Tradizione e storia sono e devono restare fondamentali per la F1, a patto però di rimanere al passo
La dichiarazioni riportate da Stefano Domenicali a RAI GR parlamento sul futuro degli autodromi italiani in F1 ha aperto qualche polemica sulla possibilità di non vedere in futuro l’Italia protagonista nel Circus.
Come sapete, rappresento probabilmente una delle figure più critiche sull’operato di Liberty Media e su come ha trasformato la Formula 1 (secondo me non sempre in meglio) da quando ne è diventata proprietaria. Per questo sono stato anche messo praticamente alla gogna ma poco importa, al momento la libertà di espressione è ancora garantita. Per come la vedo, in molte cose Liberty rappresenta un cambiamento che non approvo perché improntato a liberarsi della tradizione – in termini di piste e vecchio pubblico – al fine di avere un prodotto più fresco e dal popolo più malleabile.
Al contempo, va fatto un discorso obiettivo: i nostri due autodromi principali hanno bisogno di adeguarsi non solo per continuare ad essere fruibili e considerati dalla F1, ma anche dal resto del Motorsport.
Sono il primo a dire che vedere Las Vegas e magari New York e non più Monza ed Imola sarebbe una bestemmia e un insulto alla storia della F1, però tanti di voi ad Imola e Monza sono stati sicuramente più volte di me con il brutto tempo, per fare un semplice esempio. Fango, difficoltà di gestione degli accessi (non parliamo dei controlli e degli ombrelli tolti mentre diluvia, lasciamo stare…), infrastrutture che sono rimaste indietro come il muretto della foto di copertina, che fino a pochi anni fa campeggiava sotto le tribune dell’Ascari.
Attenzione: parlo di infrastrutture minime, quelle che servono agli appassionati per poter vivere un’esperienza moderna in autodromo. Viabilità, accessi, tribune, servizi vari. Non mi riferisco di certo alla necessità di avere sempre più VIP che sfocia nello sloggiare i media dalle sale stampa per finire in sistemazioni temporanee o di ripiego. È anche vero che è stata la stessa Liberty ad alzare gli standard richiesti, questo va detto. Ma qui parliamo davvero di strutture basilari e non del “baraccone” a corredo per fare di un GP di F1 un vero e proprio evento.
Inoltre, è inutile girarci attorno, purtroppo è vero che la burocrazia in questo paese rallenta tutto. Sono anni che si sente parlare di lavori a Monza e – forse – solo a metà gennaio partiranno. Ma è da tempo che il nostro Autodromo Nazionale è sotto l’occhio del ciclone ed è da anni che le pratiche del rinnovo del GP di F1 somigliano più ad un parto plurigemellare, ogni santa volta.
Considerate le richieste che la F1 ha per ospitare gare ovunque, forse dovremmo addirittura essere grati di avere addirittura due appuntamenti in calendario in questo momento, sebbene Imola sia arrivata paradossalmente grazie al Covid. Certo, averne tre – col rischio che diventino quattro – negli USA fa venire i capelli dritti. Migrare il baricentro della F1 sempre più nel continente americano dall’Europa è una tra le cose che non condivido assolutamente.
Va però capito che, per restare al passo, bisogna almeno garantire il minimo. Silverstone e Spa in questi anni si sono date da fare, e non sono le uniche. È necessario che anche Monza, almeno lei, alzi lo standard. Perché purtroppo è vero: la storia e la tradizione sono fondamentali e non andrebbero mai scalfite (e neanche tolte dal calendario), ma non possono diventare scusa per restare indietro.
Immagine: P300.it
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