Dall’essere osteggiato nelle settimane precedenti, Verstappen, dopo Interlagos, è stato paragonato a due classiche della storia
Il tempo scorre più velocemente di quanto sembri e così, nell’arco di 24 ore, tutta la negatività che si era concentrata addosso a Max Verstappen tra sabato e domenica mattina di Interlagos si è trasformata in un parallelo con Donington ’93 e Barcellona ’96 dopo la vittoria del GP di San Paolo.
Il paragone con la magia di Ayrton è naturale dato il paese in cui l’olandese ha vinto, le condizioni (il bagnato) e l’atmosfera generale di ricordo a 30 anni di distanza dalla scomparsa di Magic. Avere qualche anno in più permette di poter confrontare quanto successo pochi giorni fa con quanto visto, fortunatamente, 31 e 28 anni fa. Parto dal fatto che confrontare è una parola molto grossa, perché questa F1 non ha niente a che vedere con quella dei tempi. Se Donington ’93 e Barcellona ’96 potevano essere messe in parallelo perché appartenenti, più o meno, allo stesso contesto storico, la vittoria di Verstappen di domenica fa parte di un’altra era. Non per questo ne va sminuito il valore. Tutte e tre rientrano nella categoria delle umiliazioni per gli avversari, con il comune denominatore della pioggia a propiziare la lezione al resto del gruppo.
Nel 1993 si era già capito, in condizioni di asciutto, che contro la Williams di Alain Prost non ci sarebbe stato nulla da fare. Ma quella domenica perfettamente inglese, fatta di pioggia e freddo, diede il peso della padronanza del mezzo di Ayrton, della sua lettura di gara, della capacità di adeguarsi a condizioni completamente mutevoli in pista, con la pioggia che andava e veniva e la necessità di decidere se rientrare o meno ogni volta ai box.
In questo, il brasiliano fece impazzire il duo Williams, che si ritrovò a stare quasi più tempo a cambiare gomme che in pista mentre lui volava, incurante di cosa succedeva sotto le sue gomme, con quasi la metà dei pit stop effettuati. I sette di Prost potrebbero essere un record. A fine gara il francese, terzo sul podio, era doppiato. Damon Hill quasi, a oltre un minuto e vento. Una dimostrazione di forza impressionante, tanto che siamo ancora qui a raccontarla, con una McLaren che solo in certe condizioni – e grazie al piede di Ayrton – avrebbe potuto combattere contro la Williams. Fantastica fu la battuta del brasiliano alle lamentele di Alain sulla guidabilità della sua monoposto sul bagnato: “Se vuoi possiamo scambiarci le macchine”.
Quella del 1996 fu una storia nella storia. La prima vittoria di Schumi in Ferrari arrivò dopo aver mandato in fumo (o meglio, al muro del Portier) un successo a portata di mano a Monaco, sempre sotto l’acqua, dopo la storica pole dei sette decimi recuperati nell’ultimo settore a Damon Hill. A Barcellona tirava già un’aria un po’ così. La F310, tanto strana nelle forme quanto lenta e problematica, era lontana anni luce dalla Williams dell’inglese e di Jacques Villeneuve.
Eppure, quella domenica, avvenne il miracolo. Pioggia a più non posso, ininterrotta per tutta la gara. Una partenza disastrosa di Michael, da terzo a decimo alla prima curva e poi un recupero inimmaginabile. Una volta in testa, un ritmo inavvicinabile, a colpi di giri più veloci di due o tre secondi sul resto del gruppo. Il tutto con un paio di cilindri ballerini da metà gara in poi. Dai tempi tutto si poteva immaginare tranne che la Ferrari stesse zoppicando. Al traguardo arrivarono in sei, Alesi e Villeneuve andarono a podio ma arrivarono quasi 50 secondi dopo e solo perché, negli ultimi giri, Michael decise di rallentare per evitare di perdere altri cilindri, col vantaggio che aveva ampiamente passato il minuto. Fu il l’inizio della storia del Kaiser in rosso, una navigata che ancora oggi tutti ricordano.
L’impresa di San Paolo è nata in condizioni diverse, non solo tecnicamente ma anche in termini di campionato. Donington e Barcellona arrivarono ad inizio mondiale ma già con la consapevolezza, per Senna e Schumacher, che non c’era nulla da fare per il titolo. Interlagos rappresentava, invece, un crocevia importantissimo per il campionato 2024. Verstappen, dal punto di vista psicologico, era ben più sotto pressione di quanto fossero all’epoca Ayrton e Michael, perché con il concreto rischio di poter perdere il titolo. Al di là del tiro al piccione mediatico dopo Austin e Città del Messico, ad un paio di minuti dal via l’olandese si trovava in una situazione molto scomoda: 17° sulla griglia di una gara bagnata, dopo una qualifica da nervi tesi, con l’avversario diretto in Pole e quindi con un’alta probabilità di perdere punti e vedere riaperto il mondiale. Che Verstappen potesse vincere, probabilmente, non lo immaginava neanche lui nonostante altre rimonte passate, ma in condizioni tecniche ben diverse. Ne è uscito da vincitore o per meglio dire da gladiatore, lottando contro tutto e tutti e tacciando anche molti scettici. Un successo su tutta la linea.
Donington e Barcellona, almeno nella mia memoria, restano due dipinti, creati a pennellate di gas sulla pioggia da due maestri del bagnato. Qui non sentirete mai dire con certezza qual è stata la migliore delle due, perché non ha senso mettere a paragone due perle di questo genere. Quella di Interlagos, da parte di Verstappen, è una Masterclass dalle punte di epicità importanti, come il fatto di aver vinto dopo premesse terrificanti tra griglia (Max 17°, Ayrton e Michael erano partiti rispettivamente 4° e 3°) e prestazioni nelle ultime gare. Il neo della bandiera rossa forse toglie qualcosa, è vero, ma il passo impartito dopo il sorpasso su Ocon e la facilità disarmante di entrare su Hamilton, Piastri e lo stesso francese, recuperando decine di metri in frenata, è qualcosa che accomuna il Max 2024 con l’Ayrton del 1993 e il Michael del 1996. Non è la prima volta che succede.
Ere diverse, vero. Ma, in ogni generazione, ci sono momenti in cui si capisce, si percepisce e si hanno prove distinte dell’essere di fronte a qualcuno che viene definito “One of a kind”. E Interlagos, innegabilmente, fa parte di quelle prove.
Immagine di copertina: Media Red Bull
È vietata la riproduzione, anche se parziale, dei contenuti pubblicati su P300.it senza autorizzazione scritta da richiedere a info@p300.it.