Blog | Di ascolti F1, plagi, furbizie, egocentrismo e svilimento dell’informazione. Grazie, “visibilità”

Autore: Alessandro Secchi
alexsecchi83 alexsecchi83
Pubblicato il 1 Luglio 2025 - 00:03
Tempo di lettura: 5 minuti
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I follower prima di tutto, il motivo per cui questo mondo si sta sgretolando sotto i piedi

Quando l’anno scorso abbiamo posto l’accento sul problema del confondere la visibilità con la credibilità sottolineando che questo, nello specifico, è il motivo per cui l’informazione sta andando a rotoli, avevamo i nostri motivi.

Il problema è che la dinamica è ormai scappata di mano e, anche grazie all’intelligenza artificiale (strumento potenzialmente utile che sarà usato malissimo, come al solito) ormai fare informazione è un concetto che non ha più senso di esistere. La realtà è che l’informazione non esiste praticamente più, diventata inversamente proporzionale, in termini di qualità, al numero di contenuti che vengono pubblicati.

La giornata di ieri era iniziata bene, con una citazione che ci aveva fatto molto piacere. Giuseppe Pastore, tuttologo di calcio e tanto altro, tra cui cinema, aveva citato giusto ieri mattina la recensione del film della F1 nella nuova puntata del suo podcast su PODTOME. “Che bello”, pensavo, “ogni tanto c’è qualcuno che riconosce il lavoro che fai”. E lo ringrazio ancora molto.

Non ho fatto nemmeno in tempo a provare un minimo di soddisfazione per la cosa (non sia mai, per carità) che, nell’arco di due ore, ho perso anche quei pochi capelli che mi sono rimasti in testa. In realtà, già da qualche giorno avevamo notato che il nostro articolo di analisi sugli ascolti F1 relativamente alla prima parte di stagione, pubblicato dopo il Canada, era stato “preso ad esempio” qua e là. La famosa pagina Hammer Time aveva ripreso praticamente mezzo testo dell’articolo (sì, ci aveva citati, senza tag, ma mezzo articolo è pur sempre mezzo articolo), poi sono saltati fuori altri siti tra cui AutoBlog ed EveryEye (anche qui, mezzo articolo rivisitato ma il contenuto è quello). Su X è da due settimane che si parla genericamente degli ascolti in calo rispetto agli anni 2000 ma non ci è arrivata la notifica di mezza citazione.

In quel pezzo avevo volutamente fatto una comparazione tra la situazione attuale ed il 2000, anno con la media ascolti più alta di sempre per il nostro paese. Stranamente, le varie non citazioni comparse in giro sotto forma di infografiche, reel, articoli, hanno fatto riferimento proprio al 2000. Nessuna valutazione sugli anni precedenti, su cali e risalite o con altri anni presi in esame. Esattamente il 2000 e basta: in alcuni casi, riprendendo gran parte del testo, oppure dandolo in pasto direttamente all’IA per riscriverlo, senza però cambiare il succo della questione.

Faccio notare che, conoscendo i miei polli ormai da anni, quando pubblico certi dati sotto forma di analisi e non di singolo weekend arrotondo per eccesso o difetto alcuni numeri, senza inserire numeri precisi con tanto di decimali. Mi serve per capire chi fa il furbo: per l’appunto.

Non siamo scemi né ingenui e sappiamo di non essere certamente gli unici a cui succedono queste cose. Lo vediamo tutti i giorni, con tutti. Una volta eravamo arrivati a minacciare cause legali, un’altra abbiamo dovuto fare una ramanzina pubblica e in privato (sempre per un articolo sugli ascolti, argomento evidentemente scottante). Ma la cosa che dà fastidio più di tutto è sentirsi anche presi in giro quando si prende in castagna il protagonista di turno.

Essere minacciati di querela (in questo caso da Thomas Biagi, ieri, che ha riportato in un suo reel sempre l’anno 2000, i 10 milioni di media etc etc) per aver semplicemente sottolineato la fonte originale dei dati e – soprattutto – essere considerati dei poveri barboni perché abbiamo pochi follower è esattamente il motivo per cui l’informazione sta morendo giorno dopo giorno. Spiace vedere personaggi del settore caduti nel tranello del magico mondo degli influencer e dei followers. Non è il primo né l’ultimo ma è l’arroganza con cui si pretende scuse e si minacciano azioni legali che è discretamente insopportabile, soprattutto se viene da chi non può insegnare nessuna etica. Tra l’altro, il buon Biagi ha bloccato tutta la redazione di P300.it, persona per persona. Come se potesse fermarci dal trovare i suoi contenuti, se solo volessimo.

Ci sono poi un paio di cose che è giusto far notare: la prima è che, con una manciata di euro, in qualche giorno potremmo avere dieci volte i suoi follower. E che quindi, seguendo lo stesso ragionamento, potremmo arrogarci il diritto di sostenere che potrà parlare solo quando “sarà cresciuto un po’”. Davvero vogliamo arrivare a questi livelli? Su, siamo seri.

La seconda è che, così come un pilota ha delle regole da seguire in pista, per il giornalismo esiste un dettaglio che si chiama etica, sulla quale più di qualcuno ha bisogno di ripetizioni, specialmente se spaccia per morta la madre di Vasseur quando non è vero. Capisco, comprendo il fatto ormai la si tratti come spazzatura, ma l’etica esiste. Chi è iscritto all’Ordine ne deve tenere conto e spiace dover constatare che (1) non lo fa ormai quasi nessuno e (2) che, anche chi dovrebbe verificare credibilità ed autorevolezza, ormai lo fa basandosi solo su numeri che non vogliono dire assolutamente nulla. Parlo di uffici stampa, agenzie di comunicazione, sponsor, investitori, grandi organizzazioni motoristiche. Le richieste per definire la tua credibilità sono sempre le stesse: followers, visite mensili, dati di Google Analytics, quasi gli esami del sangue. Per quanto mi riguarda, fuffa.

Non è neanche una novità che la figura del giornalista, ormai, anche grazie (si fa per dire) ai social si sia trasformata. Molti ormai, più che cantori, sono personaggi e aziende di se stessi che vanno oltre l’evento, con uno spiccato egocentrismo ed arrivismo unito. Tanto che nel Paddock, ormai, si va per la maggior parte solo per aggiornare il proprio status di personaggio e tenersi buoni i contatti che possono aiutare ad accrescere le medaglie al collo, invece che fare il mestiere di chi deve raccontare un evento al pubblico a casa senza condizionamenti.

Non c’è molto altro da dire, se non che siamo stanchi (soprattutto io) dei furbi e di un sistema contro il quale, purtroppo, possiamo fare poco. Abbiamo capito che, in queste condizioni, siamo destinati a rimanere un profilo di nicchia, senza alcuna possibilità di crescita. Ma, onestamente, ci va bene così: almeno la mattina, allo specchio, qui ci si guarda serenamente, che si sia belli o, nel mio caso, non proprio.

Per il resto, ci spiace ma non avremo più alcuna esitazione nel segnalare le cose che non vanno. E non è questione, come ci ha scritto qualcuno, di quattro “articoli del cavolo” che denotano una non comprensione minima del lavoro che si fa, ma di integrità e rispetto per un contenuto, anche se non apprezzato. Da qui non si scappa: se becchiamo chi fa il furbo viene ripreso pubblicamente, fine dei giochi. Se vi piace bene, se non vi piace ci sono altri lidi.

Immagine: Grok (molto indicativa).

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