Potrà sembrare paradossale, ma quello di Martín iridato MotoGP con (molte) meno vittorie non è un caso isolato nella storia.
Il sipario sul campionato MotoGP 2024 è stato calato. Dopo un batti e ribatti continuo durato da marzo a novembre, la rivincita tra Francesco Bagnaia e Jorge Martín si è conclusa ieri pomeriggio con la conquista, da parte di quest’ultimo, del titolo nella top class. Il coronamento di un sogno che pone “Martinator” sul tetto del mondo delle due ruote su pista, un posto che gli spetta di diritto dopo quanto visto quest’anno e anche nel 2023.
Un risultato che, per certi versi, può sapere anche di “sgarbo”, da parte dello spagnolo, nei confronti della Ducati, la Casa per cui ha vinto ma che gli ha preferito Marc Márquez per la promozione nel team ufficiale. La Casa a cui Jorge risponderà passando in Aprilia, portandosi via il #1 del campione del mondo.
Un risultato, però, anche osteggiato da alcuni media, opinionisti e tifosi sfegatati per la dinamica con cui esso è giunto. A fronte delle tre vittorie nei Gran Premi conquistate da Martín (Portogallo, Francia ed Indonesia), il suo diretto avversario Bagnaia ne ha raccolte ben undici (non accadeva dai tempi d’oro di Marc Márquez che un pilota conquistasse così tanti GP in una singola stagione della MotoGP), appiglio su cui certe persone si stanno poggiando per dichiarare che il “campione morale” del 2024 sia Pecco. Cercherò di analizzare su più fronti quest’opinione, per far capire come mai io la ritenga sbagliata.
IL PUNTEGGIO
Cominciamo a parlare del sistema di punteggio che utilizza il Motomondiale, uno dei temi su cui si è dibattuto: ideato nel 1993, il Gran Premio della domenica assegna da allora 25 punti al vincitore, 20 al secondo classificato e 16 al terzo, per poi scalare gradualmente fino alla 15a posizione.
Si tratta di un sistema di cui oramai abbiamo fatto l’abitudine, fortemente collaudato e che, a pura opinione personale, troverei quasi strano nel non veder più utilizzato da parte del Circus. Ma, soprattutto, si tratta di una spartizione dei punti mai fortemente osteggiata; non solo dagli addetti ai lavori, dai media o dai fan, ma anche dagli stessi piloti, che non si sono mai sentiti in dovere di metterlo in discussione.
Attenzione: questo non significa che il sistema di punteggio non possa essere criticato; quello che dico è di non criticarlo solo quando fa comodo. Inoltre, non stiamo parlando di un sistema di punteggio che prevede playoff stile Nascar o round con punteggi differenti come accade nel BSB, dove personalmente faccio ancora oggi fatica a comprendere il senso di creare degli eventi più valevoli di altri in termini di punti assegnabili (come nel cosiddetto Showdown).
Fortunatamente il Motomondiale non si è ancora impelagato in queste soluzioni pro-spettacolo, volte ad aumentare l’incertezza e a dir poco discutibili nel far vincere il pilota effettivamente più meritevole… ma ehi, ora c’è Liberty Media a condurre la baracca, quindi prepariamoci alle peggio schifezze.
LO SBILANCIO DELLE VITTORIE
Molti hanno definito “scandaloso” che un pilota con 11 GP vinti possa perdere il titolo contro un altro pilota capace di vincerne solo tre; eppure, la storia del motorsport (a due ma anche a quattro ruote) ci ha insegnato più volte che vincere tante gare non è sinonimo di un mondiale assicurato.
Basti pensare al ricordatissimo 2006, anno in cui la MotoGP vide la sconfitta, impronosticabile ad inizio anno, di Valentino Rossi: a fronte delle cinque vittorie ottenute da “The Doctor”, il suo rivale Nicky Hayden ne ottenne solo due, ma furono sufficienti a cogliere un inaspettato titolo mondiale, grazie alla costanza e ai tanti ritiri patiti dal #46.
Se non si vuole tornare così indietro, basta riportare la mente ad una decina di anni fa, al 2013: il primo mondiale ottenuto da Marc Márquez in MotoGP, come si potrebbe erroneamente ricordare, non lo vide nel ruolo del rullo compressore contro gli avversari, anzi. Le sei vittorie del “Cabroncito” vennero surclassate dalle otto perle di Jorge Lorenzo, il quale però finì comunque secondo nel mondiale.
Anche nelle derivate di serie si è assistito a dinamiche simili. Nel 2001 il mondiale della Supersport venne deciso all’ultimo appuntamento di Imola, con Andrew Pitt incoronato campione del mondo con la bellezza di zero vittorie durante l’arco della stagione (e grazie anche all’inaspettato aiuto da parte di Karl Muggeridge, che proprio in quella manche stese Paolo Casoli, autore di tre vittorie nel corso dell’annata).
Si vuole dare uno sguardo anche alla Formula 1? Benissimo: nel 1987 la sfida per il titolo fu tra le Williams-Honda di Nigel Mansell e Nelson Piquet, col “Leone d’Inghilterra” capace di conquistare sei vittorie contro le “sole” tre del brasiliano, che però ebbe la meglio alla fine. Tutto grazie ad una sfilza di secondi posti e ai diversi ritiri patiti dall’inglese, che allargarono la forbice di punti tra lui ed il carioca.
