Blog | Lo stato di salute del motorsport nel 2025: la continua complicazione di formule molto semplici

Autore: Alyoska Costantino
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Pubblicato il 2 Giugno 2025 - 15:00
Tempo di lettura: 8 minuti
Blog | Lo stato di salute del motorsport nel 2025: la continua complicazione di formule molto semplici
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Più passa il tempo più si tenta di rendere le corse più spettacolari, col risultato che stanno diventando sempre più confusionarie.


Otto giorni fa, in un weekend come al solito ricchissimo di motorsport, si è assistito al Gran Premio di Monaco della F1, gara che ha visto trionfare Lando Norris su McLaren; la Casa di Woking non vinceva nel Principato addirittura dal 2008, un’epoca che sembra lontanissima ma che alcuni di noi, specie chi ha qualche anno in più sulle spalle, non ha dimenticato.

Tuttavia, l’edizione 2025 della gara a Montecarlo è passata alla storia non tanto per i risultati, quanto più per il doppio pit stop obbligatorio voluto dalla F1 Commission nel tentativo maldestro di cercare di rendere la corsa nel cittadino più entusiasmante ed imprevedibile. Il risultato, in realtà, è stato l’esatto opposto: i piloti, per volere delle squadre, non si sono tirati indietro dal calare il ritmo girando anche di diversi secondi più piano rispetto al passo gara ideale o quantomeno fattibile, in modo da evitare l’undercut dei rivali alle spalle e mantenere le posizioni congelate, anche sfruttando l’aiuto (volontario o meno) dei rispettivi compagni di squadra.

Sul discorso in merito allo scempio visto e all’ideologia completamente sbagliata di voler spettacolarizzare una gara in maniera forzata, Alessandro Secchi vi ha dedicato una succosa bloggata che v’invito a leggere. Io, invece, oggi vorrei soffermarmi su una tendenza più generale, che non coinvolge solo il mondo della F1 ma quello del motorsport a tutto tondo: il voler rendere la fruizione del motorsport più complessa ed indecifrabile, sacrificando senza ritegno un aspetto cruciale come la semplicità.

Già tempo fa mi ero espresso sul fatto che l’aspetto della semplicità, applicato alle corse, sia fondamentale: al contrario degli sport prettamente atletici come il calcio, la corsa, il nuoto e tanti altri, il motorsport mostra delle complessità, soprattutto di stampo tecnico, che difficilmente possono essere comprese dalle menti di coloro che, non sapendo nulla di motori, possono trovarlo dunque noioso da seguire o poco degno d’attenzioni.

Questo, ovviamente, non è per sminuire tutti gli altri sport citati in precedenza, e molti altri. Persone più esperte e che seguono le rispettive discipline da più tempo sono sicuramente in grado di regalare qualche finezza in più, qualche commento più tecnico, qualche chicca che può sfuggire allo spettatore medio, in sostanza il lavoro che un giornalista esperto del settore deve fare. Tuttavia, le complessità che una categoria motorsportiva si porta dietro (qualunque essa sia) sono maggiori: basti solo pensare alla presenza di un regolamento tecnico per vetture, attrezzature, ricambi, vestiario dei piloti, eccetera.

Non potendo scavalcare del tutto quest’ostacolo, non può che essere compito dell’organizzatore o del promoter di tal campionato cercare di rendere ciò che si vede il più comprensibile possibile, puntando dunque sul semplificare le formule dei weekend, i format, i regolamenti sportivi e così via.

Al contrario, la tendenza degli ultimi anni pare sia stata quell’inversa, con la complicazione, a volte superflua, di formule già più che collaudate. E per quanto sia giusto puntare sempre a migliorarsi e a rinnovarsi, a volte bisogna comprendere che la parola “cambiamento” non è per forza sinonimo di “miglioramento”.

Le categorie a quattro ruote, in questo, danno gli esempi migliori (o peggiori, dipende dai punti di vista) e tra tutte la F1 rappresenta forse quello più lampante. Non solo perché stiamo parlando del pinnacolo del motorsport, ma anche per la serie di stravolgimenti continui che si sono visti negli ultimi vent’anni almeno, quindi ancor prima dell’arrivo di attori sulla scena quali Liberty Media.

Parlando dell’azienda di mass media, ci tengo a fare una piccola ma doverosa parentesi sull’operato di Liberty. In primis, va fatta la premessa che cercare di estendersi ad altre fette di pubblico, magari quelle più giovani ed inesperte di Formula 1, non sia necessariamente un male. L’importante sta nel come cerchi di agire per compiere questa scelta, ed è qui che casca l’asino perché, anche tralasciando l’aspetto mediatico (cavallo di battaglia di Liberty Media), ciò su cui si sta sbagliando è appunto il voler rendere meno comprensibile il prodotto F1 quando si parla di ciò che si vede in pista, non invertendo la tendenza descritta in precedenza.

In ciò, il colosso americano ha probabilmente solo deciso di saltare completamente lo squalo, perché se l’aspetto sportivo veniva, bene o male, sempre “protetto” dalla gestione di Bernie Ecclestone, con quella portata avanti da Liberty Media si è preferito puntare più sulla casualità e sul cercare di rendere più imprevedibili, anche in maniera forzata, le gare e i weekend. E’ vero che sulla carta l’azienda a stelle e strisce non avrebbe controllo sul piano sportivo, ma a lato pratico è impossibile negare la forte influenza che ha.

