Alla base di tutto c’è sempre una questione di visite e di ritorno mediatico. I veri appassionati, però, si contano sulle dita di una mano
Parallelamente alla questione accrediti, della quale ho parlato ampiamente settimana scorsa per il “no” ricevuto per Monza, anche quella legata agli influencer merita un attimo di attenzione. Serve per capire come la F1 sia globalmente attiva per aumentare a dismisura il suo ritorno di immagine, ma con una povertà di qualità senza precedenti.
Prima di tutto va smarcata una questione importante. Dal punto di vista dell’accesso al Paddock, giornalisti e VIP/influencer viaggiano su binari paralleli. Un influencer, cioè, di suo non toglie un accesso media ad un giornalista. Gli influencer non fanno (in teoria) richiesta di accredito come i media normali e quindi non va confuso il problema (nostro, di altri) di essere scartati con la loro presenza. Il pass che a loro viene assegnato, nove volte su dieci, è un pass VIP come quello in foto.
Al limite, il problema vero si presenta quando le sale stampa rischiano di diventare adibite a Paddock Club, con i giornalisti sfrattati verso altri lidi; ipotesi sussurrata dal Presidente Sticchi Damiani parlando a proposito dei lavori futuri di Monza. Allora sì che, a fronte di un aumento di disponibilità per i VIP e di una diminuzione per i media, la questione diventa particolarmente fastidiosa.
La precisazione era dovuta per evitare le solite lagne del “ecco, sei invidioso degli influencer perché loro entrano e te no”. No: tecnicamente, non siamo stati scartati per fare entrare uno Youtuber, un TikToker, un Twitcher, un Instagrammer o quello che vi pare. La questione semmai riguarda il fatto che, al giorno d’oggi, se uno ha passione per la F1 e la vuole raccontare (si spera come si deve) tanto vale fare gli influencer che i giornalisti in termini di bilanciamento tra lavoro e benefici e di possibilità. Si arriva comodi, quattro foto, pose plastiche e ci si trova con le cuffie dentro a un box, lì dove veri appassionati darebbero un rene per presenziare. Il tutto, ovviamente, per chi se lo può permettere in termini di età, beltà, parlantina e via dicendo. E non è il mio caso perché chi nasce tondo, tondo muore ed io di diventare quadrato non ne ho né la voglia né i requisiti – fisici e di parlantina.
Il problema, comunque, è sempre quello dei numeri. Con l’avvento di Liberty e l’apertura indiscriminata ai social l’esercito di influencer legato alla F1 è nato, cresciuto, si è evoluto ed ora vive in gran parte di vita propria. Ma, come al solito, sono poi i numeri a fare la differenza. Così come avviene (qui sì che il confronto c’è) con i media tradizionali, tra un influencer ingegnere e un influencer che scambia volanti con joystick vince sempre il secondo se ha una base migliore in termini numerici.
Non si tratta di demonizzare in toto una categoria, perché in ognuna c’è chi fa bene (pochi) e chi fa male (tanti). Alla fine, comunque, vince sempre chi porta numeri, che di riflesso interessano alla F1 per autopromuoversi. E poco importa se lo si fa anche tramite gente che di F1 non capisce nulla e che, nello storico dei suoi canali, fino ad una settimana prima parlava di altro.
C’era un tempo in cui Montecarlo era la patria del jet set. Si sapeva che era così e, quindi, si accettava che sulle stradine del Principato si presentassero orde di VIP per mettersi in mostra pur non sapendo, in alcuni casi, quante ruote avesse una monoposto. Era l’eccezione alla regola, ci stava anche.
Ora, ad ogni evento, l’attenzione è più per questi personaggi che, escluse alcune illustre eccezioni, non offrono nessun apporto qualitativo allo sport. Il Paddock sembra diventato un grande palco da sfilata per mettersi in mostra, senza alcuna correlazione con quello che succede in pista. I social sono colmi e ricolmi di foto in posa di fronte alle hospitality, facce stranite alla vista di un volante, gente che chiede autografi a piloti su cappellini di altri piloti. Un pot-pourri di nulla cosmico che si mescola con 75 anni di storia lasciando decisamente dell’amaro in bocca. E, fortunatamente, girando tra i commenti qualcuno inizia a notare la cosa.
Ha detto bene Domenicali qualche giorno fa: “La F1 non è più solo uno sport, è una piattaforma di intrattenimento”. Nell’affermarlo, ha indirettamente confermato l’intenzione di LM (perché qui non se ne fa una questione personale ma aziendale, qualcuno tempo fa se n’è dimenticato) di ingrassare l’asset a più non posso, tirando dentro numeri che nulla hanno a che fare tradizionalmente con la F1 solo per farli vedere e aumentare il conto, creando così un valore gonfiato che non rispecchia, però, la realtà delle cose.
Come per i media, quindi, anche l’esistenza degli influencer in F1 è legata a doppio filo a followers e like. La stortura, ovviamente, non si ferma qui, perché ci sono molti altri ambiti (lavorativi, nel mondo dello spettacolo) nei quali i numerelli contano più di qualsiasi altra cosa: più del talento (vocale, artistico), della qualità e del lavoro vero. C’è da stringere i denti, insomma. Sperando che l’onda anomala passi quanto prima. Con un pensiero agli amici appassionati della MotoGP, che da qui a poco si troveranno nella stessa situazione…
---
Stai visualizzando da visitatore. Accedi o registrati per navigare su P300.it con alcuni vantaggi
È vietata la riproduzione, anche se parziale, dei contenuti pubblicati su P300.it senza autorizzazione scritta da richiedere a info@p300.it.