Dopo sette mesi la situazione del sette volte iridato non può più essere difesa ad oltranza
Domani, in quel di Budapest, potrebbe piovere. E, con un nuovo rimescolamento delle carte, è probabile che ci ritroveremo Lewis Hamilton ampiamente in zona punti. Cosa che resta auspicabile anche con l’asciutto se, davanti alla Ferrari, si hanno una Haas, due Racing Bulls, due Aston Martin e una Sauber. Aggiungo anche una Red Bull che gira col carrellino per i corsi di guida sicura. Esaltare le rimonte (magari in condizioni miste, come quella di Spa) rappresenta ormai l’ultima grattata ai vetri di chi fa ancora fatica ad ammettere, dopo metà stagione, che l’esperienza di Lewis Hamilton in Ferrari al 2 agosto 2025 è letteralmente disastrosa, dentro e anche fuori dalla pista.
Così come erano due anni che, qui almeno, si avvertiva sul fatto che il “matrimonio del secolo” sarebbe potuto essere più complicato del solito, dopo metà di questo 2025 solo chi guarda la F1 da dietro la TV può sostenere che il sette volte iridato stia correndo anche solo al 75% degli standard richiesti al pilota più vincente della storia.
L’uscita dal Q2 di Budapest è solo un altro degli elementi, se vogliamo anche leggermente sfigato, di questa metà stagione. Perché lo stesso Leclerc ha rischiato un po’ e perché, se l’inglese fosse passato al Q3, magari ora sarebbe in seconda o terza fila; comunque, ancora dietro al compagno di squadra.
Ma ciò che dà particolarmente fastidio, al di là di tutto, è il fatto che in pochissimi abbiano il coraggio di criticare tutto quello che è successo nell’ultimo anno e mezzo. Partendo dalla scelta della Ferrari, per molti unicamente ascrivibile al presidente Elkann, di mettersi in casa il “mondo Hamilton” dopo tre anni già non più ai suoi livelli in Mercedes con Russell, fino a questi primi sette mesi tutti chiacchiere e distintivo (non solo da parte di Lewis) che stanno solo e soltanto esaltando chi, da questa operazione, rischiava di rimetterci di più, ovvero Charles Leclerc.
Proprio lui, il monegasco: quello messo in secondo piano per due mesi, tra gennaio e marzo, dall’arrivo del Sir e di tutto il carrozzone al seguito, con le bandiere dell’ottavo mondiale già issate a Maranello e nelle sedi dei nostri grandi giornali; quello che, da Hamilton, doveva imparare e, vale la pena ricordarlo, quello che con Lewis doveva guidare lo sviluppo della Ferrari visto lo stile di guida uguale. Una delle più grandi cazzate degli ultimi anni, a certifica di chi l’ha scritta spacciandola per verità assoluta fino a quando la verità (anche qui, ve lo avevamo detto, era la storia a dirlo) è venuta a galla.
L’operazione Hamilton, ad oggi, è un fallimento. Lo è in pista, con il sette volte iridato ripetutamente escluso prima di arrivare al Q3 in qualifica da miglior qualificatore della storia (e già strabattuto l’anno scorso da Russell) e quasi sempre dietro in gara. Chi cerca in qualche modo di salvare il salvabile chiama ancora in causa la Sprint della Cina; quella che, statisticamente, vale zero e che ha portato, con la stessa base di assetto, alla squalifica del giorno dopo. Ci vuole del genio.
Ma l’operazione Hamilton è un fallimento anche fuori dalla pista, nelle dichiarazioni sconcertanti (soprattutto ai media inglesi) e melodrammatiche come quelle di oggi. Come quel “Sono inutile” a cui è lui il primo a non credere perché altrimenti, se ne fosse convinto, stasera smetterebbe di correre. Dall’inizio dell’anno le uscite di Lewis sono scostanti, da montagne russe, senza un filo logico. Se va bene è esaltato, se va male non parla. Prima è colpa della macchina, poi dei freni, poi sua.
Mentre Leclerc ha da subito chiarito che non c’era trippa per gatti nemmeno quest’anno, autoflagellandosi dopo sette anni di patemi, Lewis si è lanciato in voli pindarici a giustifica delle sue prestazioni sfociate nel meraviglioso balzo al 2026, con i documenti condivisi con i poteri forti per chiarire come la Ferrari debba cambiare per vincere dall’anno prossimo. Il tutto sostenendo di essere già al lavoro dietro le quinte per la prossima stagione. Perché gli altri dormono, evidentemente.
E allora, come diceva Antonio Lubrano, la domanda sorge spontanea: per quale motivo la Scuderia Ferrari dovrebbe prendere in considerazione consigli e dossier di un pilota (che non è un tecnico e neanche un Team Principal) che viene regolarmente e sonoramente battuto dal compagno di squadra? Per il palmares? Certamente conta, ma il presente non giustifica in nessun modo un atteggiamento del genere. Per l’investimento fatto? Beh, questo è un altro discorso.
Forse è ora di dirlo. L’allucinazione Hamilton finisce, deve finire qui. La Ferrari, con il defenestrato Carlos Sainz, questi problemi non li aveva. Non ne aveva in pista, non ne aveva fuori, non ne aveva a livello interno. Era arrivata a 14 punti dal mondiale nel 2024 ed oggi, con la McLaren chiaramente già titolata, sarebbe un po’ più vicina e con un vantaggio superiore su Mercedes.
Ciò che è incredibile è che, tutto questo, era ampiamente prevedibile. Non da quattro scappati di casa come noi, ma da quello che la storia e i risultati ci stavano raccontando, soprattutto nelle ultime tre stagioni. I risultati, però, devono essere compresi: perché, se si dà importanza ai giri più veloci con una sosta al penultimo giro, la visione forse rischia di uscirne distorta. Esattamente come è successo.
La Ferrari, poi, è libera di decidere di seguire i consigli e il dossier di Hamilton e di fare all-in su di lui dal 2026. La logica conseguenza sarà perdere Charles Leclerc, o per meglio dire questo Charles Leclerc, il migliore sulla piazza insieme a Max Verstappen. Se è disposta a farlo, ben venga: i 21 anni del record Scheckter – Schumacher sono lì che aspettano.
Immagine di copertina: Media Ferrari
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