Blog | È Carlos più che mai nel periodo del tifo più tossico della F1

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
25 Marzo 2024 - 10:00
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La vittoria di Sainz è una bella storia ma non a tutti sembra piacere. Perché il tifo tossico fa male e perché è presente in F1

Una storia come quella di Carlos Sainz, limitatamente alle ultime due settimane, andrebbe applaudita senza distinzione di colori e tifo. Perché quanto fatto dallo spagnolo, a due settimane da un’operazione chirurgica, rappresenta un po’ l’essenza delle corse. La voglia di rischiare, di esserci comunque, di provarci anche se si hanno dei dubbi. Di casi incredibili ce ne sono a bizzeffe e non solo nelle quattro ruote.

Eppure, c’è un ma. Un ma che tendenzialmente dovrebbe essere ignorato ma che si sta infilando prepotentemente in quello che è il mondo della F1, ovvero quello del tifo tossico. Quel tifo (o sarebbe meglio dire ossessione) per cui il “tuo” pilota è sacro, non sbaglia mai, non può essere criticato e ha diritti superiori a chiunque altro, compagno di squadra incluso.

La convivenza tra Carlos Sainz e Charles Leclerc in Ferrari è condizionata sin dall’inizio da questa rivalità non tanto tra i due, quanto tra le due frange più integraliste del loro tifo. Non esiste weekend senza che le due non si punzecchino. Quando poi i rapporti in pista si fanno tesi, come successo alcune volte, non parliamone.

Delle due, quella più agguerrita è senza dubbio quella di Leclerc. Per anzianità di servizio a Maranello e per i servizi mediatici che hanno accompagnato la carriera di Charles in rosso, il #16 ha ormai raggiunto una specie di intoccabilità suprema, secondo la quale non è consentito criticarlo, accennare ad una piccola flessione o via dicendo senza essere presi a parole o tacciati di non capire nulla di Formula 1.

Ed è così che le tre vittorie di Sainz in Ferrari passano per essere quelle del pilota sempre sbagliato e che, in un modo o nell’altro, ha usurpato qualcosa che dovrebbe essere di diritto, sempre e comunque, nelle disponibilità di Charles.

Mi permetto di suggerire che il tifo sano non funziona proprio così e, per altro, mi chiedo cosa sarebbe successo se i social fossero esistiti, ad esempio, al tempo di Senna e Prost in McLaren. Immaginatevi Suzuka ’89 e ’90 su Twitter.

Un’analisi del rapporto sportivo tra Sainz e Leclerc, basata su numeri e comportamenti, ci mette in mostra uno spagnolo probabilmente sottovalutato più del dovuto. Al suo arrivo in Ferrari dopo l’esperienza Sebastian Vettel, Carlos sembrava destinato a fare la spalla di Charles, una specie di perfetto secondo a servizio del predestinato, lanciato senza più un compagno scomodo verso sicuri successi.

Il problema è che, nei tre anni e spiccioli di convivenza dei due, le gare vinte sono tre a testa. Certo, le Pole sono un discorso tutto di Charles, ma sappiamo bene che sul giro secco è probabilmente anche superiore a Verstappen. Ma nessuno, e dico nessuno, avrebbe immaginato a questo rapporto 50/50 di vittorie in coabitazione. Ma non è tanto questo il punto del discorso, quanto più capire come possa esserci dell’astio fino a certi livelli per quello che è semplicemente un compagno di squadra.

Probabilmente non ci arrivo io perché appartengo ad un’altra generazione, ma nell’ingenuità della mia adolescenza ricordo distintamente di aver fatto il tifo per Eddie Irvine nel ’99, quando Schumi si ruppe una gamba mollando il colpo di un mondiale che sarebbe potuto arrivare con un anno di anticipo. E, questo, nonostante le polemiche per la presunta frenata tirata alla Stowe (torniamo sempre al punto, immaginate con i social in quel giorno cosa sarebbe successo).

Oggi una cosa del genere sarebbe probabilmente incomprensibile, viene quasi da pensare che un titolo mondiale di un Sainz o un Leclerc sarebbe mal digerito a livelli storici da parte della tifoseria del compagno. Se succede già con singole gare che non hanno al momento valore per i titoli, figuriamoci.

Ma perché tutto questo? La mia impressione è che a questo sistema di idolatria nei confronti di un pilota, a livello generale, abbia contribuito un po’ anche la direzione mediatica presa negli ultimi anni, nei quali questi ragazzi vengono dipinti molto più come personaggi rispetto a prima; e, a volte, più come personaggi che come piloti. Il che può starci, per carità, ma entro certi limiti.

I tifosi ferraristi tutti dovrebbero essere entusiasti per la doppietta dell’alba di ieri, rispettando ed applaudendo l’impresa di un pilota che sale in macchina con una garza a coprire i segni di un’operazione recente e, dal non sapere se ce la farà, comanda con autorità una gara dall’inizio alla fine. Invece sembra che si faccia fatica ad accettare che il proprio pilota non sia stato all’altezza per una volta e questo fa a pugni con sportività e tutti i bei discorsi sul rispetto, sull’odio online e tutte le belle favole politically correct che ci vengono raccontate.

Chissà: magari un giorno, quando si tornerà a parlare più di pista e meno di vacanze e moda, le cose cambieranno. Ma mi pare di capire che siamo lontani dall’arrivarci.

Immagine di copertina: Media Ferrari

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