Gli anni ’90, con quella macchina prima blu e poi giallissima. Un simbolo di un’era per chi era adolescente e oggi ha nostalgia di quel tempo
Gli anni passano inesorabilmente. Te ne accorgi quando, via via, i protagonisti di un periodo che senti ancora tuo invecchiano o, peggio ancora, se ne vanno. Ho ancora il ricordo di Niki Lauda, giacca rossa, cappellino d’ordinanza Parmalat, che girovaga al box Ferrari. Prima che consulente era stato eroe al volante, eroe di quelli veri. E poi c’era Frank Williams, su quella carrozzina che mi metteva una tenerezza infinita. Lui, in uno sport così veloce, costretto a muoversi così lentamente, una specie di ossimoro vivente. Ron Dennis era una specie di istituzione, con quel fare anche po’ sbruffone che negli anni un po’ si sarebbe rivelato un boomerang. E poi c’era, c’è, Bernie Ecclestone, il grande burattiniere del Circus che chissà, oggi, che cosa pensa della sua ex creatura.
In un mondo che, da adolescente, vedevo fatato, c’era anche un personaggio fuori dagli schemi, capace di portare in pista piloti che poi si sarebbero affermati nel corso delle loro carriere e che a lui devono tantissimo, se non tutto. Eddie Jordan era il prezzemolo in mezzo ai giganti. Tra una Williams, una Ferrari, una McLaren, l’azzurra e poi la meravigliosa giallona Jordan (le livree del 1997 e 1998 resteranno nella storia) si infilava sempre di più nonostante i mezzi a disposizione non fossero quelli delle suddette squadre più blasonate. Una storia di passione, iniziata prima al volante e poi con il suo team nelle Formule minori, F3 e F3000, con piloti che poi avrebbe reincontrato in F1 come Martin Brundle, Johnny Herbert, Jean Alesi, questi ultimi due titolati con lui. Di fiuto per i piloti ne aveva a pacchi e l’avrebbe dimostrato a ripetizione.
La Jordan 191 resterà nella memoria per essere stata la monoposto del debutto di Schumi a Spa nel 1991. Un settimo posto in qualifica e qualche centinaio di metri in gara che avrebbero dato il là ad una leggenda. E poi Eddie Irvine, Rubens Barrichello che gli ha regalato, sempre a Spa, la prima Pole sul bagnato nel 1994. La sua credibilità nel Circus gli ha permesso di portarsi a casa anche un campione del mondo, Damon Hill, autore della prima vittoria della Jordan Grand Prix. Manco a dirlo, ancora a Spa, nel 1998, per una doppietta storica con Ralf Schumacher. Nel 1999 la fiaba della Jordan ha rischiato di diventare leggenda, con Heinz-Harald Frentzen autore di due vittorie (Magny-Cours e Monza) e incredibilmente in lizza per il titolo fino a poche gare dal termine. L’ultima perla nel 2003, in Brasile, con il nostro Giancarlo Fisichella. Una vittoria non festeggiata subito per un errore di cronometraggio in una gara molto complicata tra pioggia, incidenti e Safety Car, ma recuperata due settimane dopo a Imola, quando il romano ha ricevuto dalle mani di Kimi Raikkonen la coppa del vincitore.
Era francamente impossibile non provare simpatia per il buon Eddie. Personaggio schietto, estroverso: fuori dalle piste raccontato come un guascone, sempre pronto a scherzare e divertirsi. Portava anche in pista questo spirito con una squadra che ha fatto, a modo suo, la storia della F1 per 15 anni, con una monoposto diventata ad un certo punto inconfondibile in pista con il suo giallo canarino. Le testimonianze di oggi, dopo quasi 20 anni dalla sua uscita di scena in pista, raccontano di quanto quello che era stato il suo mondo gli volesse bene.
Un altro pezzo della nostra generazione se ne va. Un’altra luce si affievolisce nella stanza di ricordi di una F1 ormai lontana. Cala di intensità, così come hanno fatto altre. Ma, esattamente come loro, non si spegnerà mai. Buon viaggio, EJ.
Media: ANSA
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