontà e tanto impegno, ci si può risollevare anche dalla fossa più profonda, mostrando il lato più bello ed umano delle corse. Complimenti a loro.
Fonti immagini: mediahouse.ducati.com, hondaracingcorporation.com
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