La decisione di chiudere la produzione motori a Viry-Chatillon non è solo un peccato per il glorioso passato, ma anchen una preoccupazione per il futuro
La bellezza di 23 titoli iridati tra piloti e costruttori, conquistati in un glorioso passato, non sono serviti come certificazione di qualità per sventare la chiusura della divisione motori a Viry-Chatillon. Alpine (e se la chiamassi Renault farebbe ancora più impressione) dal 2026 sarà spinta da un motore non più prodotto in proprio. Come se il team ufficiale Mercedes si facesse spingere da un Ford o come se Ferrari montasse un bell’Honda sulle monoposto del Cavallino.
Che sarebbe finita così lo si era capito da tempo: onestamente, il comunicato intriso di belle parole rilasciato per addolcire la pillola lascia un po’ il tempo che trova. Sulla carta fa piacere sapere che i dipendenti di Viry saranno ricollocati o sarà comunque proposto loro un nuovo ruolo nella futura divisione “Hypertech”. Alla fine, però, contano sempre e solo i fatti e mai le belle parole. E tra gli uni e le altre passa sempre un mare.
Altresì, fa sorridere l’esaltazione della qualità e delle competenze dei tecnici francesi da incanalare nel progetto “Hypertech”, rispetto alla decisione di non dare più fiducia a quelle stesse qualità e competenze cancellando il programma motori per la F1.
Le motivazioni dietro questa decisione, al di là della nascita dell’area Hypertech (che suona più come un contentino), sono note solo a chi di dovere. Fa però riflettere il fatto di essere arrivati al punto in cui un costruttore ritiene più conveniente farsi dare motori da altri che produrli in proprio. Immaginate Maranello decidere, magari per questione di costi, che è più conveniente affidarsi all’esterno per le Power Unit delle sue monoposto. Ovviamente non ci passa neanche per la testa un concetto del genere, eppure è quello che è appena successo in Francia.
Situazione, questa, che ricorda un po’ anche il mondo stradale, sempre più formato da corporazioni di grandi marchi alla Stellantis (si spera con risultati migliori). Un mondo nel quale, oggi, un semplice automobilista compra la vettura di un marchio che è altro non è che un assemblaggio di pezzi di altri: il pianale di uno, il telaio di un altro, il motore di un altro ancora. Con la conseguenza di avere tre o quattro macchine identiche con logo diverso sulla calandra e l’identità di ogni singolo marchio destinata a sparire.
Un conto sono i team che non hanno mai aperto una divisione motori e si sono sempre affidati ad un partner esterno. Ma vedere Alpine, o meglio Renault, decidere ci mettere fine ad una parte meravigliosa della sua storia è uno smacco, non solo per i francesi. Con la speranza, lato dipendenti, che le parole diventino poi fatti. Almeno quello.
Immagine di copertina: Media Alpine
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