I ripetuti cicli regolamentari ad intervalli piuttosto brevi, l’introduzione delle direttive tecniche a stagioni in corso (sfruttate quasi fossero dei “Balance of Performance” sotto mentite spoglie) e la nascita delle Sprint Race sono elementi che rendono chiarissimo il tentativo, da parte degli attuali attori al comando della F1, di cercare di rendere il risultato del Gran Premio successivo (se non dell’intera stagione) meno scontato, più incerto.

A Monaco, con la scelta d’introdurre il doppio pit stop obbligato, si è forse arrivati al culmine. Proprio sulla pista che più di tutte rappresenta ancora lo spirito più “puro” delle corse e della F1, in cui l’interesse non dovrebbe nascere dal numero di sorpassi quanto più dalla precisione di guida dei piloti tra i muretti del Principato, si è tentato il tutto per tutto proponendo questa soluzione che, a conti fatti, non ha portato i frutti sperati.

Anche questa scelta delle due soste obbligatorie, però, rende meno chiara e comprensibile la visione per un pubblico più generalista e meno esperto, essendo una regola introdotta solo per questa gara. Già la singola fermata ai box obbligata (regola introdotta diversi anni fa, anche prima dell’epoca Liberty Media) per cambiare necessariamente pneumatici anche quando non ce n’è bisogno è abbastanza scandalosa e la scusa che viene spesso sentita, ovvero che “rende le strategie più imprevedibili” è pura fantasia.

L’aspetto strategico in Formula 1 è da anni importantissimo, ma come si fa a dire che ciò viene reso più imprevedibile da una regola che obbliga tutti quanti, senza distinzioni, ad una fermata ai box? Sono sinceramente perplesso che esista questa convinzione, che con l’imposizione di un vincolo le strategie possano essere più disparate, quando è l’esatto contrario. Figuriamoci mettendo un vincolo ancora più ferreo.

Ciò tra l’altro si scontra con i veri problemi che Monaco mette in evidenza più di tutte le altre gare, ovvero la natura di queste macchine. Troppo larghe, troppo lunghe, troppo pesanti e poco maneggevoli nei cambi di direzione: vetture, tra l’altro, con cui i piloti sono sempre “imbrigliati” ed impossibilitati a spingere al limite, vuoi per le gomme, per il consumo del carburante o per evitare l’usura delle numerose componenti della power unit, le cui sostituzioni sono oggetto di penalizzazioni.

Paradossalmente, la fase più emozionante del Gran Premio di Montecarlo di due domeniche fa è stata quella finale, quando tutte le soste sono state smarcate e tutto ciò che si poteva fare, per guadagnare posizioni, era attaccare. Negli ultimi quindici giri circa Charles Leclerc, su Ferrari, è rimasto incollato al posteriore della McLaren #4 nel tentativo di indurre Norris all’errore, con l’inglese che ha però retto bene la pressione.

Questo esempio fa comprendere perfettamente come lo spettacolo vero, quello genuino e quello a cui si dovrebbe seriamente puntare per rendere la propria categoria più interessante per tutti (grandi e piccini, esperti e casualoni), sia questo. Ma possiamo fare benissimo altri esempi.
Perché gli undici giri di Imola 2005 e la battaglia tra Fernando Alonso e Michael Schumacher sono passati alla storia?
Perché il sorpasso di Nigel Mansell su Gerhard Berger a Messico 1990 è ancora oggi leggenda?
Perché la rimonta dello stesso Alonso a Valencia 2012 viene considerata un’impresa?
Per la purezza di ciò a cui si stava assistendo.

E’ a questo che la F1, indipendentemente da ciò che viene fatto lato social o mediatico, dovrebbe puntare sul piano sportivo, ma è anche ciò a cui tutte le categorie motorsportive dovrebbero puntare, indipendentemente dalla loro importanza o blasone storico.

Se guardo il panorama attuale del motorsport e a ciò che è stato fatto a beneficio dell’imprevedibilità, c’è da mettersi le mani nei capelli. Soluzioni come l’Attack Mode in Formula E, la Sprint in MotoGP, la SP Race o l’uso dei flussometri in SBK, lo stesso BoP continuamente aggiornato del WEC, i playoff della Nascar, le Triple Crown del Supercross, lo Showdown nel BSB, il Super Sunday del WRC e molte altre scelte avrebbero dovuto portare più incertezza (intesa come qualcosa di positivo) in una serie, ma che, almeno in certi casi, non fanno altro che rischiare d’allontanare il pubblico confuso.
In fondo, perché seguire qualcosa che non si riesce a comprendere?

Sono pochi gli esempi delle categorie che hanno cercato, pur rimanendo al passo coi tempi, di mantenere inalterata la propria purezza: mi vengono in mente i campionati MX2 e MXGP, che hanno tenuto fede al concept collaudato di Gara 1 e Gara 2 la domenica, aggiungendo solo i punti al sabato ma senza snaturare la Gara di Qualifica, rendendola solo più importante ai fini della classifica.

La speranza è che un giorno chi sta al comando delle massime categorie mondiali si svegli dal torpore e comprenda cosa davvero significhi il motorsport e che per renderlo godibile basterebbe renderlo più semplice e meno contorto. Speranza, ahimè, sempre più flebile.

Fonte immagine: ferrari.com

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