Gli Oasis tornano insieme dopo tre lustri. Con il loro periodo d’oro che coincideva con una F1 che gli adolescenti li catturava davvero
Se potessi tornare indietro e dedicare una canzone alla F1 del tempo degli Oasis, quella che, per chi è nato negli anni ’80 o nei ’90, era pane e acqua dell’era adolescenziale, sarebbe sicuramente “Don’t go away”.
“So don’t go away, say what you say – Say that you’ll stay forever and a day”
La reunion degli Oasis riporta a un periodo di musica fantastico per quella generazione. Riascoltare ora le hit più belle fa venire i brividi. Associare quelle canzoni (così come altre) alla F1 di quel periodo è un esercizio che aiuta ancora di più la mente ad inquadrare ricordi e momenti. Momenti nei quali l’imperativo era to “be here, now”: sul divano… un po’ come adesso, a guardare i propri idoli.
La rincorsa della Ferrari al titolo potremmo ricordarla come “The Masterplan”. Quello al quale nessuno credeva e che, “Little by Little”, andò a prendere forma e a concretizzarsi, creando quell’indimenticabile “Champagne Supernova” sul podio di Suzuka, l’8 ottobre del 2000.
Non senza scossoni, non senza sportellate, non senza momenti terribili. Chissà se David Coulthard avrebbe voluto dire a Schumi “Don’t look back in anger” dopo Spa 1998. Sicuramente ne hanno parlato dopo.
Quella F1, pur con tutti i suoi problemi, resta forse il punto più alto per chi ha passato gli anta o ci è molto vicino. I motori che strillavano, i caschi inconfondibili fuori dall’abitacolo, gli stickers sulle gomme nuove prima del giro della morte in qualifica. Con le monoposto che danzavano in meravigliosi “Slide Away” – alla Spa ’95 – con foto iconiche degli eroi di quel periodo che, stampate a dimensioni giganti, potrebbero diventare dei veri e propri “Wonderwall”.
Alla fine lei, la F1, è sempre lì appoggiata sulla spalla a sussurrare “Stand by me”. Tanti mi hanno detto e mi dicono ancora “Go let it out”: dopo le ultime settimane, una parte di orecchio è anche stata ad ascoltare. Eppure, la voglia di essere un giorno “All around the world” resta sempre lì. E, anche se spesso c’è da “Stop crying your heart out” (metaforicamente, per lo meno), non ci si ferma.
“Whatever” it takes.
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