Questi sono solo alcuni di numerosissimi esempi che potrei ancora fare per far capire come un maggior numero di vittorie non sia sinonimo di un titolo assicurato e, parlando di ritiri, non si può non affrontare l’argomento quando si parla del duello tra Martín e Bagnaia.
GLI ERRORI
Osservando molto banalmente gli zeri in classifica, la costanza di Martín è stata migliore. Probabilmente non la migliore di sempre se confrontata ad altre campagne iridate (anche se stiamo comunque parlando, nel presente, di quaranta gare tra corte e lunghe), ma superiore quel tanto che basta a quella di Pecco per portarsi a casa il titolo. Tuttavia, se si parla di errori dei piloti al 100%, questo loro confronto è più alla pari di quanto si possa pensare.
“Martinator”, infatti, paga quattro cadute nel corso della stagione e, aggiungendo anche la svista strategica di Misano 1 (gara comunque conclusa al 15° posto, quindi non con uno zero tecnicamente), il numero degli errori sale a cinque. Pecco, come sbagli totalmente o in buona parte imputabili a lui, è alla pari con lo spagnolo (personalmente ho contato anche lo scontro con Marc Márquez a Portimão, definito incidente di gara ma per cui ritengo che l’ex-#1 avesse qualche responsabilità in più).
A non aiutare il pilota di Chivasso sono gli altri tre colpi a vuoto incassati durante l’anno, dovuti più a cause esterne che a colpe dirette: l’incidente con Brad Binder nella Sprint di Jerez, il ritiro per noie tecniche nel sabato di Le Mans e la carambola con Álex Márquez ad Aragón. Si può pensare che la fortuna abbia quindi giocato un ruolo cruciale nella sfida tra i due ducatisti… ma sono le corse e, per quanto ingiusto, anche la sorte diventa una componente essenziale, specie in un confronto così tirato e tecnicamente alla pari (come mezzi e anche come livello dei piloti in gara).
Sicuramente ciò non rende Martín immeritevole dell’alloro ottenuto, specie se consideriamo che Bagnaia stesso è stato causa del suo male. Alcuni errori banali e piuttosto sciocchi, denunciati dallo stesso Pecco a mondiale terminato, gli hanno tolto punti importanti, su tutti le cadute nelle Sprint di Silverstone e di Montmelò 1.
L’ESISTENZA DELLE SPRINT
E a proposito di Sprint, ecco un altro punto caldo su cui mi permetto di obiettare. E il bello è che mi sento scemo nel dover in qualche modo difendere l’esistenza di una delle trovate a me meno gradite degli ultimi anni di motorsport a livello globale.
Perché sì, io osteggio platealmente e pubblicamente le manche brevi (non solo in MotoGP ma anche in F1 e in SBK) per innumerevoli ragioni (i maggiori rischi per i piloti, il fatto che tolgano indirettamente importanza al GP, eccetera), tuttavia la loro esistenza oramai è consolidata e di ciò non possiamo farci nulla. Potremmo smettere di guardarle, ma vista la loro importanza sarebbe sciocco autoimporsi di non guardare ciò per cui si ha una passione.
Esse sono una novità a cui i piloti della classe regina hanno dovuto far fronte e, per chi lotta per il mondiale, un qualcosa che bisogna massimizzare. Diventare forti anche nelle Sprint non è solo un’arma in più su cui contare, ma una vera e propria prerogativa per chi punta al massimo risultato dato che, al contrario di quella in F1, la Sprint della MotoGP è presente in ogni weekend agonistico.
Il fatto che Martín abbia saputo interpretare meglio le manche corte rispetto al suo avversario deve quindi essere considerato un pregio a suo favore, non un motivo per denigrarlo. Forse senza di esse la storia di questo mondiale sarebbe stata diversa, o forse no: il lavoro che un pilota affronterebbe durante un weekend non sarebbe lo stesso senza le Sprint e quindi Jorge, potenzialmente, avrebbe potuto vincere più Gran Premi e trionfare comunque nella classifica finale. Chi lo sa.
CONCLUSIONI
Avere l’ardire di affermare che Bagnaia sia il vero campione in quanto più meritevole è, dunque, un ragionamento fortemente sbagliato su molteplici fronti, anche perché lo stesso Bagnaia ha decantato le lodi del suo avversario, definendolo degno di questo titolo. C’è chi potrebbe dire che sono dichiarazioni di facciata, ma la signorilità di Pecco, da quando è un protagonista in MotoGP, dovrebbe oramai essere cosa nota a tutti, perciò non ci si dovrebbe stupire nel sentire queste parole e nel definirle sincere.
Inoltre, questa difesa a spada tratta superflua esageratamente a favore del torinese non fa bene alla sua immagine, tutt’altro: se c’è una cosa di cui Bagnaia non ha bisogno è sicuramente l’esser definito il vincitore morale di questa sfida. Pecco ha difeso con onore e da vincente questo titolo, e questo dovrebbe bastare ai suoi veri sostenitori (nonostante la giusta delusione per la sconfitta).
Per quanto riguarda Martín, a lui non possono che andare gli elogi per un mondiale per cui, probabilmente, ha lottato come un leone, forse nella consapevolezza che i prossimi anni con Aprilia, almeno inizialmente, saranno più avari di soddisfazioni. Bravo Jorge, sei tra i grandi e te lo meriti.
Fonti immagini: Facebook / Jorge Martin Almoguera, Pramac Racing, mediahouse.ducati.com
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