Suzuka 2014 è un dolore che non passa e non passerà mai. Soprattutto, un dolore che si poteva evitare
Il 5 ottobre 2014 è una delle giornate più brutte che la F1 abbia vissuto nella sua lunga storia. Vent’anni dopo Imola 1994 si pensava che si fosse fatto così tanto per la sicurezza, attiva e passiva, che il pericolo di un incidente mortale fosse non tanto scongiurato (quello non succederà mai) ma almeno ridotto al lumicino.
Quella fredda e piovosa mattina giapponese e, purtroppo, quanto successo nei giorni successivi, avrebbe spazzato le certezze costruite in vent’anni. Jules Bianchi ci avrebbe lasciati nel luglio dell’anno successivo, ma l’incantesimo di una carriera potenzialmente florida ha una data di scadenza precisa: quella di una mattinata che sarebbe potuta, anzi doveva, andare diversamente.
Che quella gara si potesse e dovesse fermare non è e non era solo una sensazione, ma una richiesta che arrivava direttamente dai piloti, i primi protagonisti e i primi giudicanti delle condizioni di una pista. La gara era già stata fermata una prima volta. Il cielo era scurissimo, la visibilità nulla con l’acqua che continuava a scendere copiosa. Più di un pilota si era aperto via radio per segnalare che non c’erano le condizioni per continuare. Ma sapevamo e sappiamo che i contratti TV hanno spesso avuto la meglio anche sul buon senso.
Quello che successe poco dopo è il classico incastro di dinamiche proprio delle tragedie, come il braccetto della sospensione di Ayrton che, cinque centimetri più in là, non ce l’avrebbe portato via. Una gru in via di fuga per recuperare una vettura e un’altra monoposto che, perso il controllo sullo strato d’acqua, vola fuori nella stessa zona, colpendo proprio quel mezzo di recupero. Uno schianto inimmaginabile per le forze chiamate in causa. 700 kg di monoposto contro tonnellate di mezzo pesante.
Le avvisaglie c’erano state tutte ma non sono state ascoltate. Si pensava di essere safe. E proprio quando si pensa di essere al sicuro arriva l’evento che cambia tutto. Allo sconcerto per una gara che poteva e doveva essere neutralizzata o fermata – non perché lo dico io che non conto nulla, ma perché erano i piloti a chiederlo – esattamente come la prima volta, si aggiunse poi la tragicomica indagine interna della FIA, che non fece altro che legittimare il suo operato, autoassolvendosi e scaricando di fatto addosso a Jules le colpe di non aver rallentato con doppia bandiera gialla; situazione per la quale la stessa Federazione, negli anni, aveva chiuso occhi e orecchie invece di penalizzare a dovere i suoi piloti.
La non assunzione della minima responsabilità da parte della FIA e del compianto Charlie Whiting fu un colpo durissimo. Invece di ammettere che avrebbe dovuto ascoltare di più i piloti, la Federazione non fece altro che lavarsene le mani sul momento, per poi partire con una campagna di prevenzione che ben conosciamo, soprattutto nei casi di pioggia. Segno che, anche se non ammettendolo pubblicamente, in certi uffici si era capito benissimo che Suzuka era stata una figura troppo grossa per non cambiare le cose.
C’è chi ora si indigna quando, con il diluvio, non si gira. Oppure scatena il suo odio sulla F1 o sui piloti se, in casi limite come Belgio 2021, non si corre proprio. Per chi non c’era al tempo di Suzuka – in molti, dato il rinnovo del pubblico portato da Liberty Media – tutto questo nasce dal 5 ottobre 2014. Un giorno in cui un ragazzo di 25 anni, nel pieno della rincorsa al suo sogno, smise si sorridere per la volontà di portare a tutti i costi a termine una gara che doveva essere fermata. Un pilota che aveva il diritto di sbagliare e che fu accusato del suo incidente da chi doveva vigilare anche su di lui. Una giornata disastrosa, sotto mille aspetti, che ci ha tolto un ragazzo prima che un pilota. Per questo ricordare oggi quel giorno, dieci anni dopo, fa ancora malissimo.
La F1 del 2024 è profondamente diversa da quella di dieci anni fa sul fronte della sicurezza. Se lo è, è anche per quanto successo quel giorno. Contrariamente a quanto si dice, Halo non sarebbe stato sufficiente a salvare Jules per il danno che ha subito, ma la sua introduzione (i cui studi partirono dai casi di Massa e Henry Surtees, nel 2009) è stata essenziale per salvare la vita ad un altro ragazzo che, sotto l’ala protettiva di Jules, stava iniziando la carriera. Era il 2018, la F1 era a Spa-Francorchamps e quel ragazzo si chiamava e si chiama Charles Leclerc. Oggi sarà tra i pochi ad avere per Jules un ricordo ancora più profondo, com’è giusto che sia. Un abbraccio va a lui così come a tutta la famiglia Bianchi.
Un pensiero, in questa giornata, va anche ad Andrea De Cesaris. Che, in quella stessa mattina del 5 ottobre, ci lasciò in un incidente stradale a Roma. Una tragedia che si unì, con un filo invisibile, a quanto stava succedendo a migliaia di chilometri di distanza. Una giornata maledetta, che vorremmo tutti cancellare dal calendario.
Immagine: P300.it
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