Come possono cambiare le cose in 60 giorni, specialmente se si parla troppo prima
Il 6 marzo, ovvero due mesi fa, andava in scena la super presentazione della Ferrari in Piazza Castello a Milano. Oggi 6 maggio, probabilmente a Milano non c’è neanche più il castello. Sono bastati sessanta giorni, forse meno, per ribaltare un’euforia da marketing in un disastro da pista, con una squadra che è lontana parente di quella che ha chiuso il 2024 e l’incredibile harakiri tecnico e dirigenziale – al quale sarà dedicato un successivo blog – che ha portato a queste prime sei gare della stagione.
Sei gare nelle quali si è sgonfiato il solito mantra dei record di Fiorano (con cinque gradi in pista) e le grandi aspettative di mondiali a grappolo sotto i colpi di ciò che, alla fine, conta davvero, il cronometro. Un cronometro che, da diciassette anni, cerca di insegnare che le parole sono belle ma devono essere comprovate con i risultati in pista che continuano a non arrivare, scatenando di tanto in tanto ricambi di persone e filosofie, portando a ripartenze da zero o incredibili ribaltoni non necessari come quello che stiamo vivendo.
Non c’è (più) la macchina, non c’è armonia, non c’è un capo branco adatto, non c’è una dirigenza. Al tempo stesso ci sono livree markettare, le tute in stile Williams anni 2000, i cappellini, le polo e tutto quel giro di inutilità che stride con quello che succede in pista. A proposito, ringrazio per gli insulti (che qualificano chi li lancia) ma continuo a pensarlo: Enzo Ferrari a questo livello di appecoramento per uno SPONSOR (e non per questioni di principio) non ci sarebbe arrivato.
È inutile continuare a ripeterlo perché poi diventiamo stancanti. Tutto quello che sta succedendo non (ci) stupisce ed è solo logica conseguenza di scelte tragiche e lungimiranza buona per una squadretta amatoriale e non per la Scuderia Ferrari. E fa piacere vedere che anche Giorgio Terruzzi e Pino Allievi siano arrivati alle stesse conclusioni negli ultimi podcast. Quanto meno da loro gli improperi non arrivano, evidentemente sono di casa solo da queste parti e va bene così.
La Ferrari non c’è ed è anche difficile capire cosa è possibile fare per invertire la rotta. La decisione di cambiare la sospensione anteriore, presa quando la rimonta sulla McLaren non era ancora partita un anno fa, sa anche un po’ di sfiga ma nasce da una poca consapevolezza di se stessi e dal volersi per forza allineare a chi comandava. Chissà se, alla fine del 2024, con 14 punti di differenza dalla McLaren iridata, qualcuno ha rimpianto quella scelta.
Scelta invece consapevole e fortemente voluta è stata quella di accasare Hamilton. I team radio di domenica non suonano nuovi a chi ricorda quelli di McLaren e Mercedes e sono un classico di un Lewis in difficoltà di immagine, pettinato dal giovane Leclerc per cinque gare e con la necessità di fare qualcosa per riabilitarsi. Nulla di nuovo, insomma. Ma, ancora, qui ci si ricorda del “geni/scemi” di Fernando Alonso a Monza, con un monito che resta valido seppur in questo periodo disastroso. Nessun pilota è o può ritenersi più importante della Ferrari, neanche Hamilton. Occhio, quindi, a tirare la corda via radio in questo modo: perché l’immagine ormai conta tantissimo, sia in positivo che in negativo.
In tutto questo ne esce male anche la figura di Vasseur. Chiamato alla Corte per tenere buono Leclerc dopo il dito in faccia di Binotto, a furia di chiamarlo cuoco in un’era piena di cazzate social si sta scottando da solo, tra accuse alla stampa italiana girate dai Pirenei e dichiarazioni che potevano essere buone per una Sauber o una Renault, dalle quali è già passato. La Ferrari è un’altra cosa e, forse, se ne sta accorgendo anche lui.
Il trittico Imola – Monaco – Spagna è già l’ultima frontiera. Un qualcosa di impossibile da immaginare, per tanti, dall’alto del Castello Sforzesco dove risuonava, sessanta giorni fa, l’inno italiano. Per come stanno le cose lo sentiremo prima per Antonelli. Forse, è molto meglio così.
Immagine di copertina: Media Ferrari
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